L’interesse a fonti alternative spazzato via da una boutade del cipria, oppure preciso calcolo strategico? senza dati numerici appare difficile districarsi dal rumore di fondo… vediamo di dare alcuni dati utili a raccapezzarci.
Il protocollo di Kyoto. Noto a tutti almeno a livello di sentito dire, il cosiddetto Protocollo di Kyoto, firmato nel dicembre 1997, rappresenta lo strumento attuativo della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, approvata a New York il 9 maggio 1992, che rappresenta la risposta pensata a livello internazionale per contrastare e ridurre al minimo gli effetti negativi dei cambiamenti climatici sul nostro pianeta. La Convenzione ha come obiettivo la stabilizzazione a livello planetario della concentrazione dei gas ad effetto serra che sono le principali sostanze in grado di interferire ed alterare il clima globale. I sei gas ritenuti capaci di alterare l'effetto serra del nostro pianeta sono:
l'anidride carbonica (CO2);
il metano (CH4);
il protossido di azoto (N20);
gli idrofluorocarburi (HFC);
i perfluorocarburi (PFC);
l'esafluoruro di zolfo (Sf6).
Risulta ovvio a questo punto che gli eventuali costi relativi alle procedure atte alla diminuzione dei gas responsabili dell’effetto serra (in primis il biossido di carbonio, ma negli ultimi anni molta dell’attenzione si è spostata verso la verifica dell’influsso delle polveri sottili, in gran parte causate dai vetusti sistemi di riscaldamento adottati per le abitazioni civili) debbono giocoforza ricadere sulle metodologie di produzione a bassa tecnologia tramite incrementi di efficienza.
L’unione europea, tramite il collegio dei commissari della Commissione europea al piano dell'Unione ha sviluppato un pacchetto di proposte legislative (sulle quali il consiglio Ue aveva giù trovato l'intesa nel marzo del 2007), fissando gli obiettivi sintetizzati con la sigla "20-20-20". Ovvero il raggiungimento del 20 per cento della produzione energetica da fonti rinnovabili, il miglioramento del 20 per cento dell'efficienza e un taglio del 20 per cento nelle emissioni di anidride carbonica, da raggiungere tutti entro la data del 2020.
Per quanto riguarda l'Italia, l’obiettivo consisterebbe nel tagliare il 13% di emissioni di C02 in settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni (Ets) e dovrà aumentare del 17% i consumi energetici da fonti rinnovabili entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005.
Secondo il governo adempiere agli obiettivi previsti dalla direttiva 20-20-20 costerebbe all'Italia una cifra compresa tra i 18 e i 25 miliardi l'anno, pari a circa l'1,14 del Pil. Dati che secondo Palazzo Chigi si desumono da valutazioni della stessa Unione Europea nei suoi studi preliminari e che avrebbero l'effetto di frenare la ripresa economica nazionale. Posizione questa, in sintonia con quella di Confindustria, grande sponsor dell'indietro tutta nella lotta ai cambiamenti climatici.
Ovviamente qui si gioca la partita: al di là dell’evidente conflitto di interessi da parte dell’attuale presidente di Confindustria Marcegaglia, il cui gruppo è leader nella produzione metallurgica e nella installazione di termovalorizzatori, è chiaro che la diminuzione della percentuale di combustibili fossili si scontra violentemente con le esigenze dei vari petrolieri che dal 20% di biofuels non avrebbero nulla da guadagnare, in particolare tenendo conto del fatto che la produzione di sistemi da coltivazione permetterebbe d abbattere ulteriormente l’entità di CO2 emessa grazie a scambi in fotosintesi.
Interessante la presentazione effettuata da Guido Ghisolfi all’Italian Energy summit, che presenta come soluzione quella della coltivazione della canna comune in zone a coltivazione nulla con costi in parità rispetto alle attuali produzioni (a 100 dollari a barile…).
Va detto che, come afferma il greco Stavros Dimas, commissario Europeo all'Ambiente, "La stima dei costi aggiuntivi secondo la Commissione, è pari infatti al massimo allo 0,66% del Pil. E questo dato prende in conto tutti gli elementi del pacchetto su clima ed energia: non solo gli obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra e per lo sviluppo delle rinnovabili, ma anche i 'meccanismi flessibili' che si possono utilizzare per raggiungerli".
Vero è che, come correttamente affermano gli ambientalisti, sarebbe necessario valutare anche le innegabili ricadute positive che il governo italiano sembra non voler contabilizzare. "Per l'Italia - spiega Edoardo Zanchini di Legambiente - l'Ue stima un risparmio di 7,6 miliardi l'anno nel taglio delle importazioni di idrocarburi e di 0,9 miliardi di euro nei costi per contrastare l'inquinamento. I costi effettivi pertanto scendono fino a trasformarsi in un guadagno netto di 600 milioni di euro l'anno. Questo senza contare i benefici di lungo termine sul piano dello sviluppo di un settore innovativo come quello delle rinnovabili e di crescita occupazionale (vedi l’articolo di Repubblica)
[ Vedi art. Repubblica su energie rinnovabili ]
Posizioni almeno in parte simili sono condivise anche da larghi settori dell'industria europea. Il Gruppo europeo dei dirigenti di impresa, che raggruppa i vertici di grandi società come Phillips, Shell, Tesco e Vodafone, ha inviato in data 20.09.08 ai parlamentari europei una lettera in cui esprimeva il proprio favore nei confronti delle misure proposte. "Siamo dell'idea - si leggeva nella missiva - che i benefici di un intervento deciso e tempestivo sul cambiamento climatico siano superiori ai costi dell'inazione. Riconosciamo che le questioni legate alla competitività europea e le preoccupazioni europee riguardo alla recessione economica globale influenzeranno il dibattito, ma siamo certi che l'adozione di un pacchetto legislativo deciso ed efficace alla fine avrà effetto positivo sulle imprese europee".
Altro tema di scontro tra Roma e l'Europa è il mercato delle emissioni di CO2 (Ets, Emission trading scheme). Si tratta in poche parole di una speciale "Borsa", la cui creazione era già prevista dal Protocollo di Kyoto, che permette agli operatori virtuosi (coloro che hanno ridotto le proprie emissioni) di vendere i tagli in eccesso alle imprese rimaste invece indietro. Un meccanismo che dovrebbe permettere di incentivare l'innovazione che migliora l'efficienza e il risparmio energetico. Secondo il presidente del Consiglio la compravendita di questi titoli assomiglia a un mercato dei derivati simile a quello dei mutui subprime e pertanto va assolutamente abbandonata.
Ovviamente il Cipria dimentica che il mercato, del resto già gestito dal GSE (Gestore dei Servizi Elettrici) S.p.a. di proprietà unica del ministero delle Finanze, che “ha un ruolo centrale nella promozione, nell'incentivazione e nello sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia. Azionista unico del GSE è il Ministero dell'Economia e delle Finanze che esercita i diritti dell'azionista con il Ministero delle Attività Produttive. Il GSE è capogruppo delle due società controllate AU (Acquirente Unico) e GME (Gestore del Mercato Elettrico). In seguito al trasferimento del ramo d’azienda relativo a dispacciamento, trasmissione e sviluppo della rete a Terna S.p.A, avvenuto il 1° novembre 2005 per effetto del DPCM dell’11 maggio 2004, il GSE si concentra sulla gestione, promozione e incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia, attività in parte già svolte. Il Gestore dei Servizi Elettrici - GSE S.p.a. svolge un ruolo fondamentale nel meccanismo di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate, predisposto dal provvedimento CIP 6/92, e a gestire il sistema di mercato basato sui Certificati Verdi.”
Orbene, l’informatissimo coglione non sa (o dimentica) che il GSE gestisce GIA’ da qualche anno il mercato del famosi certificati verdi, che differentemente da quanto da lui affermato ci permettono di poter sperare di rientrare negli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto grazie ai risparmi garantiti dall’utilizzo di sistemi quali lampadine a basso consumo o riduttori di flusso.
Certo… penserete mica che le varie ENEL, Ikea e compagnia bella vi regalino lampadine o filtri senza aver nessun vantaggio? No, i risparmi certificati dal GGSE divengono i famosi certificati verdi, posti in vendita ogni lunedì alla borsa dell’energia. Niente di male, intendiamoci, però il presidente del consiglio (e la macchietta che dovrebbe fungere da ministra dell’ambiente) affermano che “i costi sarebbero maggiori dei benefici”.
A parte che l’utilizzo di sistemi di termovalorizzazione è notoriamente poco vantaggioso dal punto di vista economico (un processo di riciclo si porta a break even point entro tre anni) e che un solo tumore giustificherebbe scelte anche più onerose (ma sempre meno del salvataggio a nostro carico di enti autorizzati alla rapina quali le banche oppure di Alitalia) i geni del libero mercato dimenticano che le aziende Italiane nel settore rinnovabile sono in crescita esponenziale: solo nel 2007 il fatturato è aumentato del 500% nel settore fotovoltaico e del 375% nell’eolico (fonte… confindustria, Alessandro Clerici all’Italian Energy Summit del 30.09) con un consolidato di circa 7,1 Miliardi di euro. Cioè circa il 30% di quanto gli ineffabili vorrebbero fosse il “danno” alle nostre aziende…
In questo caso da Bruxelles nessuno si è scomodato per rispondere in maniera diretta a Berlusconi, tanto il mercato delle emissioni (che gode anche della benedizione delle Nazioni Unite) è ritenuto uno strumento chiave. "Il commercio dei diritti di emissione - ha ricordato ancora il Commissario Dimas - consente alle industrie dell'Ue di scambiarsi le quote di CO2 assegnate loro, garantendo che le emissioni siano ridotte laddove risulti meno costoso farlo". Recentemente il meccanismo Ets è uscito tra l'altro rafforzato (anche se con delle modifiche sgradite agli ambientalisti) dal voto della Commissione Ambiente dell'Europarlamento.
Altro elemento portato dall'Italia a sostegno dello stop alla direttiva 20-20-20 è l'obiezione che l'Europa da sola non è in grado di ottenere nessun risultato di rilievo nel contrastare i cambiamenti climatici, mentre Stati Uniti e Cina continuano ad inquinare senza freni: si tratta di un'affermazione vera (ovviamente) solo in parte. I leader dell'Unione più impegnati nella lotta ambientale come Angela Merkel hanno presente il problema e non hanno esitato ad ammettere la questione, ma hanno più volte ribadito che il miglior modo per convincere i paesi emergenti recalcitranti (Cina, India e Brasile innanzitutto) è dimostrare che chi sino ad oggi ha fatto i danni maggiori (ovvero l'Occidente) sia credibile nel dare il buon esempio.
Inoltre non è esattamente vero che Cina e Stati Uniti non intendono impegnarsi. Pechino, che sicuramente non vede positivamente l'idea di sottostare a vincoli internazionali, non ha però escluso del tutto un'adesione al rinnovo del Protocollo di Kyoto (dal 2012 in poi) e al momento sta mercanteggiando per ottenere aiuti tecnologici dall'Occidente. Allo stesso tempo la Cina internamente sta portando avanti obiettivi ambiziosi quanto quelli dell'Ue (rinnovabili al 19% entro il 2020) e il risparmio energetico è divenuta una delle priorità di governo indicate dal Partito comunista, tanto è vero che l’industria dell’Eolico ha base principalmente nella provincia del Sichuan con circa 170.000 addetti.
Anche negli Usa le cose non sono così statiche come descritte da Berlusconi. Pochi in questi giorni hanno sottolineato che tra i provvedimenti inseriti nel piano di salvataggio del ministro del Tesoro Henry Paulson è stato inserito anche il rifinanziamento degli incentivi alle fonti rinnovabili. Inoltre, seppur tra contraddizioni e ambiguità, tanto Obama quanto McCain, hanno ammesso la necessità di regolamentare in maniera stringente le emissioni di anidride carbonica. Aperture dettate sia dal fatto che chiunque vinca la Casa Bianca dovrà vedersela sicuramente con una maggioranza democratica (un disegno di legge in proposito è già stato depositato), sia dal fatto che molti Stati stanno andando avanti per conto proprio. A fine settembre, ad esempio, si è svolta la prima asta organizzata da una coalizione di 10 stati del Nordest, la Regional Greenhouse Gas Initiative, per l'acquisto dei diritti d emissione. Un'iniziativa che si richiama all'Ets europeo.
Quindi: qual è il motivo per cui sulla base di una industria in fase di enorme sviluppo (220.000 addetti antro il 2012) che assicura una maggiore libertà energetica rispetto ai fornitori esteri (e quindi una bilancia di pagamenti migliore) e che permette di migliorare la qualità di vita di tutti noi si risponde no ? Ovvio. Gli sponsor del deficiente non sono le multinazionali che tutto hanno da guadagnare da una riallocazione del mercato energetico mondiale, ma i soliti furbetti che pur di mantenere le loro pidocchiose posizioni frutto di servilismi e di spregio di leggi e morale non esitano a boicottare una parte di Italia che investe e lavora. E, oltretutto, con la complicità di un intero gruppo dirigente.
Una esclusiva per "Tafanus" dell'Ing. Alessandro Cariani - L'articolo può essere riprodotto in tutto o in parte citando l'autore ed il link.
Chi è Alessandro Cariani
"...è stato presentato a Potenza un gel in grado di catturare l’energia solare e trasformarla in elettricità. Costa la metà di un normale pannello fotovoltaico. Inserito nello spazio tra i doppi vetri, consente una normale visibilità e l’isolamento termico dell’abitazione. In un prossimo futuro i pannelli fotovoltaici potrebbero essere sostituiti da un gel che, iniettato nei doppi vetri delle finestre, cattura l'energia solare trasformandola in elettrica e riversandola in un normale accumulatore [...]
Il brevetto del "Gel fotovoltaico", realizzato dalla "Esco Energy" dopo quattro anni di studi, è stato presentato stamani, a Potenza. Secondo quanto spiegato dal responsabile della ricerca della Esco, Alessandro Cariani, "il costo è pari alla metà di un normale pannello fotovoltaico": lo spazio tra i doppi vetri delle finestre viene riempito dal gel, consentendo una normale visibilità e, come effetto secondario, l'isolamento termico dell'abitazione [...]
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fonte: lanuovaecologia.it [ Articolo Nuova Ecologia ]
Ringrazio l'amico Ing. Alessandro Cariani per questo interessantissimo contributo. Tafanus
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