Perchè non potremo MAI accettare nessun taglio alla scuola. Non da Tremonti & Berlusconi. I dati sono tratti da due servizi del Corsera. Cose che sapevano, e di cui avevamo scritto mille volte. Ma oggi, mentre la Gelmini, su ordine di Tremonti, vuole salvare le finanze italiane tagliando sulla scuola (dopo che è stata regalata l'esenzione ICI anche alla parte più ricca del paese), questi dati conviene riscriverli, noiosamente, per l'ennesima volta. Questa volta saremo in piazza. Insieme ai nostri figli. Insieme ai nostri nipoti. La Gélmini, che opera sotto l'egìda di Trémonti e Berlùsconi, chieda conto a loro. All'amministratore di condomini della Valtellina, capace di varare "12 condoni tombali 12" tutti in una volta sola. Oppure chieda conto al venditore di saponette di Arcore, quello che "esiste una legge di diritto naturale" (che conosce solo lui) secondo la quale quando lo stato ti chiede più del 33% di tasse, si può (anzi, si deve) evadere il fisco. Cioè rubare agli onesti.
Chi non paga le tasse: fisco, una fuga da 100 miliardi - A tanto ammonta, ogni anno, l’evasione in Italia - I mille trucchi dei contribuenti per evadere le tasse.
Nel 2007 è stato un record. Dai contribuenti infedeli smascherati dagli ispettori del fisco, piovono in un solo anno 6,3 miliardi di euro, il 50% in più rispetto al 2006 (il primo anno degli "effetti Visco. NdR). Nei primi quattro mesi di quest’anno, altro record: 800 milioni recuperati dall’Agenzia delle Entrate, il 24% in più rispetto all’anno prima.
Tanto? Pochissimo, se si pensa che secondo il governo e le sue agenzie, l’evasione fiscale in Italia ammonta alla bellezza di almeno 100 miliardi l’anno, secondo i dati del ministero dell’Economia. Sono cifre ovviamente stimate, e per difetto. Secondo l’Istat, l’economia sommersa in Italia conterebbe per almeno il 20% del prodotto interno lordo, la bellezza di 280 miliardi. E secondo altre stime, ancora di più. In ogni caso, in Italia, l’evasione fiscale è pari al triplo di quella che c’è nei paesi europei più abili nella lotta al nero, e il doppio della media europea. Se si riuscisse a far pagare le tasse a tutti, ma anche ad incassare solo la metà di quei 100 miliardi evasi, l’Italia sarebbe un paese diverso. Si potrebbe, per esempio, raddoppiare la spesa per la ricerca che ci vede all’ultimo posto tra i paesi industrializzati, oppure, volendo, aumentare del 45% tutte, ma proprio tutte le pensioni.
È molto probabile, però, che tutto questo resti un sogno. L’enorme diffusione del fenomeno, ma soprattutto l’incredibile ingegnosità degli italiani nello sfuggire al fisco non lasciano grandi speranze. Furbizia e sfacciataggine nei confronti del fisco sono il pane quotidiano per tantissimi italiani, che nel corso degli anni hanno applicato la loro proverbiale fantasia in una serie di truffe, garbugli ed espedienti senza pari al mondo. Un campionario quasi imbarazzante, ben descritto da Roberto Ippolito nel suo libro Evasori. Una sorta di manuale dell’evasione e dell’elusione fiscale, messo insieme spulciando centinaia di articoli di giornale, senza la pretesa di trarne conclusioni.
Del resto, cosa si può dire di fronte ad alcuni dei casi segnalati da Ippolito, come quello dei materassi «gratuiti» allegati a riviste con un prezzo di copertina di 2 mila euro, per sfruttare il regime fiscale agevolato per l’editoria e pagare un’Iva del 4% e non del 20%? Oppure dei circoli culturali che, sempre per sfruttare il regime fiscale decisamente più favorevole, nascondono vere e proprie attività economiche, magari da 800 mila euro l’anno di ricavi, come quella scoperta ad Oristano dalla Guardia di Finanza [...]
In Italia non è difficile incontrare il precario con la Porsche, la pensionata settantacinquenne che dichiara mille euro al mese e si fa una piscina da trentamila euro, l’idraulico che dichiara 3 mila euro l’anno, ma gliene scoprono 350 mila. Casi isolati, forse. Gli studi di settore, che servono a far pagare le tasse ai lavoratori autonomi sulla base di un reddito presunto, dicono ben altro.
Parlano di 100 mila contribuenti, ad esempio, che scontano l’acquisto di beni strumentali senza però dichiararne il possesso. E tra questi: 3.329 ristoranti senza cucina o tavolini, 480 farmacie senza scaffali, 555 lavanderie senza lavatrici, più di 5 mila tecnici installatori senza pinze e cacciaviti, 360 laboratori di analisi senza strumenti. Addirittura 137 tassisti senza taxi! Anche gli ispettori del fisco si stanno attrezzando, con l’ingegno, per far fronte all’emorragia di tasse che colpisce l’Italia. In Liguria, per esempio, quasi 10 mila contribuenti «sospetti» sono finiti nel mirino dell’amministrazione fiscale, che sta completando i controlli in queste settimane. Come si è arrivati a loro? Incrociando le dichiarazioni dei redditi con i dati sui clienti raccolti in 33 agenzie di viaggio, nelle case d’asta della regione, negli aeroclub, nei centri estetici [...]
Ma c’è poco che si può fare di fronte a casi come quello di un negoziante sardo che ha sempre rilasciato sorridente lo scontrino ai suoi clienti. Mai una volta colto in fallo. Senonché il nostro pasticcere, per ben sette anni si è «dimenticato» di presentare la denuncia dei redditi. Con mezzo milione di euro di tasse evase. Del resto, le probabilità di essere controllati sono remote. Secondo alcuni studi, ogni evasore correrebbe questo rischio seriamente solo una volta ogni sedici anni. E da noi non esiste una forma di controllo sociale del fenomeno: la riprova è il putiferio che ha accompagnato in primavera la diffusione delle dichiarazioni dei redditi di tutti gli italiani su Internet, subito oscurate per la tutela della privacy.
La coscienza civile non aiuta, insomma. E anche la macchina dei controlli, benché faccia progressi enormi, non riesce a tenere il passo dell’evasione. Basti pensare al contenzioso. Anche quando il fisco riesce a spuntarla in diritto, impiega un tempo infinito per recuperare il maltolto. Il verdetto finale dei processi tributari arriva in media dopo quattro anni. E a conti fatti il bilancio è misero: su 44 miliardi di evasione accertata, le somme effettivamente recuperate dallo Stato si fermano al 7,3%. Come dire che il 92,7% di chi viene beccato la fa comunque franca.
Mario Sensini - Corsera - 28 ottobre 2008
Battaglia persa, tra condoni e manette - L’infedeltà fiscale spesso finisce in prescrizione. Negli Usa 11.691 arresti in sette anni
[...] non si spiega come mai, stando ai dati di una tabella pubblicata dall’Espresso un paio d’anni fa, i gioiellieri abbiano dichiarato al fisco, nel 2004, mediamente 16.644 euro lordi: 1.280 euro lordi per tredici mensilità. Cifra oggettivamente modesta, non soltanto perché inferiore di ben 5 mila euro al reddito dei falegnami, e addirittura alla retribuzione di un operaio, ma anche in rapporto ai redditi di 12 anni prima. Quando mediamente gli stessi gioiellieri denunciavano l’equivalente, considerata anche l’inflazione, di 13.067 euro. Numeri, del resto, non molto differenti rispetto a quelli di altre categorie. Intendiamoci: sarebbe assolutamente sbagliato caricare la croce dell’evasione soltanto sulle spalle dei lavoratori autonomi.
Le cronache hanno dimostrato che quasi nessuno, a parte i lavoratori dipendenti e i pensionati che non fanno il doppio lavoro, può scagliare la prima pietra. Il fatto è che l’Italia alterna periodi nei quali si dichiara (apparentemente) lotta senza quartiere agli evasori a periodi in cui l’infedeltà fiscale è a dir poco tollerata. Se non addirittura giustificata con le presunte vessazioni del Fisco. È rimasta celebre la dichiarazione di Silvio Berlusconi, il quale nel febbraio del 2004 sentenziò che evadere le tasse in caso di pressione fiscale «troppo alta», non era solo «moralmente giusto», ma rientrava nel «diritto naturale». Non che il premier non sapesse quanto purulenta fosse, da anni, la piaga dell’evasione. Nel 1981 l’ex ministro delle Finanze Franco Reviglio, che aveva come giovane consigliere Giulio Tremonti, sbottò pubblicamente: "L’approvazione della legge per colpire l’evasione fiscale non è più procrastinabile".
Essa è stata dettata dal preciso scopo di restituire efficacia deterrente alle sanzioni penali in materia tributaria, attraverso una "tempestiva irrogazione". Proprio così, disse: «tempestiva irrogazione ». Erano passati sette anni dal primo condono fiscale tombale che aveva seguito la riforma fiscale di Bruno Visentini, e il Parlamento si apprestava ad approvare, non senza qualche brivido, la legge sulle «manette agli evasori». Chi avesse sgarrato, da allora in poi, avrebbe testato le patrie galere. Ma una tale professione di inflessibilità, confermata anche dal successore di Reviglio, Rino Formica, fu accompagnata da un altro condono fiscale. Manette e sanatoria insieme: sai che paura? Quell’anno, era il 1982, si decise comunque di dare l’esempio, e un paio di mesi prima che la legge sulle manette fosse approvata, nel carcere di Caserta finì Sophia Loren, ritenuta colpevole di non aver pagato le tasse nel 1963. Vent’anni prima, alla faccia della «tempestiva irrogazione delle sanzioni penali».
La Loren rimase in cella 17 giorni. Inutile dire che i risultati delle «manette» furono a dir poco deludenti. Nei primi due anni di applicazione della legge vennero arrestate 93 persone. Numero che salì a 551 nei primi quattro anni. Inutile anche dire che poco dopo, nel 1991, arrivò un nuovo condono fiscale. Quindi, fra il 1994 e il 1995, insieme al condono edilizio, fu la volta del concordato fiscale. Finché si prese atto che la legge sulle manette agli evasori non aveva funzionato, né mai avrebbe funzionato. E si ripiegò su norme che avrebbero dovuto consentire al Fisco almeno di recuperare i soldi. Pia illusione. Un nuovo condono sbucò nel 2003, con Tremonti ministro, insieme a una gragnuola di altre sanatorie, compreso un nuovo perdono per i reati edilizi. Il tutto preceduto dal famoso «scudo fiscale», che consentiva a chi aveva esportato illegalmente capitali di regolarizzare, senza nemmeno l’obbligo dei reimpatrio, conti correnti e proprietà all’estero semplicemente pagando il 2,5%. Misura imitata anche dalla Germania, che però fissò la tassa al 25% e poi al 35%: per salvare almeno le apparenze.
Perché come si può pensare di spaventare gli evasori con condoni a ripetizione (gran parte dei quali si sono rivelati autentici flop), o una giustizia dalla lentezza tale che la prescrizione dei reati è la normalità? Valga ad esempio la sconcertante ammissione di un ex ministro della Repubblica, quel Cesare Previti condannato a 6 anni di reclusione per concorso in corruzione al processo Imi-Sir: «Perché non parlai della parcella nel 1997 ma soltanto ora? Non corro più rischi fiscali».
Quei rischi che difficilmente vanno in prescrizione per i contribuenti infedeli in altri Paesi. Sapete quanti ne sono stati arrestati fra il 2000 e il 2007 negli Stati Uniti? Ben 11.691, soltanto per reati federali. E pochi se la sono cavata a buon mercato: la condanna media è stata di 30 mesi, saliti a 37 per i manager di imprese che hanno evaso il fisco. Ve lo immaginate se succedesse in Italia?
Sergio Rizzo - Corsera - 28 ottobre 2008
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