Riportiamo tre "pezzetti" dall'Espresso, che la dicono lunga sulla catastrofe della "compagnia di bandiera". Ancora qualche settimana, e della mitica CAI resteranno solo un fiume di miliardi di utili per i "Capitani Coraggiosi", quando tutto sarà davvero finito.
AVIAZIONE 1 / LA NUOVA GRANA
Ora Alitalia si gioca anche gli aerei - Trecento milioni di debiti con gli aeroporti. E le società fanno partire i pignoramenti. L'Enac cerca di fermarle. Ma l'avvocatura di Stato la smentisce: giusto bloccare i velivoli
(di Francesco Bonazzi)
Lo dimostrano i vangeli: più miracoli fai e più te ne chiedono. E a Silvio Berlusconi, che spesso racconta barzellette nelle quali si paragona a Gesù, potrebbe non bastare neppure la guarigione in un colpo solo di Alitalia e AirOne, cancellandone i debiti. Perché se sfumano gli oltre 300 milioni di crediti che gli scali italiani vantano nei confronti delle due compagnie, i velivoli con le insegne della neonata Cai rischiano di dover atterrare sui prati, in spiaggia e in ogni dove. Un problema dimenticato, quello degli aeroporti, nonostante siano in ballo cifre addirittura superiori ai 275 milioni in contanti che Colaninno e soci stanno mettendo sul piatto per rilevare la parte buona di Alitalia. E nonostante il sistema aeroportuale dia oggi lavoro a circa 15 mila persone, ovvero 2 mila in più di quanti un giorno dovrebbero prendere lo stipendio dalla Cai. Delle società che gestiscono gli scali però non si parla, e questo non solo per la grandissima prudenza con la quale Assoaeroporti maneggia la bomba dei crediti, ma anche e soprattutto per il comportamento tenuto dall'Enac. L'ente pubblico che dovrebbe vigilare sull'aviazione civile, come risulta da una serie di documenti in mano a 'L'espresso', in questa storia è apparso assai 'sdraiato' sugli interessi dei vettori e un domani rischia addirittura di finire in giudizio per responsabilità extracontrattuale.
Nel mese di settembre, dopo il commissariamento di Alitalia, alcuni aeroporti scrivono all'Enac per sapere se possono bloccare gli aerei di Alitalia, di AirOne e di tutti gli altri vettori che non pagano i diritti di atterraggio e i servizi di 'handling'. In termini strettamente giuridici, si tratta di sapere se si possa applicare anche il micidiale articolo 802 del codice della navigazione, quello che dispone il fermo degli aerei da parte dell'Enac. L'organismo di controllo, in una nota firmata dal direttore generale Silvio Manera il primo ottobre scorso, scrive ad Assoaeroporti che "la questione della portata applicativa dell'articolo 802, connotata da profili di estrema delicatezza, è stata oggetto di una richiesta di parere all'Avvocatura generale dello Stato".
Ma anziché fermarsi in attesa del parere, l'Enac disquisisce in punta di diritto per due pagine fitte fitte di argomentazioni e conclude così: "Questo Ente ritiene che, riguardo alla situazione di Alitalia, il vigente quadro normativo non consenta l'applicabilità dell'articolo 802" ed esclude anche che "possano essere attivate azioni esecutive". Un assist al governo, all'Alitalia e alla Cai, giocato a spese di soggetti vigilati come gli aeroporti. Molti di questi, non a caso, fermano i decreti ingiuntivi. Passano due settimane e all'Enac arriva il parere dell'Avvocatura, datato 14 ottobre. A pagina 8 del documento, al momento di tirare le conclusioni, gli avvocati dello Stato Pierluigi Di Palma e Aldo Linguiti scrivono che si può applicare l'articolo 802 anche ad Alitalia: "Il fermo può essere disposto dalla direzione aeroportuale del luogo in cui si trova l'aeromobile". Non solo, ma l'Avvocatura spiega che "la procedura di fermo può essere attivata anche d'ufficio dall'Enac, qualora accerti la violazione degli obblighi relativi al pagamento dei diritti, tasse e tariffe aeroportuali". E infine, avverte l'ente che "in caso di specifica segnalazione del gestore, l'Enac, previa verifica della situazione d'insolvenza, non potrà esimersi dall'adottare il provvedimento richiesto, pena l'esposizione dell'Enac stesso al rischio di pretese risarcitorie extracontrattuali dei gestori".
Con in mano un parere così allarmante, il 17 ottobre Manera innesca un'imbarazzata retromarcia. Il direttore dell'Enac scrive ad Assoaeroporti per chiarire che la nota del primo ottobre non voleva essere di freno a nessuno, e che anzi era stata oggetto di "erronea e fuorviante interpretazione". Dopo di che, a scanso di nuovi equivoci, ammette che si possono fermare i singoli aerei e anche chiedere al giudice ordinario le ingiunzioni di pagamento.
È proprio questo carteggio riservato a spiegare che cosa sta succedendo ora nel 'backstage' del grande salvataggio Alitalia-AirOne. Aeroporti di Roma, che secondo fonti del settore è esposta per 70 milioni verso Alitalia (37 con la vecchia società e 33 con quella gestita da Fantozzi) e per altri 30 verso AirOne, ha pignorato tre aerei alla ex compagnia di bandiera e sta ottenendo decreti ingiuntivi nei confronti della compagnia di Carlo Toto. Se si comporta con tanta audacia forse è perché è l'unico gestore veramente privato. La Gesac di Napoli, a capitale misto British Port Authority ed enti locali, è partita con diffide e decreti ingiuntivi per tutelare i suoi 4 milioni di crediti complessivi ed è uscita con clamore da Assoaeroporti, accusata di immobilismo, spingendo il presidente Di Paola alle dimissioni. La Sea, che gestisce Linate e Malpensa, è in grande imbarazzo: da un lato è esposta per 47 milioni con Alitalia (e chissà quanti con AirOne) e ha 900 dipendenti in cassa integrazione; dall'altro è guidata da manager del centro-destra poco vogliosi di far saltare il banco dei miracoli. Le stesse cautele si trovano un po' ovunque, da Palermo (3 milioni) a Bari (8 milioni), da Torino (6 milioni) a Catania (3 milioni) e Genova (2 milioni solo con Alitalia). Alla fine, una stima prudente dei crediti a rischio si ferma a 200 milioni per l'epoca pre-Fantozzi e ad altri 100 per il trimestre in corso. Come riassume il senatore Marco Filippi, capogruppo del Pd in commissione Trasporti, "qui per salvare due compagnie aeree, si rischia di mandare a picco chi gestisce le infrastrutture e di mettere sul lastrico 15 mila lavoratori che non sono cittadini di serie B rispetto ai dipendenti di Alitalia e di AirOne".
...la cosa fantastica che "Aeroporti di Roma", di cui è azionista Benetton, dovrebbe chiedere i pignoramenti per i debiti che la CAI - di cui è azionista, ancora, Benetton, è già riuscita ad accumulare. Ve lo immaginate Benetton che pignora Benetton? Siamo alla tragicommedia... Taf)
AVIAZIONE 2/INTERESSI E POLITICA
Bandiera nera - Parlamentari. Consulenti. Più mogli, figli e amici. La lobby di Alleanza nazionale per controllare l'Enac. E la partita Alitalia (di Fabrizio Gatti)
Un giro di soldi usciti dalle casse di Alitalia. E finiti alla famiglia di un ex parlamentare di Alleanza nazionale. È una delle partite occulte intorno al futuro della compagnia di bandiera. La stanno giocando un onorevole in pensione, sua moglie, un commerciante di abbigliamento, una società con la sede a pochi passi dal Parlamento e l'Enac, la massima autorità che regola il trasporto aereo. A modo loro, formano la pattuglia aeronautica del governo: un comitato di uomini delle istituzioni e consulenti targato An, che si è fatto largo grazie all'ombrello del presidente della Camera, Gianfranco Fini e del ministro dei Trasporti, Altero Matteoli. Ultima missione: sponsorizzare il passaggio verso la Cai di Roberto Colaninno e salvare la faccia a Silvio Berlusconi, nonché il destino di AirOne, la società di Carlo Toto. Il risultato lo si è visto nelle ultime settimane quando l'Enac ha tentato di impedire che i gestori degli aeroporti chiedessero il pignoramento degli aerei Alitalia.
L'uomo chiave della lunga mano del partito di Fini è un ex calciatore della Lazio che in questi tempi sta cercando di accreditarsi tra i consiglieri personali di Roberto Colaninno. Si chiama Luigi Martini e anche se ha appena 59 anni, può contare su due pensioni: una da ex parlamentare e una da ex comandante Alitalia. Martini indossa la maglia biancoceleste quando nel 1974 la Lazio vince lo scudetto. Proprio in quegli anni manifesta le sue simpatie avvicinandosi al Movimento sociale italiano. E nel partito della destra nazionale incontra Gianfranco Fini.
Da comandante Alitalia, Luigi Martini viene eletto due volte in Parlamento. E come massimo esperto di An nel settore va a sedersi fino al 2006 nella commissione Trasporti della Camera. È qui che mette a segno il gol politico più importante. Nel 2003 il governo deve rinnovare i vertici di Enac. A Silvio Berlusconi va bene come presidente Vito Riggio, un professore siciliano ex democristiano, consulente del ministro alle Infrastrutture, Pietro Lunardi. E come direttore generale, carica ben più importante di quella di presidente, Berlusconi e Lunardi vogliono Carlo Damiani, uno dei più attivi progettisti di aeroporti. I giochi sembrano fatti. Invece no: lo scontro nel governo dura tre mesi. E soltanto in luglio il ministro Lunardi annuncia le nomine. Il presidente è Vito Riggio. Ma il direttore generale di Enac, incarico affidato per decreto dal presidente del Consiglio, è uno sconosciuto ai più: Silvano Manera, ex pilota militare ed ex iscritto alla Cgil, fino a quei giorni quality manager di Alitalia dove per anni è stato responsabile della sicurezza. È il nome imposto da Fini, allora vicepresidente del Consiglio. Manera, 62 anni, diventa così il direttore generale che oggi sta gestendo sul filo del codice civile la questione Alitalia: dal minacciato ritiro della licenza alla compagnia alla lettera contro i pignoramenti.
Perché Fini ha imposto proprio lui? Nella compagnia di bandiera raccontano che Luigi Martini volesse un suo uomo. Manera era già stato apprezzato nel centrodestra. Da manager Alitalia aveva studiato l'apertura del collegamento Roma-Albenga voluto dallo staff del ministro ligure Claudio Scajola. Anche se Albenga è un aeroporto pericoloso quando è coperto dalle nuvole. Ma c'è un altro credito che Martini può incassare in quei giorni: l'assunzione in Alitalia di un copilota nel 2002, l'unico preso durante il blocco delle assunzioni. È il figlio di Altero Matteoli, allora ministro all'Ambiente.
Martini e Matteoli si conoscono da tempo. Sono toscani. E a Orbetello, dove l'attuale ministro dei Trasporti è sindaco, la famiglia Martini ha una casa. Un'altra spiegazione però può essere trovata in via del Leoncino 16, a Roma, a pochi passi dal Parlamento. In un elegante palazzo sopra Ciampini, la gelateria degli onorevoli, ci sono gli uffici di una consulente coinvolta in uno scandalo nello scandalo Alitalia. È la moglie di Martini, Cristina Casadio, 57 anni. Nel 2004 si scopre che il disastrato bilancio della compagnia versa soldi alla moglie dell'onorevole, responsabile Trasporti di Alleanza nazionale. Un contratto per attività non meglio precisate di "monitoraggio parlamentare". E la notizia finisce sui giornali. Quello che ancora nessuno immagina è chi sia il socio di Cristina Casadio: un commerciante romano di abbigliamento che non ha nessuna esperienza con il mondo aeronautico, se non l'amicizia fin dall'infanzia con l'uomo più potente del settore, Silvano Manera, direttore generale di Enac. Vito Latrofa, questo il nome del commerciante, 64 anni, entra in società con la moglie dell'onorevole Martini il primo ottobre 2003. Lo stesso giorno in cui Manera assume l'incarico di direttore generale. E secondo gli atti di un processo davanti al Tribunale civile di Roma, non sarebbe una coincidenza.
Nella causa, avviata su questioni private, si sostiene che Vito Latrofa sia il prestanome del direttore generale di Enac. E per accertarlo è stato chiesto l'intervento della Guardia di finanza. Gli interessati smentiscono. Ma se fosse così, Alitalia avrebbe versato soldi a una consulente che è moglie del responsabile di An ai Trasporti. Ed è in affari con il direttore generale voluto da Alleanza nazionale al vertice di Enac: l'uomo che con una sua firma può condizionare le trattative per la rinascita o la fine di Alitalia.
Non è fantastico??? ma non ci hanno detto in tutti i modi che AN è sempre stato il "partito dalle mani pulite"? Taf
AVIAZIONE/3 - E l'azionista Cai mi dice: pilota, lei è finito
Caro direttore,
sono un comandante Alitalia. Lunedì ero seduto a Santa Monica in un negozio di abiti, nei dintorni dell'albergo dove alloggiavo, mentre i piloti del mio equipaggio finivano di provare una felpa. C'erano i saldi e Abercrombie and Fitch era pienissimo. Su una poltrona, un signore con l'accento fortemente toscano mi chiede: "Italiano?". "Sì", rispondo. "Parte anche lei stasera con Air France?", mi fa lui. "No, vado domani con la Delta. Siamo piloti Alitalia e abbiamo fatto l'ultimo volo per Los Angeles da Roma. Ora siamo costretti a tornare con altre compagnie. Alitalia, anche se in questi sei mesi la rotta Roma-Los Angeles ha avuto un coefficiente di riempimento dell'85 per cento, ha soppresso il volo".
"Ah siete dell'Alitalia? Lo sa che io, insieme a mio fratello, sono nella cordata Cai?", mi risponde. "Bene, piacere. Io mi chiamo Elvio D'Alù e sono un comandante di Boeing 777: metta una buona parola con Colaninno per far sì che senta le nostre ragioni senza disintegrare la nostra dignità professionale... Mi scusi, come ha detto che si chiama?". "Mi chiamo Fratini. Siamo toscani del Mugello, immobiliari. E lo so, purtroppo i tempi sono cambiati. Anch'io sono un pilota, posseggo un elicottero personale Agusta A109 e mi tengo stretto il mio comandante che mi aiuta nel volo strumentale".
E io gli chiedo: "Mi dica una cosa: ma chi glielo ha fatto fare di infilarsi in questo ginepraio della cordata Alitalia?". Lui: "Eh, mica sono stupido: l'avrebbe fatto anche lei! Stiamo comprando l'Alitalia senza soldi e fra tre anni guadagneremo 300 milioni. La maggior parte di noi ha messo solo la firma, rischiamo solo in caso di bancarotta, di nostro non rischiamo nulla: dietro ci sono banche e finanziarie. So che preparate uno sciopero, mi sa che è inutile tanto ormai è tutto pronto per lo svecchiamento in Alitalia: è cosa fatta...". Sono rimasto senza parole.
Comandante Elvio D'Alù (era presente il primo ufficiale Ivan Pasquini)
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