E' autunno. In autunno cadono le foglie, e cadono anche le sciocchezze. E' tempo di riparlare di inceneritori, discariche, termovalorizzatori, differenziata. E' il tema di ogni autunno che si rispetti. Qualcuno ricorda le risse parascientifiche dell'autunno 2007 sul Tafanus? Ma si... quando a straparlare del sogno di San Francisco, e di "Rifiuti Zero", grazie al miracolo prossimo venturo della raccolta differenziata e del riciclaggio totale, erano in prima linea solo persone assolutamente ignare del pur notissimo "Principio di Lavoisier"... Il principio di Lavoisier, tradotto per il volgo in "nulla si crea, nulla si distrugge", suona più propriamente così:
"...una reazione chimica è una trasformazione della materia che avviene
senza variazioni misurabili di massa, in cui uno o più reagenti
iniziali modificano la loro struttura e composizione originaria per
generare i prodotti..."
No, non lo diceva solo il presuntuoso Tafanus. Lo aveva detto qualcuno molto più autorevole, e molto prima di lui. Bastava leggere, qualcosa di meno ideologico, e di più scientifico. Ora di questo principio si ricordano (era ora!) istituti di ricerca, ed anche, semplicemente, giornalisti ben informati. Pubblichiamo volentieri, per gentile concessione, questo articolo de "lavoce.info". Tafanus
"Non c'è dubbio che gli inceneritori inquinano. Come tante altre cose. Il punto è capire quanto, se più o meno delle altre alternative disponibili e con quali conseguenze. Inoltre, non è né solo una centrale elettrica né solo un impianto per smaltire i rifiuti, ma è le due cose insieme. E la valutazione va fatta tenendone conto. Tanto più che lo stesso riciclaggio spinto all'estremo comporta emissioni comparabili. In altri termini, sia il bilancio ambientale che quello energetico sono molto più equilibrati di quanto si pensi".
Nell’immaginario comune, gli inceneritori sono costose macchine di morte. Tanto più odiosi, in quanto basterebbe un po’ di buona volontà e – oplà – i rifiuti sparirebbero senza lasciare traccia, chiudendo il cerchio ecologico e senza lasciare debiti con la natura. Prendi San Francisco, per esempio, antesignana della politica “rifiuti zero”, dove già oggi riciclano i due terzi dei rifiuti. E vogliono salire al 75 per cento. Ma le cose stanno davvero così?
MA QUANTO INQUINANO?
Che gli inceneritori inquinino, non c’è dubbio. Ma tante altre cose inquinano. Il punto è capire quanto, e con quali conseguenze. Si citano studi riferiti a vecchi impianti, costruiti con tecnologie obsolete, presso i quali sono stati effettivamente riscontrati effetti non trascurabili sulla salute. (1) Oppure studi riferiti alla concentrazione di polveri sottili e ultrasottili, nanoparticelle, microinquinanti vari – non, si badi bene, necessariamente prodotti da inceneritori ma praticamente ubiqui; studi abbastanza contrastanti, ma comunque allarmanti. Peccato che invece manchino studi riferiti al reale impatto di un inceneritore moderno. Se è vero che emette nanoparticelle e microinquinanti, non è affatto dimostrato che il suo contributo sia determinante nel modificare in modo significativo le concentrazioni già presenti per mille cause diverse. I pochi tentativi di misurare il dato, ad esempio a Bolzano, sembrano mostrare che i livelli di concentrazione ne risentono poco o nulla.
Le migliori tecnologie sul mercato consentono emissioni comparabili con quelle di qualsiasi altro impianto industriale nel quale avvengano processi di combustione. Che in città l’aria sia più inquinata che in alta montagna, lo si sapeva. Ma vivere vicino a un inceneritore, a una centrale elettrica, a un altoforno, a un cementificio o a un incrocio con semaforo fa pochissima differenza. Se proprio vogliamo preoccuparci di qualcosa, preoccupiamoci della qualità malsana dell’aria che si respira negli edifici, a cominciare da quelli in cui abitiamo. (2)
Ovviamente, gli impianti vanno fatti bene, le migliori tecnologie bisogna poi usarle e anche pagarle. Altrettanto ovviamente, bisogna anche controllare cosa ci viene bruciato. In tutta Europa – parliamo di Austria, Svezia, Germania, Olanda: paesi a cui coscienza ambientale e rigore normativo non fanno difetto – questi impianti si costruiscono in prossimità delle zone residenziali, anche per meglio sfruttare la cogenerazione di calore per il teleriscaldamento. In questo ultimo caso, poi, le emissioni dovrebbero essere calcolate sottraendo quelle risparmiate negli impianti di riscaldamento domestici, e il risultato potrebbe sorprendere. Per molti inquinanti può essere addirittura negativo: le emissioni aggiuntive sono più che compensate dalla riduzione di quelle preesistenti.
Non basta dire che “l’inceneritore inquina”, ma bisogna valutare se inquina più o meno delle altre alternative disponibili. Lo stesso riciclaggio spinto all’estremo comporta emissioni comparabili con quelle del camino di un inceneritore (si pensi solo ai mezzi impegnati nella raccolta differenziata porta a porta). In questi termini, sia il bilancio ambientale che quello energetico sono molto più equilibrati di quanto si pensi.
Gli scenari a “rifiuti zero” (non proprio zero, ma insomma), così di moda, sono praticabili in determinati contesti, non in tutti. In ogni caso, “rifiuti zero” implica che i flussi di materiali buttati via finiscano da qualche parte, con impatti non necessariamente minori. Anche nella ridente Treviso, spesso citata come esempio, cdr e compost non vengono recuperati, ma finiscono in qualche discarica autorizzata per rifiuti speciali. Il famoso centro recupero di Vedelago ricicla, è vero, tutti i rifiuti che gli vengono conferiti, ma non tutti i rifiuti di Treviso possono essere conferiti a Vedelago. Se posso scegliere quali rifiuti ricevere e quali no, sono capace anche io di riciclare il 100 per cento.
Gli strateghi dell’iper-riciclaggio dovrebbero avere l’onestà di ammettere che i loro schemi logistici hanno una falla: se i materiali avviati ai vari cicli di recupero poi non trovano mercato, come finora è capitato a tutto ciò che risulta dalla selezione meccanica del rifiuto indifferenziato, diventano rifiuti speciali che dovranno a loro volta essere smaltiti o pseudoriciclati. Ma siccome per i rifiuti speciali non vale il principio di autosufficienza, ma solo l’obbligo di rivolgersi a un operatore accreditato e autorizzato, dovunque collocato, questi materiali, che nessuno vuole, prendono la strada delle discariche sparpagliate in mezza Italia. Ecco spiegato,almeno per quel che riguarda gli urbani, il cosiddetto scandalo dei rifiuti del Nord inviati al Sud. (3)
E comunque, visto che poi tra un passaggio e l’altro non si sa mai bene dove si va a finire, ecco spuntare anche, in modo insospettabile, dietro le anime belle del “no all’incenerimento”, l’ombra della camorra, secondo un meccanismo del tutto simile a quello per cui i proibizionisti finiscono oggettivamente per remare a favore dei trafficanti di droga.
(...e dietro l'ombra del traffico di rifiuti "speciali" e la camorra, in provincia di Caserta sembra spuntare, prepotente, l'ombra di un maggiorente del PdL... NdR)
COME FARE LA VALUTAZIONE
L’inceneritore non è né solo una centrale elettrica né solo un impianto per smaltire i rifiuti, ma è le due cose insieme. La valutazione va fatta considerando quattro voci di ricavo:
- -a) quelli derivanti dall’energia recuperata e ceduta alla rete
- -b) le tariffe pagate da chi riceve il calore per il teleriscaldamento
- -c) le tariffe pagate da chi conferisce i rifiuti
- -d) gli eventuali sussidi forniti alla generazione di energia da fonti alternative al petrolio.
Le prime due voci dipendono dal mercato energetico e riflettono indirettamente anche il costo del combustibile: più costa il petrolio, più vale l’elettricità. La terza, che è in genere quella decisiva, dipende anche dal costo delle modalità alternative di smaltimento o recupero: più costa la discarica, più convengono altre soluzioni.
Sull’opportunità dell’ultima si può discutere, come anche della forma con cui corrisponderla (contributi Cip6, certificati verdi eccetera). In ogni caso, anche il riciclaggio viene sussidiato, sebbene il cittadino non se ne accorga: i contributi che le imprese produttrici pagano al Conai o ai vari consorzi obbligatori finiscono ricaricati sui prezzi di vendita dei prodotti. Per fare i conti in modo asettico e valutare la convenienza relativa bisogna, da un lato, fare piazza pulita di tutti i sussidi, non solo quelli al recupero di energia. Dall’altro, includere nella valutazione anche i costi esterni, legati all’inquinamento, all’occupazione di suolo e così via.
Un’analisi di questo tipo ci rivela che la soluzione migliore sta nel mezzo e che non si devono mettere tutte le uova nello stesso paniere. Ci serve un sistema equilibrato, orientativamente con un 30-60 per cento di recupero diretto. (4) Mentre l’impianto di incenerimento del rifiuto tal quale (non pretrattato) si giustifica se si riescono a raggiungere scale elevate (1.500 t/giorno), altrimenti occorre prima trasformarli meccanicamente per bruciarli con maggiore convenienza in un impianto ad hoc, o trasformarli ulteriormente in cdr, destinato ai cementifici: inquina ugualmente, ma almeno si risparmiano combustibili più pregiati a parità di emissioni.
In conclusione, sugli inceneritori grava un clima di sospetto in buona parte ingiustificato. Se sulle loro emissioni si concentrano da trenta anni studi epidemiologici di ogni genere, se il legislatore impone standard estremamente accurati, molto più severi che per altri impianti industriali, altrettanto non può dirsi per le altre forme di smaltimento: se si volesse fare loro il pelo e il contropelo come per gli inceneritori, si sfaterebbero molti pregiudizi.
N.B.: Le affermazioni contenute in questo articolo si fondano in buona parte su una ricerca, tuttora in corso, effettuata dal Centro di ricerca Iefe in collaborazione con il Politecnico di Milano e le Università di Piacenza, Bologna e Trento.
(1) Un’esauriente rassegna di studi epidemiologici è contenuta nella voce dedicata all’incenerimento su wikipedia.
(2) A. Massarutto, a cura di, La valutazione economica dell’inquinamento indoor, Quaderni di ricerca Iefe, Università Bocconi, 2000.
(3) “Cosiddetto” scandalo perché si tratta di un accorgimento legale, o almeno non illegale, anche se forse il legislatore non pensava proprio a questo.
(4) I valori della forchetta variano a seconda dei casi, per esempio in funzione della densità abitativa così come della effettiva capacità di far funzionare la raccolta differenziata.
(di Antonio Massarutto - www.lavoce.info - 11.11.2008)
SOCIAL
Follow @Tafanus