Ringrazio Pupetta che mi ha segnalato il link di questo articolo di Gramellini. Lo avevo visto stanotte in una rassegna stampa, poi mi era passato di mente. Ora lo ritrovo, grazie al link di Pupetta, e lo copio & incollo senza cambiare una virgola. Riflette perfettamente (ma lo dice meglio) il mio pensiero, espresso nel post di ieri dedicato a Tremonti, ed ai suoi amici elemosinieri senza tatto e senza carità. Grazie, Pupetta. Tafanus
Gogna senza vergogna
Diciamo la verità: la «social card», latinorum inglese per designare la carta dei poveri, dal punto di vista psicologico è una pessima mossa. Emana aria di depressione e richiama la tessera annonaria dei tempi di guerra. Quanto di più lontano dal berluscottimismo che il presidente del Consilvio vorrebbe trapiantarci sotto la cute. Ma ora che esiste, bisognerà almeno farla funzionare con decenza. Evitando che per i finti poveri diventi una tessera dei furbi e per quelli veri una patente di fallimento esistenziale.
La carta che copre 40 euro di spesa e di bollette al mese non porta inciso il nome del beneficiario, ma va comunque esibita all’impiegato dell’ufficio o al commesso del supermercato, in mezzo a una folla di propri simili che osserverà e giudicherà. Non ho sufficiente stima del genere umano per immaginare che riesca a soffocare i suoi impulsi più meschini. Però confido che la crisi compia il miracolo di tutte le crisi ed esalti lo spirito di fratellanza che, non basandosi su regole certe ma su afflati emotivi, ha sempre trovato negli italiani gli interpreti più sorprendenti.
Il mio timore riguarda i possessori della tessera. Spesso degli anziani giunti al rendiconto di una vita. A costo di apparire patetico, mi inchino davanti a loro: non devono sentirsi sconfitti né imbarazzati. Provino vergogna i ladri, i raccomandati, gli scansafatiche. Ma chi si è sempre sudato il suo pane ha diritto di passare attraverso questa gogna a testa alta. Sarà qualcun altro che, guardandolo, dovrà abbassarla.
Massimo Gramellini - La Stampa
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