Non ti conosco personalmente, ma attraverso Antonio, che invece conosco dentro e fuori e so che dice di te che sei un sorriso e che sei sempre stata portatrice sana del virus contagioso dell’allegria e che hai contagiato tanti. Se lo dice lui, è sicuramente vero. Allora la tua morte non è una tragedia, ma la presa d’atto che il mondo non può vivere senza persone come te. La tua morte ci richiama all’esigenza che abbiamo bisogno di te perché tu sei una testimone di vita e di gioia. Ora tu puoi arrivare a contagiare molti, tanti altri più di quanto non potessi fare in vita. Io sono profondamente credente e so che tu non sei morta, ma che adesso vivi la pienezza della vita e vedi faccia a faccia il principio e il fondamento della gioia e dell’allegrezza. Ora, ne sono, sicuro, tu ti sei già fatta carico di tutti quelli che oggi ti piangono e li saprai consolare e saprai dare loro un segno che le lacrime nella loro umanissima fragilità non possono essere segno di fragilità, ma parole d’amore che le parole non sanno esprimere. Quando non sappiamo come dire l’amore e il dolore, noi piangiamo.
Cara Annamaria, ora sei seduta sulle ginocchia di Dio Padre, lo puoi vedere occhi negli occhi, sono felice per te e spero di avere anch’io al più presto questa gioia. Sì desidero la morte come la pienezza della vita, il momento supremo e la verità della vita vissuta. Non ti chiedo nulla, solo di dare una carezza al Padre anche per me.
Dice una tradizione ebraica che in ogni generazione vi sono trentasei giusti nascosti e sconosciuti a tutti, che tengono in piedi il mondo. Sono le colonne su cui poggia l’umanità. Se venissero meno, il mondo si affloscerebbe su se stesso. Ogni volta che muore un giusto, da qualche parte del mondo, nello stesso istante, ne nasce un altro e così via fino alla fine del mondo. Ognuno di noi può essere questo giusto, anche senza saperlo. Sono certo che tu sei una dei trentasei. Ora non so dove c’è qualcuno che ha preso il tuo posto, potrei essere io, Antonio, Marisa, o ognuno di coloro che leggono e scrivono sul Tafanus. Per questo per me diventa un impegno a vivere nella giustizia per non tradire il mondo, per non tradire te, per non tradire la mia coscienza e il Dio in cui credo con tutto me stesso.
Sono contento di averti conosciuta così immaginando il tuo sorriso che non ho mai visto, il tuo volto che no ho mai conosciuto. Ora ho la sensazione di averti sempre conosciuta e di averti sempre frequentata. TI ringrazio del dono che sei per tutti noi. Ciao, Annamaria. Letteralmente «Ad-Dio» che per me si traduce in un «Arrivederci!». Con amore e con gioia, tuo
Paolo Farinella, prete
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hai tutta la mia “solidarietà” in questo “vuoto” che ti si è parato davanti. Vedi, devo essere sincero. Non avendo conosciuto Annamaria non posso parlare di “condoglianze” come se l’avessi conosciuta… Conoscendo però i vostri percorsi e la ricchezza di certi rapporti non posso non sentirmi solidale con questi e con quelli. Non so per quale strana legge avviene che sia proprio la perdita, la mancanza che assegna il significato alle cose. E' proprio quando ci abbandonano che le cose si rivelano importanti, insostituibili! Perché? Consumiamo aria stupidamente e solo quando essa è avvelenata rimpiangiamo “l’aria pura dei monti”. Perché? Sciupiamo spavaldamente acqua e solo quando ci manca la promuoviamo a tesoro. Perché? Consumiamo amori ed amicizie con spaventosa bulimia, e solo quando restiamo soli ci accorgiamo della loro insostituibile preziosità.
Perché? C'è un passo del prometeo di Eschilo in cui dice: io liberai gli uomini dal freddo, insegnai a costruire case; da una cosa sola non li potei liberare:dalla Morte. La morte, questo segno massimo della più radicale privazione, è, purtroppo, il segno costante del nostro incivile vivere. C’è in giro un tripudio di morte che fa spavento E' strano, osservava Raniero La Valle qualche tempo fa, come l'Occidente non si renda conto che sta costruendo il mondo su un'apologia della morte. “La civiltà che si doveva difendere si è invaghita della morte, e su di essa fonda la sua durata". Conoscendo te, Antonio, immagino che anche Annamaria abbia lottato contro le mille forme di morte camuffate. Se così è, credente o non credente, ci sia sufficiente continuare a piantare segni di vita, dentro e fuori di noi, convinti, con Victor Hugo, che "Mourir n'est rien; ne pas vivre est terrifiant"! Ti abbraccio
Don Aldo Antonelli (E questa volta il "don" che non sia di parata!)
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