Alle 5,21 di questa
mattina sono trascorsi esattamente 100 anni da quell'alba del 28 Dicembre 1908,
quando fra Messina, Reggio Calabria e i paesi vicini, morirono più di 100.000
persone. Nella sola Messina morirono 90.000 persone su una popolazione di
170.000 abitanti. E' come si in Italia una catastrofe naturale distruggesse in
un colpo solo la vita di 31 milioni di persone. E' in ricordo di quella tragedia
che questo post esce esattamente alle 5,21 di oggi.
Il terremoto di Messina ha sempre suscitato in me fortissime emozioni, per le ragioni più svariate (piccole e grandi). Innanzitutto per le dimensioni delle perdite in vite umane, che ha scarsi precedenti nella storia dell'umanità. Poi per la solita inefficienza della macchina dei soccorsi pubblici, che si è mossa tardi e male (se possibile, peggio che in Irpinia, ma con l'attenuante delle difficoltà di comunicazioni dell'epoca). Ancora: allora come oggi, i luoghi del disastro furono invasi da baraccamenti e case popolari "provvisorie", come quelle del Belice. Anzi, peggio. Case fatte per durare un paio d'anni, sono rimaste li, per decenni. A Messina esiste ancora un quartiere fatiscente di baracche post-terremoto.
Un piccolo ricordo di famiglia: chi vi scrive è vivo
(anzi, è nato) solo per caso. Un piccolo "coup de cul", e vi
sareste salvati da quasi tre anni di tafanate. Si da il caso che il nonno
paterno del Tafano, allora giovane sottufficiale dei Carabinieri, comandasse la
Stazione di un paese, Lazzaro-Pellaro, diventato tristemente famoso perchè fu travolto in
pochi minuti prima dal terremoto, poi da tre successive ondate di maremoto,
l'ultima delle quali è stata stimata in 13 metri di altezza. Quelli che si erano
salvati dai crolli delle case, si erano riversati in massa sulla spiaggia, per
essere sradicati da questo immane tsunàmi. Il 95% degli abitanti morì in pochi
minuti. I miei nonni si erano allontanati due giorni prima per trascorrere gli
ultimi giorni dell'anno dai parenti, in un paesino più a nord. Al ritorno, non
trovarono più nulla: niente casa, niente caserma, niente amici, niente parenti.
Tutto inghiottito.
Infine, una considerazione sul futuro: ci vuole solo una squadra di dementi per pensare di costruire il ponte a campata unica più grande del mondo nella zona d'Italia a maggior rischio sismico, dove si è già verificata una scossa dell'undicesimo grado della scala Mercalli. Purtroppo la geologia non viaggia con un orologio Sektor, ma con tempi che si misurano imperscrutabilmente e capricciosamente col metro dei decenni, e a volte dei secoli. Quello che è successo una volta, potrà succedere di nuovo. Anzi, è quasi certo che succederà. Da Scilla e Cariddi si vede cosa bolle nelle viscere della terra. Basta rivolgere lo sguardo verso l'Etna, verso Stromboli, per capire di essere al centro di un sistema vulcanico e tettonico che attende solo il momento più opportuno per tossire di nuovo.
Smettiamo, finchè siamo in tempo di trastullarci col Ponte. Facciamo una colletta. Regaliamo a Berlusconi e Scajola il kit del "Piccolo Chimico".
Correva l'anno 1908. Ore 5,21. La scossa dura 37 secondi, ed è di una potenza distruttiva. Stimata in 7,1 gradi Richter, equivalenti a circa 11 gradi della scala Mercalli. La perdita, elevatissima, in termini di vite umane, è dovuta anche all'orario. Quasi tutti furono sorpresi dalla scossa nel sonno, rimanendo sepolti sotto le macerie. Chi riuscì a salvarsi dai crolli, andò incontro allo tsunàmi, che si sviluppò in tre ondate suuccessive, colpendo, con l'onda di ritorno, principalmente il pezzetto di costa calabra più meridionale (quello con andamento ovest-est, cioè da Reggio verso Pellaro: la zona più frontalmente esposta all'onda di ritorno proveniente dal sud, dal mare aperto.
Altre migliaia di persone morirono per la lentezza dei soccorsi (partiti tardi e male perchè non si capì subito di quale gravità fossero gli eventi), ed anche ad onor del vero, per la difficoltà e la lentezza nel campo delle comunicazioni. Annotiamo da Wikipedia:
[...] la notte, i sismografi registrarono il verificarsi di un terremoto di grande magnitudo. Il sisma è inquadrabile settorialmente in una zona probabilmente ubicata in Italia. Nessuna ulteriore informazione disponibile, solo le tracce marcate dai pennini sui tabulati degli osservatori sismici che gli studiosi cominciarono velocemente ad analizzare ed interpretare. I telegrafi cominciarono a ticchettare in attesa di ottenere e scambiare notizie. Così, prima di ottenere una qualsivoglia comunicazione ufficiale, molte nazioni del mondo, e l’Italia stessa, furono informate attraverso la strumentazione scientifica [...] i sismografi misero in evidenza solo la grande intensità delle scosse senza consentire però agli specialisti di individuare con altrettanta certezza la specifica localizzazione e solo di immaginare, ovviamente, i possibili danni provocati da un sisma di quella intensità. Gli addetti all’osservatorio ximeniano annotarono: «Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave» [...]
La Calabria meridionale e l'area dello Stretto di
Messina sono zone ad elevata sismicità; risultano infatti colpite da almeno 8
eventi sismici di magnitudo pari o superiore a 6 in epoca storica. (...per la cronaca: il mago
Zurlì ci rassicura: "il Ponte - maiuscola d'obbligo - è progettato per resistere
a scosse di 7,5 punti nella scala Richter. Allegria... NdR)
Cos'è successo? Il 28 dicembre 1908, lunedì, alle ore 5,21 del mattino, nella piena oscurità e con gli abitanti immersi nel sonno, un terremoto (uno dei più potenti della storia italiana), che raggiunse i 7,1° grado della scala Richter [2] (11-12° nella scala Mercalli), seguito da un maremoto, mise a soqquadro le coste calabro-sicule con numerose scosse devastanti. La città di Messina, con il crollo di circa il 90% dei suoi edifici, fu quasi rasa al suolo. Gravissimi i danni riportati da Reggio Calabria e da molteplici altri centri abitati del circondario. Sconvolte le vie di comunicazione stradali e ferroviarie nonché le linee telegrafiche e telefoniche.
L’illuminazione stradale e cittadina venne di colpo a mancare a Messina,
Reggio, Villa San Giovanni e Palmi, a causa dei guasti che si produssero nei
cavi dell’energia elettrica e della rottura dei tubi del gas. A Messina,
maggiormente sinistrata, rimasero sotto le macerie ricchi e poveri, autorità
civili e militari. Nella nuvola di polvere che oscurò il cielo, sotto una
pioggia torrenziale ed al buio, i sopravvissuti inebetiti dalla sventura e
semivestiti non riuscirono a realizzare immediatamente l’accaduto. Alcuni si
diressero verso il mare, altri rimasero nei pressi delle loro abitazioni nel
generoso tentativo di portare soccorso a familiari ed amici. Qui furono colti
dalle esplosioni e dagli incendi causati dal gas che si sprigionò dalle tubature
interrotte. Tra voragini e montagne di macerie gli incendi si estesero, andarono
in fiamme case, edifici e palazzi ubicati nella zona di via Cavour, via
Cardines, via della Riviera, corso dei Mille, via Monastero Sant'Agostino.
Ai danni provocati dalle scosse sismiche ed a quello degli incendi si aggiunsero quelli cagionati dal maremoto, di impressionante violenza, che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza (13 metri a Pellaro, frazione di Reggio Calabria). Lo tsunami in questo caso provocò molte vittime, fra i sopravvissuti che si erano ammassati sulla riva del mare, alla ricerca di un'ingannevole protezione.
Improvvisamente le acque si ritirarono e dopo pochi minuti almeno tre grandi ondate aggiunsero al già tragico bilancio altra distruzione e morte. Onde gigantesche raggiunsero il litorale spazzando e schiantando quanto esistente. Nel suo ritirarsi la marea risucchiò barche, cadaveri e feriti. Molte persone, uscite incolumi da crolli ed incendi, trascinate al largo affogarono miseramente. Alcune navi alla fonda furono danneggiate, altre riuscirono a mantenere gli ormeggi entrando in collisione l’una con l’altra ma subendo danni limitati. Il villaggio del Faro a pochi chilometri da Messina andò quasi integralmente distrutto. La furia delle onde spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone. Le località più duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga e Paradiso, Sant'Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane.
Gravissimo fu il bilancio delle vittime: Messina, che all’epoca contava circa 140.000 abitanti, ne perse circa 80.000 e Reggio Calabria registrò circa 15.000 morti su una popolazione di 45.000 abitanti. Secondo altre stime si raggiunse la cifra impressionante di 120.000 vittime, 80.000 in Sicilia e 40.000 in Calabria. Altissimo fu il numero dei feriti e catastrofici furono i danni materiali. Numerosissime scosse di assestamento si ripeterono nelle giornate successive e fin quasi alla fine del mese di marzo 1909 [...] Il capoluogo della Calabria fu spostato temporaneamente da Reggio Calabria a Catanzaro. Nel porto di Reggio Calabria, la linea ferrata costiera venne letteralmente divelta, molti vagoni furono ripescati in mare.
A Messina, sede della 1° squadriglia torpediniere della Regia Marina, si trovarono ancorate nel porto la torpediniere Saffo, Serpente, Scorpione, Spica e l'incrociatore “Piemonte”; a bordo di quest’ultimo un equipaggio di 263 uomini tra ufficiali, sottufficiali e marinai. Alle otto del mattino della stessa giornata del 28, la “Saffo”, riuscì ad aprirsi un varco fra i rottami del porto. I suoi uomini e quelli della “Piemonte” sbarcarono dando così inizio alle prime opere di soccorso.
Raccolte immediatamente oltre 400 persone, tra feriti e profughi, le stesse furono successivamente trasportate via mare a Milazzo. Non fu possibile ritrovare vivo il comandante della “Piemonte”, Francesco Passino, sceso a terra nella serata precedente per raggiungere la famiglia e deceduto unitamente alla stessa a causa dei crolli. A bordo dell’incrociatore, raggiunto da alcuni ufficiali dell’esercito sopravvissuti al disastro ed in accordo con le autorità civili, furono assunti i primi provvedimenti per raccogliere ed inquadrare il personale disponibile, informare dell’accaduto il Governo e chiedere rinforzi. Allo scopo l’incarico fu attribuito al tenente di vascello A. Belleni che con la sua torpediniera, la “Spica” ed altre unità lasciò il porto di Messina, malgrado le cattive condizioni del mare, raggiungendo alcune ore dopo Marina di Nicotera da dove riuscì a trasmettere un dispaccio telegrafico. Dello stesso fu poi data comunicazione anche al ministro delle marina:
« Oggi la nave torpediniera Spica, da Marina di Nicotera, ha trasmesso alle ore 17,25 un telegramma in cui si dice che buona parte della città di Messina è distrutta. Vi sono molti morti e parecchie centinaia di case crollate. È spaventevole dover provvedere allo sgombero delle macerie, poiché i mezzi locali sono insufficienti. Urgono soccorsi, vettovagliamenti, assistenza ai feriti. Ogni aiuto è inadeguato alla gravità del disastro. Il comandante Passino è morto sotto le macerie. »
[...] a Roma i quotidiani del pomeriggio riportavano ancora la notizia vaga di alcuni morti in Calabria per un terremoto. La prima notizia ufficiale delle vere dimensioni del disastro giunse quindi col telegramma trasmesso da Marina di Nicotera dal comandante della torpediniera Spica. Altre ne seguirono da diverse località e strutture dando un’idea approssimativa della catastrofe [...]
Nella stessa serata del 28, riunito d’urgenza il Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti esaminò la situazione emanando di concerto le prime direttive del Governo. Il Comando di Stato Maggiore dell’esercito diffuse ordini operativi mobilitando gran parte delle unità presenti sul territorio nazionale. Il Ministro della marina fece comunicare alla divisione navale in navigazione nelle acque della Sardegna di cambiare rotta e dirigersi verso la zona disastrata.
MA I PRIMI AD A ARRIVARE FURONO, PER CASO, I COSACCHI...
"Ma già all'alba del 29, la rada di Messina cominciò ad affollarsi. Una
squadra navale russa alla fonda ad Augusta si era diretta a tutta forza verso la
città con le navi "Makaroff", "Guilak", "Korietz", "Bogatir", "Slava",
"Cesarevitc". Subito dopo fecero la loro comparsa le navi da guerra inglesi
"Sutley", "Minerva", "Lancaster", "Exmouth", "Duncan", "Euryalus". Il comandante
russo Ammiraglio Ponomareff fece approntare i primi soccorsi prestando anche
opera di ordine pubblico e facendo fucilare gli sciacalli, disperati sorpresi a
frugare tra le macerie. Fra i detenuti sfuggiti alle carceri e alla morte vi
erano anche gli stessi abitanti delle case crollate in cerca di qualche resto, i
quali venivano passati per le armi dopo sommario processo presieduto da
ufficiali che non parlavano italiano.
Dopo iniziarono ad arrivare le navi italiane che si ancorarono ormai in terza fila. Malgrado la sorpresa, nessuno se la prese più di tanto anche se, qualche tempo dopo, la stampa intervenne polemicamente" La stampa uscì con le prime edizioni dei giornali riportando dapprima dati sintetici e poi informazioni dettagliate con il sopraggiungere di notizie più certe e particolareggiate. L'Italia, sbalordita, seppe così che Reggio, Messina, non esistevano più [...]
Non mancarono comunque polemiche. Alcune testate giornalistiche, criticando i provvedimenti finanziari adottati ed in particolare l’inasprimento delle tasse, accusarono il governo di aver speso molto e destinato male i fondi raccolti in occasione dei terremoti degli anni precedenti senza peraltro portare benefici alle popolazioni danneggiate.
Altri giornali, tra cui Il Tempo, attribuirono poi ai Comandi militari gravi colpe: parziale incapacità nella gestione degli interventi di soccorso, confusione burocratica e ritardi nella distribuzione locale delle risorse, inefficienza e ritardi anche nelle azioni di recupero e riconoscimento delle salme.
Ulteriori attacchi furono portati contro la Marina italiana in quanto giudicata meno sollecita e pronta ad affrontare gli eventi rispetto alla capacità ed alla funzionalità dimostrata dalle squadre navali straniere, facendo in ciò esplicito riferimento a quelle russa, inglese, francese e tedesca.
Il Giornale di Sicilia lamentò anche manchevolezze nella distribuzione di viveri e di generi di conforto nonché difficoltà procedurali nell’erogazione degli aiuti.
IL DOPO:
[...] Ad una primo suggerimento di demolire completamente quanto rimasto di Messina e costruirla in altra zona si ribellarono gli abitanti. Abbandonato il progetto fu iniziato lo sgombero delle macerie, la demolizione degli edifici inagibili, il ripristino dei servizi essenziali e delle case ancora in parte od in tutto abitabili. Istituite apposite commissioni fu rivisto il piano di urbanizzazione identificando criteri più idonei per le nuove edificazioni e richiedendo tra l’altro l’adozione di metodologie costruttive antisismiche. Per Messina non furono provvedimenti del tutto nuovi: il governo di Ferdinando IV di Borbone si era comportato analogamente a seguito del grande terremoto del 1783 (...In fondo fra il 1973 e il 1908 corrono 135 anni... con un pò di culo, il "ponte" potrebbe avere persino una ventina d'anni di vita dalla sua inaugurazione... NdR)
Per far fronte ai più immediati fabbisogni della
popolazione si diede avvio alla costruzione di baracche di legno che
sostituirono o si aggiunsero alle tendopoli. Sorsero quindi quartieri del tutto
provvisori denominati americano, lombardo, svizzero, tedesco, ecc. in segno di
riconoscenza verso i paesi che con i loro tangibili aiuti ne agevolarono la
realizzazione; un quartiere fu intestato anche alla Regina Elena. I lavori non
andarono avanti speditamente dando origine a nuove polemiche contro il Governo
ed a nuovi corsivi dei giornali tra cui anche quelli pubblicati dalla "Domenica
del Corriere" che uscì nel febbraio 1909, lamentando lentezze burocratiche ed
illustrando come sempre la sua edizione con una delle prestigiose tavole di
Beltrame.
Le baracche però fecero bella mostra di se per lungo tempo prima che il processo di vera e propria ricostruzione fosse completato: rimasero quasi trenta anni. A cancellare quasi del tutto quanto salvato dal cataclisma del 1908 e quanto rimasto dopo la fase di ricostruzione pensò poi la seconda guerra mondiale. (...che problema c'è... la baracche del Belice sono "attive" dopo quarant'anni di onorato servizio... mica possiamo fare la terza guerra mondiale per abbatterle... NdR)
Per il suo grande impegno, nel 2006, alla marina zarista è stata dedicata una via da parte del comune di Messina. (azz... ci hanno impiegato solo 98 anni, mentre da anni impazzano le proposte di dedicare vie e piazze a Benedetto Craxi, detto Bettino, per meriti sconosciuti ai più... NdR)
P.S.: a mio nonno, che si è permesso di scampare allo tsunàmi di Pellaro (assente giustificato) dovete eventualmente attribuire la colpa per la nascita di mio padre (figlio unico) e quindi per la mia nascita. Se nel 1908 non si fosse allontanato da Pellaro, il Tafanus non avrebbe mai visto la luce...
A lui lo stato aveva assegnato una casa popolare "provvisoria", riscattata dopo vent'anni, e lasciata in comodato gratuito, da noi eredi,dopo la morte dei nonni, ad una coppia di lontani parenti, alla quale l'abbiamo lasciata fino alla loro scomparsa, a metà degli anni '70. Dopo, l'abbiamo svenduta. Tutto questo per sottolineare che le "case provvisorie" di Pellaro, dopo settant'anni dal terremoto di Messina, erano ancora in piedi, commerciabili. Nel Belice devono avere pazienza. Almeno per altri trent'anni. Tafanus
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