...no... Berlusconi non è mai stato negro, neanche da ragazzo. Cantante, operaio, contadino, magari si. Ma negro proprio no, mai. Inutile aumentare la durata delle lampade, o i chili di fard. Berlusconi non sarà mai Obama...
Prendete l'industria dell'auto, che è strategica per l'occupazione: i padroni di Detroit avevano fatto una prima visitina a Obama, per chiedere "aiutini" a piè di lista, ma senza accettare condizioni strategiche da Obama sul futuro delle strategie dell'auto. Respinti a calci in culo, con perdite.
Ora sono tornati, col cappello in mano: avranno gli aiuti, a patto di passare ad auto meno energy-demanding, con emissioni più pulite, ed investendo sulle auto ecologiche (sulle ibride, tanto per iniziare, e sulla diminuzione di cilindrate e consumi).
Mentre Obama porta nel suo staff Steven Chu, il guru delle fonti rinnovabili d'energia, noi il nostro Guru, Carlo Rubbia, lo abbiamo regalato agli spagnoli, e facciamo ancora finta di trastullarci con le centrali nucleari che nessuno (tranne la Slovenia) mette più in costruzione da 38 anni, e col "Ponte dei Sospiri".
Mentre gli USA investiranno in questo nuovo New Deal circa il 6% del PIL, il negretto della Brianza pensa di salvare l'Italia investento lo 0,3% del PIL.
Mentre ormai in Italia sette milioni di persone soffrono la fame, il Cavaliere, che ha già buttato nel cesso tre miliardi per osteggiare AirFrance (dove dovrà tornare col cappello in mano) ed altrettanti per togliere l'ICI alla parte più agiata della popolazione (che avrebbe potuto continuare a pagarla senza alcun trauma), è costretto ad andare in TV a difendere la carta annonaria. Stanziamenti: 450 milioni, sufficienti a dare l'obolo a 937.500 nuclei familiari, spesso monocomponente. Soldi effettivamente disponibili, al momento, 135 milioni, sufficienti per dare il vergognoso obolo a 281.000 nuclei familiari. Immigrati esclusi, perchè l'obolo è riservato ai morti di fame italiani. Se sei senegalese, ti fotti. Fatti pure crescere le ragnatele al buco del culo (scusate per il francesismo).
Ma nel frattempo, come è attivo il cavaliere negro nel proposito di fermare i magistrati e di stravolgere la costituzione, non è attivo nessuno. Questi sono i veri problemi dell'Italia del nuovo 1929: la separazione delle carriere dei magistrati, ed il lodo Alfano.
Prima di postare l'editoriale di oggi di Ezio Mauro, voglio rivolgere un pensiero reverente alla casalinga di Voghera, che continua a premiare ancora, e nonostante tutto, almeno nei sondaggi, questo portatore sano di disgrazia, che a rovinare l'Italia ci ha messo meno di quanto non ci abbia messo a suo tempo il nonno Benito. Ormai possiamo solo invocare, ogni giorno, ogni notte, l'opera meritoria della "comare secca". Prima che sia troppo tardi.
Il potere unico
(L'editoriale di Ezio Mauro su Repubblica)
SIAMO dunque giunti al punto. Ieri Berlusconi ha annunciato l'intenzione di cambiare la Costituzione, a colpi di maggioranza, per "riformare" la giustizia. Poiché per la semplice separazione delle carriere non è necessario toccare la carta costituzionale, diventa chiaro che l'obiettivo del premier è più ambizioso. O la modifica del principio previsto in Costituzione dell'obbligatorietà dell'azione penale, o la creazione di due Csm separati, uno per i magistrati giudicanti e uno per i pubblici ministeri, creando così un ordine autonomo che ha in mano la potestà della pubblica accusa, il comando della polizia giudiziaria e il potere di autocontrollo: e che sarà guidato nella sua iniziativa penale selettiva dai "consigli" e dagli indirizzi del governo o della maggioranza parlamentare, cioè sarà di fatto uno strumento della politica dominante.
Viene così a compiersi un disegno che non è solo di potere, ma è in qualche modo di sistema, e a cui fin dall'origine il berlusconismo trasformato in politica tendeva per sua stessa natura. Il passaggio, per dirlo in una formula chiara, da una meccanica istituzionale con poteri divisi ad un aggregato post-costituzionale che prefigura un potere sempre più unico. Un potere incarnato da un uomo che già ha sciolto se stesso dalla regola secondo cui la legge era uguale per tutti con il lodo Alfano, vero primo atto della riforma della giustizia, digerito passivamente dall'Italia con il plauso compiacente della stampa "liberale" ormai acquisita al pensiero unico e alla logica del più forte.
Oggi quel prologo vede il suo sviluppo logico e conseguente. Ovviamente la Costituzione si può cambiare, come la stessa carta fondamentale prevede. Ma cambiarla a maggioranza, annunciando questa intenzione come un trofeo anticipato di guerra, significa puntare sulla divisione del Paese, mentre il Capo dello Stato, il presidente della Camera e persino questo presidente del Senato ancora ieri invitavano al dialogo per riformare la giustizia. Con ogni evidenza, a Berlusconi non interessa riformare la giustizia. Gli preme invece riformare i giudici, come ha cercato di fare dall'inizio della sua avventura politica, e come può fare più agevolmente oggi che l'establishment vola compatto insieme con lui, due procure danno spettacolo indecoroso, il Pd si lascia incredibilmente affibbiare la titolarità di una "questione morale" da chi ha svillaneggiato la morale repubblicana e costituzionale, con la tessera della P2 ancora in tasca.
Tutto ciò consente oggi a Berlusconi qualcosa di più, che va oltre il regolamento personale dei conti con la magistratura. È l'attacco ad un potere di controllo - il controllo della legalità - che la Costituzione ha finora garantito alla magistratura, disegnandola nella sua architettura istituzionale come un ordine autonomo e indipendente, soggetto solo alla legge, dunque sottratto ad ogni rapporto di dipendenza da soggetti esterni, in particolare la politica. Il governo che lascia formalmente intatta l'obbligatorietà dell'azione penale, ma interviene sul suo "funzionamento" - come ha annunciato ieri il Guardasigilli Alfano - attraverso criteri suoi di "selezione" dei reati e "canoni di priorità" nell'esercizio dell'accusa, attacca proprio questa garanzia e questa autonomia, subordinando di fatto a sé i pubblici ministeri.
Siamo quindi davanti non a una riforma, ma a una modifica nell'equilibrio dei poteri, che va ancora una volta nella direzione di sovraordinare il potere politico supremo dell'eletto dal popolo, facendo infine prevalere la legittimità dell'investitura del moderno Sovrano alla legalità. Eppure, è il caso di ricordarlo, la funzione giurisdizionale è esercitata "in nome del popolo" perché nel nostro ordinamento è il popolo l'organo sovrano, non il capo del governo. Altrimenti, si torna allo Statuto, secondo cui "la giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo nome".
Questa e non altra è la posta in gioco. Vale la pena discuterla davanti al Paese, spiegando la strategia della destra di ridisegnare il potere repubblicano dopo averlo conquistato. Ma la sinistra sembra prigioniera di una di quelle palle di vetro natalizie con la finta neve che cade, cercando di aprire (invano) la porta della Rai, come se lì si giocasse la partita. Fuori invece c'è il Paese reale, con il problema concreto di una crisi che ridisegna il mondo. A questo Paese abbandonato, Berlusconi propone oggi di fatto di costituzionalizzare la sua anomalia, sanandola infine dopo un quindicennio: e restandone così deformato.
(Ezio Mauro - 11 dicembre 2008)
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