(di Roberto Cotroneo - l'Unità)
Ma avevo sottovalutato Berlusconi. Ora, la barzelletta sugli ebrei che ha raccontato l’altro giorno a Nuoro, e che non riporto per una questione di principio, è particolarmente volgare. Non è divertente perché, come tutti questi tipi di barzellette, tocca una tragedia colossale, che ha cambiato i destini del mondo, e fa orrore scherzare sui morti dell’olocausto.
Ma fin qui è facile. Lo sappiamo tutti. E solo i ragazzini possono raccontare di tanto in tanto barzellette del genere, perché ancora sfuggono al dolore, esorcizzano la paura del mondo scherzando con le tragedie. Poi, un po’ più adulti, passata quella fase balorda e creativa che è l’adolescenza, passa anche questo. A Berlusconi non è passata. E non è passata perché in lui ci sono tutti, ma proprio tutti, i luoghi comuni degli anni Sessanta. Si dirà: nei luoghi comuni degli anni Sessanta ci sono le barzellette sugli ebrei? Nel mondo degli anni Sessanta ci sono soprattutto le barzellette. E in certi casi anche le barzellette sugli ebrei.
La barzelletta è una forma di piccolo cabaret per persone comuni. Alcuni attori hanno inventato un genere vero e proprio, si pensi a Gino Bramieri e al grande Walter Chiari. Le edicole delle stazioni, fino a trent’anni vendevano libri su libri con “le migliori” barzellette. Da leggere, certo, ma anche da raccontare, alle cene, agli amici. Le cene brillanti di un certo tipo di mondo, popolare e goliardico, erano fatte da chi raccontava l’ultima, quella più divertente, quella mai sentita. Spesso raccontate male, spesso raccontate per mostrarsi brillanti e seduttivi, o per suggellare allegramente un accordo aziendale a una cena di lavoro. Tra queste c’erano quelle sugli ebrei. Barzellette che si raccontavano più a bassa voce, che rientravano in quell’indifferenza e quella ferocia di un paese, che si era lasciato alle spalle la guerra e i suoi orrori, in tutti i modi possibili. Ma barzellette che provenivano da un humus antisemita che non ha mai abbandonato grandi parti della popolazione del nostro paese, e che appartiene tanto alla destra quanto a una certa sinistra.
Oggi le barzellette non le racconta più nessuno, fanno parte di un paese che non esiste più. E che ha imparato a ridere con cose più intelligenti. Berlusconi da uomo degli anni Sessanta, continua a raccontarle. Pensa che lo rendano simpatico. Come i cummenda del boom economico.
Tafanus, e l'apologia dell'anti-barzelletta
Caro Cotroneo,
la ringrazio per il suo articolo, che condivido dall'incipit all'ultima parola. Vorrei aggiungere un piccolo ricordo: quella volta che il Cavaliere Barzellettiere (metà anni '90) raccontò una barzelletta ancora più orrenda sui malati terminali di Aids. Non la riporterò, perchè mi fa schifo, e perchè in quell'epoca ho conosciuto i malati terminali di Aids. Di Aids si moriva, in poco tempo, ed in maniera orribile. Non ricordo che a quell'epoca ci siano state proteste da parte dei cardinaloni alla Ruini, così pronti a sgridare atei e credenti per molto meno.
Ma il motivo per cui non mi piacciono i barzellettieri è che annoiano; raccontano cose vecchie di mille anni; le raccontano come fossero fresche di giornata. Ti guardano inesorabilmente in faccia, aspettando con ansia la tua schietta risata. A me la risata non viene. Non posso ridere per mezzo secolo delle barzellette che ho sentito mille volte. Se le barzellette non sono vecchie come berlusconi, non rido lo stesso, perchè non le ascolto. Le percepisco come un rumore fastidioso, e quindi sono assolutamente incapace di cogliere l'attimo nel quale dovrei ridere.
Nel caso di Berlusconi, non solo non rido, ma mi viene da piangere, a vedere la corte di leccaculo in abito fumo di Londra e camicia azzurro Forza Italia, costretti a ridere al punto giusto, pena la mancata ricandidatura. Sogno ad occhi aperti uno di questi servi che assurga al rango di liberto, e dica al nano di Arcore: "Cavaliere, ci avverta, per piacere, quando è il momento di ridere, e perchè" Tafanus
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