Spesso ricordo con crescente nostalgia quel tempo in cui, assieme ad alcuni storici partecipanti del Tafanus, si cazzeggiava sul blog di Repubblica. Armati di valanghe di sarcasmo, di sottile ironia, si combatteva con fatti e trovate esilaranti l’opaco pugnettismo dei forzitalioti della prima ora: un branco che allora, a rozze pennellate descritto, era ingenuo, stolto forse, ma per molti aspetti in buona fede. Questo popolo aveva, a differenza di quello di oggi, un autentico credo nelle qualità taumaturgiche del nano dispotico. Oggi invece questo popolo è mutato profondamente. A parte chi, per un ben determinato interesse personale, gli ha dato il voto, il grosso rimanente l’ha fatto nella convinzione di condannare a morte l’arroganza e l’inconcludenza della sinistra italiana. Quell’inconcludenza che fu creata dal funambolo capo, con una scaltrezza ed una perversa precisione degna solo del più perfido Ulisse.
Questo articolo è inteso a ripercorrere brevemente un periodo di storia italiana che va dal 2001 ai giorni nostri e che rappresenta ai miei occhi e a quelli del mondo esterno una delle fasi del dopoguerra del nostro Paese, più incomprensibili e difficilmente interpretabili. Per molti, certo, ma molto meno per chi ha vissuto questa realtà criticamente, giorno per giorno, basandosi su fatti e non su pugnette.
Vediamo innanzitutto di stabilire questi fatti, o almeno quelli che moltissimi attenti italiani come tali assumono e che hanno reso possibile di trovarci oggi in questo anacronistico, paradossale e decadente stallo morale e politico.
Ebbene, già dal 2004 si era reso palese, attraverso seri sondaggi, che il centrodestra con a capo Berlusconi non avrebbe mai potuto ottenere la maggioranza alle politiche del 2006. L’inconcludenza e la litigiosità di un governo che avrebbe avuto tutti i numeri per governare agevolmente, era risultata con una chiarezza inequivocabile. Ormai al nano non restava che prepararsi una campagna elettorale con due anni di anticipo sul calendario di scadenza del mandato. Il suo innato primadonnismo lo spronò a salire su tutti i podi, ad apparire in tutte le trasmissioni televisive, anche a quelle dedicate alla cucina, allo sport, alle previsioni del tempo. Sui billboards nelle strade, null’altro si vedeva splendere che i suoi 68 denti di porcellana, il ritocco col rimmel, la cipria dorata e le rughe asfaltate col cerone. Ma la gloria ahimè scemava ad ogni piè sospinto. Più appariva e più il potenziale elettore si incurvava in sempre più acuti conati di vomito. Ad una realistica panoramica, non si sfuggiva alla certezza che presto, come Diabolik ogni giorno col suo count-down già sul blog di Repubblica, ci ricordava, del berlusconismo non sarebbe rimasto che un pallido, anche se nauseabondo ricordo.
Le cose, grazie all’aiuto di un farabutto, molto meno scaltro, ma ben più potente del nostro, cominciarono inaspettatamente a prendere una piega incomprensibile: a pochi mesi dal voto politico vengono cambiate le carte in tavola. La maggioranza vota il sistema maggioritario, - la famosa legge porcata – che era evidentemente intesa per mettere i bastoni nelle ruote alla maggioranza, qualunque questa fosse stata, nella formazione di un governo stabile. Ma questa fu solo la prima mossa del gioco, che implicava un azione di seguito, ancora più losca e criminosa, quella col bollino blu di George Dabliù.
Una differenza di 5 punti tra le due fazioni, a favore del csx, nei sondaggi – quelli seri – sarebbe stata sufficiente a formare un governo stabile di centrosinistra. Prodi era la persona adatta e il nano ne aveva una fifa boia. Se Prodi fosse arrivato ad ottenere in Senato una maggioranza di un ventina di seggi, per il barzellettiere significava la lapide politica.
Forte di questa certezza, rischiò giocando il suo carico. Ma si badi bene, non per vincere, ma in un empasse di eccezionale spavalderia, giocando il re sotto l’asso. E’ opinione comune, ancora oggi, per chi ha creduto e crede ancora che le elezioni del 2006 furono taroccate, che il farabutto nostrano lo fece per vincere le elezioni anche di misura, ma che, mannaggia la sfiga, perse per una manciata di voti. I suoi strilli sui presunti brogli della sinistra, acuirono questa impressione, facendo credere al pubblico che egli fosse stato la vittima del raggiro.
A distanza di tempo mi sono chiesto: e se fosse, con un USBino in più, risciuto a vincere per una manciata di voti? Quali prospettive di governabilità avrebbe avuto davanti a se con quella banda Brancaleone con Casini, Bossi e compagnia deprimente? Un governo della durata di due settimane, che sarebbe caduto tra le urla isteriche di tutto l’elettorato e il bollo infamante della litigiosità e della instabilità cui da anni andava incolpando i governi di sinistra.
Meglio di no. Meglio far fare quella figura al governo Prodi, così da poter usare la sua formula preferita: quella di addossare ad altri, le stesse magagne e le stesse furfanterie da lui commesse, e fare incombere su altri le colpe di cinque anni di fole, promesse al vento e di sconquassi economici. Chi meglio del buon mite Prodi avrebbe potuto meglio prendersi carico stoicamente ed in clericale silenzio delle assurdità che 5 ringhiosi canali televisivi compiacenti e venduti gli hanno addossato senza risparmio per un anno e mezzo?
Quella legge porcata ed il perfettamente calibrato risultato elettorale, sono la corna di un piano diabolico, preparato a tavolino con la concorrenza ideologica dei maiali leghisti e degli ipocriti baciapile, con la fornitura di know-how informatico, degli sgherri della CIA e la manovalanza fornita dalla Premiata Ditta Pisanu & Figlio.
A poca distanza dalla sua sconfitta elettorale, il nano scrisse lettere a Putin, Blair, Bush, Aznar e Chirac, con la promessa solenne, che presto sarebbe tornato al potere. Chi fa promesse a personaggi internazionali di questo livello, lo fa a ragion veduta. Aveva giocato il suo empasse sacrificando il Re, ma sapeva di avere l’asso ancora in mano.
I tempi sono cambiati: quei cazzeggi, destinati a prendersi gioco di un pagliaccio, un po’ rozzo e primitivo, che se la dava or da Napoleone, or da Gesù Cristo e solo quando un po’ giù di corda, si accontentava di essere il novello Churchill, non divertono più. Chi sottovaluta questo mostro di gigioneria, di sfacciata teatralità, di furfantesca scaltrezza, non ha ancora capito nulla di quest’uomo e di quello che nel futuro sarà in grado ancora di (dis)fare.
charly brown
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