Da quando ho un blog, tutti gli anni, il 27 Gennaio, ho dedicato alla "Shoah", ed al suo ricordo, delle commosse rievocazioni. Sinceramente commosse. Ho fatto più viaggi nei "luoghi della vergogna" anti-ebraici (Auschwitz, Birkenau, Terezin, Dachau...).
Quest'anno credo che si debba parlare di "Giorno delle Memorie", perchè quello che hanno fatto gli israeliani a Gaza, e prima ancora a Sabra e Chatila, ci costringe a suddividere la nostra capacità di indignarci e di soffrire, fra più "aventi diritto".
Già l'anno scorso avevo scritto (vedi avanti):
Parole profetiche? Può darsi. Oppure, più semplicemente, parole di chi ha capito da un pezzo che Israele, ogni volta che ci si avvicina pericolosamente ad una pace vera, trova un modo per scatenare nuovamente i fanatismi di tutti i segni, e per far fallire quelle trattative che ossono trovare sbocco SOLO in una equa divisione dei territori (in quantità e qualità), e senza la provocazione di 200.000 ben protetti e costosissimi coloni ebrei, insediati come chiodi a quattro punte sulla strada di una pace possibile e duratura.
Quando non si è trattato di decuplicare il numero delle colonie nei territori, si sono inventati il tunnel sotto la Via Dolorosa. o la "passeggiata" nella spianata delle Moschee. Ogni mezzo è stato buono per provocare e, sulla inevitabile reazione, colpire.
Le centinaia di bambini massacrati nel lager di Gaza mettono per altri dieci anni la parola fine a qualsiasi tentativo di pace vera. Esattamente ciò che i falchi di Tel Aviv volevano ottenere.
Dall'anno prossimo, il mio personale "Giorno della Memoria" sarà celebrato il 15 Gennaio, in ricordo del millesimo morto ammazzato nel buco di Gaza. I miei viaggi della memoria nei campi di sterminio nazisti termineranno, e saranno sostituiti, se mi sarà consentito, da viaggi nei campi di Sabra e Chatila, e nella striscia di Gaza.
Il Giorno delle Memorie: le mie (27 Gennaio 2008)
(Nota Bene: quello che segue è il post dell'anno scorso. Sembrava che sugli orrori delle guerre avessimo giù scritto tutto ciò che si poteva scrivere. Non era così. Il peggio doveva ancora cominciare...)
...se questo è un uomo…
Questo post non è originale. L'ho già pubblicato, quasi identico, il 27 Gennaio 2007. Un Giorno della Memoria dopo l'altro, da anni. Per quanti anni ancora dovremo ricordare? Forse per sempre, finchè in Italia e nel mondo ci saranno "fascisti dentro"
Un anno dopo l'altro, la memoria e la solidarietà si attenuano. Colpa del trascorrere del tempo, ma anche colpa di altri reticolati, di altri steccati, di altri muri che nascono. Quando a costruire questi muri sono i figli e i nipoti di coloro che di muri e di reticolati sono morti a milioni, la nostra solidarietà è sottoposta a dura prova, la nostra memoria si attenua.
Questo è l'ultimo anno
nel quale il Tafanus ricorderà, con dolore e rispetto, la tragedia della Shoah.
Dall'anno prossimo, ci piacerebbe parlare della fine di un'altra tragedia,
quella del "muro della vergogna" dentro il quale gli israeliani stanno
"piombando" il carro bestiame di Gaza. A Gaza la misura è colma. Quando decine
di migliaia di persone, private di beni essenziali come il cibo, l'acqua,
l'elettricità, decidono di abbattere con le bombe il muro della vergogna, e di tentare una disperata sortita
verso le non amichevoli braccia dei soldati egiziani, vuol dire che lo stato di
disperazione ha toccato quasi gli stessi livelli ai quali erano giunti i reclusi
nei campi di sterminio, quando si determinavano a cercare una morte quasi certa
con improbabili tentativi di fuga, piuttosto che affrontare una morte che
arrivava "un grammo al giorno", inesorabile come il destino, inesorabile come il
tempo.
Chi volesse dei particolari su questa ignobile iniziativa del "muro della vergogna", può leggere l'estratto di un informato articolo de "Le Monde Diplomatique", tradotto sul sito www.disinformazione.it: Il muro della vergogna
Quest'anno, questa celeberrima poesia di Primo Levi vogliamo dedicarla agli ebrei vittime della shoah, ma anche agli israeliani che "hanno dimenticato" il significato della parola "disperazione". Perchè anche a loro torni la memoria.
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P.S.: Dopo aver scritto questa introduzione, ma prima di pubblicare il post, apprendo due notizie, di segno totalmente diverso. Ognuno dia la lettura che si sente di dare:
-1) Ieri centinaia di israeliani si sono affollati ai buchi aperti con l'esplosivo nel "muro della vergogna" di Gaza, per portare cibo, acqua e solidarietà ai confinati palestinesi della striscia di Gaza. Molti intervistati hanno sottolineato che chiudere un milione e mezzo di disperati in pochi chilometri quadrati e privarli di tutto, significa che il popolo israeliano, per primo, sta smarrendo la memoria.
-2) La Signora Letizia Arnaboldi Brichetto in Moratti, Sindaco di Milano, dopo l'exploit del diniego di iscrizione agli asili ai bimbi degli immigrati non regolarizzati (nove volte su dieci per colpevoli ritardi burocratici), ha avuto un'altra brillante pensata: quella di dare lo sfratto, alla vigilia del Giorno della Memoria, alla sede milanese dell'ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati), associazione che da anni organizza centinaia di manifestazioni educative sui temi delle deportazioni, della shoah, della guerra. Complimenti, Signora! Potrà sempre recuperare la salvezza dell'anima il 25 Aprile, esibendo per cento metri papy in carrozzella.
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nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi
amici:
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Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
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Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana
d'inverno.
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Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri
figli.
O vi si
sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
(Primo Levi)
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27 Gennaio 2008: Giornata della Memoria. Oggi migliaia di blogs tratteranno della shoah, e moltissimi apriranno con le pagine introduttive del libro di Primo Levi (Se questo è un uomo). Il Tafanus l’ha già fatto l’anno scorso, e a costo di apparire monotono, lo farà finchè esisterà. Lo farà perché alla perdita della memoria non dev’essere concesso alcun alibi. Un popolo che perde la propria memoria, è pronto a ripetere gli errori del passato. Il Tafanus non farà di questo post una raccolta di dati, che possono essere facilmente reperiti in mille siti (ve ne raccomandiamo a titolo esemplificativo uno che a noi è piaciuto molto, www.Binario21.org, ma la scelta è molto ampia.
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Noi vogliamo piuttosto parlare della “nostra” memoria. La mia
famiglia ed io riteniamo che un viaggio nei luoghi in cui l’uomo è diventato
peggio delle bestie dovrebbe essere sentito come un dovere civico da tutti, così
come, per altre ragioni, gli islamici sentono di dover andare, almeno una volta
nella vita, alla Mecca. Noi siamo stati nei luoghi del disonore nel 2005 (nel
complesso di Auschwitz-Birkenau); mia figlia è andata a Dachau e a Terezin,
campo “specializzato” nel trattamento di bambini. A Terezin sono entrati, vivi,
15.000 bambini. Ne sono usciti vivi 100. L’uomo non dovrà mai più cadere
nell’errore di pensare che certi orrori toccheranno sempre e solo gli altri. Una
volta infranta la barriera fra umano e sub-umano, può toccare a tutti: agli
ebrei e ai palestinesi, ai rom e ai brockers, agli omosessuali e ai comunisti.
Ecco come l’indifferenza aiuta l’umanità a precipitare nell’abisso:
Prima vennero per gli ebrei…
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" Prima vennero per gli ebrei,
e io non dissi nulla perché non ero
ebreo.
.
Poi vennero per i comunisti,
e io non dissi nulla perché non ero
comunista.
.
Poi vennero per i sindacalisti,
e io non dissi nulla perché non ero sindacalista.
.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa."
Martin Niemoeller - (Pastore evangelico deportato a Dachau)
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Il
nostro “viaggio della memoria” era iniziato da una splendente Cracovia,
splendente di sole, di bellezza urbanistica, di gioventù, di buone maniere. Il
viaggio per il complesso dei lager non è lungo: circa un’ora di bus, attraverso
una campagna non da cartolina; non è il Trentino o l’Engadina: davanti ai
casolari galline e mucche non servono per fare cartolina, ma per mangiare. Si
arriva ad Auschwitz quando inizia a piovigginare. E’ come te lo aspetti, con
l’orrendo ingresso dei treni che arrivavano pieni e ripartivano vuoti, la
scritta in ferro battuto “Arbeit Macht Frei” che sembra una bestemmia… il primo approccio è
persino “deludente” per eccesso di leziosità. Piccole palazzine a due/tre piani,
vialetti ordinati e persino qualche albero, niente baracche… insomma, chi non
sapesse di trovarsi in uno dei luoghi più sinistri dalla storia della
bestialità, potrebbe pensare di trovarsi a Crespi d’Adda, la cittadina – modello
costruita dai Crespi per ospitare l’industria tessile dalla culla alla tomba
(tutto insieme la fabbrica, le villette degli operai, le ville degli impiegati,
le villone dei dirigenti, chiesa – ospedale – cimitero, tutto ordinato, tutto
programmato… Poi qualcuno ti spiega che Auschwitz non è nata come campo di
sterminio, ma come carcere per gli oppositori politici, poi gradualmente
degenerato nel nucleo originario del luogo dell’orrore, il complesso
Auschwitz-Birkenau, dove l’uomo ha perso il senso di se e ha trovato e fatto
prevalere la bestia che si annida in ciascuno di noi…
Benvenuti nella prima palazzina: è persino bella, fuori. Ma appena dentro, inizia il viaggio nell’orrore. Il piano terra è occupato dalla mostra (raccolta differenziata) di tutto quello che veniva preso agli ebrei al loro arrivo, o dopo la “doccia” purificatrice; tutto suddiviso in stanze “specializzate”: le scarpe, i capelli, gli spazzolini da denti, le micro-valigette di fibra, gli occhiali da vista, le “protesi” (braccia, gambe artificiali)… montagne di tutto.
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Il
cielo fuori è sempre più plumbeo, ma cominciano ad affiorare tanti occhiali da
sole, tanta gente che si soffia il naso… passi dagli oggetti alle presumibili
storie sottostanti, e l’orrore diventa insopportabile. Le scarpe… dai uno
sguardo, e individui centinaia di scarpine di bambini di due-tre anni, a
fiorellini come un campionario di Fiorucci ante-litteram; scarpe piccolissime, quasi da bambola; colorate, graziose…
cerchi di immaginare com’era fatta la bambina che le aveva ai piedi, e ti soffi
il naso. Poi passi alla stanza successiva, che è piena di capelli: di tutti i
colori, di tutte le età; in mezzo a masse informi di capelli, ogni tanto vedi
dei “pezzi di umanità”: uno chignon bruno che ti fa immaginare una bella donna
elegante, dei capelli grigiastri o bianchi, una lunghissima, integra treccia
bionda… chissà se è la stessa bambina di quelle scarpine. E poi la stanza degli
spazzolini da denti, quella degli occhiali, quella delle protesi… ma perché
toglievano loro persino le protesi? E lo avranno fatto prima della “doccia” o
dopo?
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Le
“facilities per gli interrogatori e le torture erano nel “basement”, dove fa
freddo anche d’estate. Lo strumento-principe, geniale nella sua semplicità, era
costituito da una serie di stalli, chiusi da mezze pareti, di un metro quadro;
in questo metro ficcavano quattro deportati (da punire o da interrogare)
completamente nudi, che potevano stare solo in piedi. Finestre senza vetri. Ogni tanto li bagnavano per affrettare i
processi di idrocuzione, fiaccare la resistenza. Chi moriva non aveva lo spazio
per accasciarsi al suolo. Un minimo di cibo veniva fornito, per allungare il
piacere dell’agonia.
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Facciamo
un passo indietro, a quando “Il Treno” arrivava nel piazzale; Auschwitz non era
attrezzato per contenere grandi masse, né per uccidere e cremare con grande
efficienza. All’arrivo del treno, sul piazzale, c’era la prima brutale
separazione: uomini da donne, bambini da adulti, sani da malati. L’80% in media
degli arrivati (tutti i malati, gli anziani, gli handicappati, molte donne)
venivano inviati direttamente “alle docce”, dove la morte con l’uso del Cyclon B
arrivava in media dopo 20 minuti di atroci sofferenze. Poi serviva un certo tempo per
“arieggiare” i locali, quindi le docce venivano evacuate da altri deportati, i
cadaveri “smontati” per portar via qualsiasi cosa potesse tornare utile
(capelli, denti, protesi). Ad Auschwitz non c’erano grandi crematori, quindi i
cadaveri venivano ammucchiati in enormi fosse a cielo aperto, buttati dentro e
bruciati. I fornetti di Auschwitz erano poco più che dei
fornetti domestici, “monouso”. Ma l’allargamento di Birkenau, con le enormi
baracche, i quattro grandi crematori che avrebbero mandato fumo acre, giorno e
notte, per due anni, era quasi completato.
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Birkenau è un’altra
storia, già dal primo impatto visivo: intanto le dimensioni, enormi; baracche
allineate per chilometri; chilometri di recinti doppi, elettrificati, con
torrette di guardia ad ogni piè sospinto. Birkenau è una macchina per morire,
con ordine teutonico; coordinamento con gli orari dei “treni”… man mano che la
disfatta
tedesca diventa ineluttabile, le esecuzioni aumentano; c’è sempre meno tempo,
meno fabbriche in cui lavorare, meno risorse con cui sfamare questi disgraziati;
e poi, perché sfamarli? In fondo li hanno portati a Birkenau per ammazzarli, non
per sfamarli. Ormai solo pochissime categorie hanno qualche possibilità di
allungare la vita (vita?) di qualche giorno; qualche ragazza giovane che possa
sfamare gli appetiti sessuali delle bestie tedesche, qualche coppia di gemelli
(materiale genetico prezioso, per gli studi comparativi del dottor Morte); per
gli altri, una spaventosa catena di montaggio: arrivo – separazione – doccia -
smontaggio dei ricambi, e poi via, attraverso i camini sempre fumanti dei
quattro crematori.
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A Birkenau tutto sembra studiato perché la gente “duri poco”, e perché quel poco sia vissuto nel massimo della sofferenza. Prendete i cessi. C’è una sola, enorme baracca adibita a cesso (come è fatta all’interno, lo vedrete in fotografia). Ma il problema è che la baracca-cesso non è sistemata a metà fra la prima e l’ultima baracca lager, ma ad una estremità. Quelli delle baracche più lontane, per arrivare ai cessi fanno quasi due chilometri fra la neve, con le scarpe che hanno o non hanno. Si defeca in tanti, alcune centinaia, tutti insieme: a contatto di natica. La gente la fa tenendosi ben stretti i pantaloni e le scarpe, perché se qualcuno ti ruba una di queste cose, sei morto. Altrimenti puoi farcela ancora per qualche giorno. Verso la fine, il nervosismo dei tedeschi, l’incendio continuo di documenti, l’accrescersi parossistico degli arrivi, lasciano intuire che la fine non è lontana. Il Tempo diventa prezioso. Qualcuno, forse, potrà farcela.
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Auschwitz-Birkenau: la fabbrica dello sterminio – Note storiche
Situato al centro dell’Europa, il campo di sterminio di
Auschwitz Birkenau divenne operativo nel 1941. Attraverso le ferrovie i nazisti
vi deportarono, a partire dal 1942, gli ebrei provenienti dall’Europa
occidentale e meridionale, dal 1944 essi venivano fatti scendere dai convogli
direttamente all’interno del campo e passavano la “selezione” che determinava
chi sarebbe sopravvissuto per il lavoro e chi, circa l’80%, sarebbe stato
eliminato dopo poche ore dall’arrivo. I pochi scelti per il lavoro venivano
immatricolati con un tatuaggio sull’avambraccio, e subivano ogni giorno appelli
e torture. Alloggiavano in baracche, ricevevano poco cibo in attesa di passare
loro stessi per le strutture di messa a morte per i motivi più diversi o
semplicemente a causa della debolezza. I beni dei deportati venivano
sistematicamente predati all’arrivo e smistati in una struttura del campo
denominata Canada. L’eliminazione dei cadaveri divenne presto uno dei principali
problemi per i nazisti che in principio e nei momenti di massimo “lavoro”
bruciarono i cadaveri all’aperto seppellendoli in enormi fosse comuni. Dal 1943
vennero messe in funzione due coppie di edifici gemelli, i Krematorium 2 e 3, e
4 e 5, dove il processo di messa a morte e di smaltimento ed eliminazione dei
cadaveri fu organizzato come in una moderna fabbrica a ciclo continuo. Le
vittime dovevano spogliarsi in una grande stanza con l’illusione di essere
condotte alle docce, poi in migliaia venivano stipati in una stanza con false
docce nella quale veniva introdotto il gas che in circa 20 minuti ne provocava
la morte tra orribili sofferenze . I cadaveri venivano poi estratti dalle camere
a gas e spogliati anche dei capelli e dei denti d’oro. La fase finale avveniva
nella sala forni dove i corpi erano ridotti in cenere. Le strutture della morte
vennero distrutte dai nazisti in fuga all’arrivo degli Alleati. Rimasero piani
costruttivi, macerie ma, soprattutto, testimonianze dei pochissimi
sopravvissuti.
...la liberazione...
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