Alcuni hanno notato, in queste ultime settimane, una certa "caduta" nella mia volontà di scrivere. Cose che capitano. Ogni tanto un forte senso di scoramento colpisce anche chi da anni predica agli altri di "non mollare". Poi, ad un tratto, gli viene in mente che da 15 anni, nel male più che nel bene, la politica italiana è condizionata da questo barattolo di supponenza, che ha devastato scientemente ogni residuo barlume di equità sociale; che ha cancellato di fatto dai tribunali la scritta, patetica, che afferma come la giustizia sia uguale per tutti; che ha usato ed abusato dei suoi poteri per consolidare se stesso, come padrone di partito e come monopolista delle'informazione. Pensa alle figure da perecottaro che ha fatto in proprio, ed ha fatto fare al Paese, in tutto il mondo civilizzato. Pensa a tutto questo, e poi osserva con angoscia come i sondaggi lo diano, sia pure dopo qualche microscopica erosione, saldamente ancorato ad un consenso popolare di oltre il 50%
In qualsiasi paese a media alfabetizzazione, la metà delle porcate fatte o tentate dal barattolo, sarebbe stata sufficienti a cancellarlo dalla scena politica. Da noi no. Da noi raccoglie ancora consensi fra gli 800.000 co.co.pro che rimarranno a spasso nel 2009, ad 80.000 dei quali darà l'elemosina di 100 euro al mese per qualche mese. Raccoglie ancora consensi fra i destinatari dell'abominevole "carta dei poveri" da 40 euro, anche quando questi scoprono che non è stata neanche caricata. La caricherà... e poi, meglio quaranta euro che niente. Questa è l'Italia. Una carta assorbente associata ad un potentissimo smacchiatore. Un paese che non conosce la storia, e che non ha quindi il dono della memoria. Un blob. Un ammasso di "pongo" gelatinoso sul quale nessuno stupro lascia tracce.
Poi capita di vedere su RaiUno l'unica cosa intelligente fatta negli ultimi anni. "Pane e Libertà", dedicato alla vita di Giuseppe Di Vittorio, e ti ritorna la voglia di lottare. La regia di Negrin e l'interpretazione di Favino sono superiori a qualsiasi elogio si possa loro rivolgere. Mai una caduta in forzature demagogiche. Molta misura, sia nella regia che nell'interpretazione. Solo un accenno scenico, di pochi secondi, al "IV Stato" di Pelizza da Volpedo, che ho letto come un reminder esplicito, voluto.
Cerignola, Bisceglie, Minervino... Solo chi ha conosciuto "quella" Puglia negli anni '60, può provare ad immaginare cosa abbia significato diventare Di Vittorio in "quelle" terre, con quella struttura padronale prepotente, negli anni venti, quando polizia, clero, latifondo erano culo e camicia, uniti nel difendere a qualsiasi costo i propri privilegi. TUTTI i propri privilegi. Vogliamo dirlo? E' stato più facile diventare Bruno Buozzi a Torino, che Giuseppe Di Vittorio a Cerignola.
Il Di Vittorio che ne emerge è una figura eroica. Tanto più eroica, quanto più non frutto di esaltazioni registiche e recitative, entrambe tenute intelligentemente sotto le righe.
Traggo alcuni flashes da un articolo de "La Stampa":
"...da povero contadino analfabeta di Cerignola, Di Vittorio aveva un grande sogno, ossia che i diritti di tutti i lavoratori fossero rispettati. E, dalla Puglia, Di Vittorio è diventato un uomo importante in politica. «Sono contento che persone come Gianfranco Fini e Nichi Vendola abbiano capito questo film - ha detto oggi in conferenza stampa il produttore Carlo Degli Esposti - persone di destra e di sinistra hanno lo stesso sudore e gli stessi problemi. Non è un personaggio “di qualcuno”, rappresenta tutti»..."
Nichi Vendola: "...chi è pugliese è cresciuto sui racconti su Di Vittorio. I nostri padri ce lo raccontavano. In una terra aspra e miserabile s’è costruita una parabola molto bella: quella di non togliersi la coppola davanti al padrone. Questo è un gesto di autonomia intellettuale, non di sfregio o di odio..."
Baldina Di Vittorio (la figlia ottantanovenne): "...è difficile raccontare in poche parole la grande storia umana di mio padre, che ha lasciato un’impronta profonda. Fondamentali nella sua vita sono state le sue origini. Il suo iniziare ad alzare la testa sin da piccolo, con la morte del padre. Mio padre capì che l’istruzione era necessaria per elevare se stesso e gli altri, per avere dignità. Una costante nella sua vita è stata la continua ricerca di miglioramento e il valore della cultura. Da questa consapevolezza è nata la comprensione che per vincere sia indispensabile organizzarsi. Le leghe, le camere del lavoro sono state un’intuizione che ha avuto immediatamente. Da ragazzo ha capito l’importanza dell’unità..."
"...Di Vittorio, per chi ha vissuto in Puglia, ha rappresentato moltissimo. «Mi ha colpito che nelle case di Cerignola, al posto dei santini, ci fosse la foto di Di Vittorio - ha raccontato lo sceneggiatore Pietro Calderoni - quando gli uomini del sud partivano per andare a lavorare nelle fabbriche del nord si portavano dietro la sua fotografia»..."
Ora i Di Vittorio non ci sono più, ma sono purtroppo lontani anche i tempi dei Trentin, dei Cofferati... Oggi gli eredi del grande sindacalismo - quello che ha dato ai nostri padri quell'insieme di diritti elementari che il barattolo vorrebbe toglierci di nuovo - si chiamano Epifani, Angeletti, Bonanni... Alcuni di loro vanno a cena dal barattolo, come ladri, entrando da porte posteriori (quelle che sono normalmente riservate alla servitù), per fare "patti per l'Italia" firmati e dimenticati, per spaccare più che per unire. Senti parlare un Bonanni, e ti chiedi cosa mai tu possa avere a che fare con uno così...
Poi, proprio l'esistenza e l'essenza di personaggi come questo ci danno la forza per ricominciare. E' un dovere verso la "call-center generation", per la quale il barattolo ed i suoi servi stanno innescando una bomba ad orologeria, che esploderà quando diventeranno vecchi milioni di quasi-giovani di oggi, per i quali ci sarà solo - se ci sarà - l'assegno sociale, che non basterà neanche per comprare un tozzo di pane. Tafanus
In qualsiasi paese a media alfabetizzazione, la metà delle porcate fatte o tentate dal barattolo, sarebbe stata sufficienti a cancellarlo dalla scena politica. Da noi no. Da noi raccoglie ancora consensi fra gli 800.000 co.co.pro che rimarranno a spasso nel 2009, ad 80.000 dei quali darà l'elemosina di 100 euro al mese per qualche mese. Raccoglie ancora consensi fra i destinatari dell'abominevole "carta dei poveri" da 40 euro, anche quando questi scoprono che non è stata neanche caricata. La caricherà... e poi, meglio quaranta euro che niente. Questa è l'Italia. Una carta assorbente associata ad un potentissimo smacchiatore. Un paese che non conosce la storia, e che non ha quindi il dono della memoria. Un blob. Un ammasso di "pongo" gelatinoso sul quale nessuno stupro lascia tracce.
Poi capita di vedere su RaiUno l'unica cosa intelligente fatta negli ultimi anni. "Pane e Libertà", dedicato alla vita di Giuseppe Di Vittorio, e ti ritorna la voglia di lottare. La regia di Negrin e l'interpretazione di Favino sono superiori a qualsiasi elogio si possa loro rivolgere. Mai una caduta in forzature demagogiche. Molta misura, sia nella regia che nell'interpretazione. Solo un accenno scenico, di pochi secondi, al "IV Stato" di Pelizza da Volpedo, che ho letto come un reminder esplicito, voluto.
Cerignola, Bisceglie, Minervino... Solo chi ha conosciuto "quella" Puglia negli anni '60, può provare ad immaginare cosa abbia significato diventare Di Vittorio in "quelle" terre, con quella struttura padronale prepotente, negli anni venti, quando polizia, clero, latifondo erano culo e camicia, uniti nel difendere a qualsiasi costo i propri privilegi. TUTTI i propri privilegi. Vogliamo dirlo? E' stato più facile diventare Bruno Buozzi a Torino, che Giuseppe Di Vittorio a Cerignola.
Il Di Vittorio che ne emerge è una figura eroica. Tanto più eroica, quanto più non frutto di esaltazioni registiche e recitative, entrambe tenute intelligentemente sotto le righe.
Traggo alcuni flashes da un articolo de "La Stampa":
"...da povero contadino analfabeta di Cerignola, Di Vittorio aveva un grande sogno, ossia che i diritti di tutti i lavoratori fossero rispettati. E, dalla Puglia, Di Vittorio è diventato un uomo importante in politica. «Sono contento che persone come Gianfranco Fini e Nichi Vendola abbiano capito questo film - ha detto oggi in conferenza stampa il produttore Carlo Degli Esposti - persone di destra e di sinistra hanno lo stesso sudore e gli stessi problemi. Non è un personaggio “di qualcuno”, rappresenta tutti»..."
Nichi Vendola: "...chi è pugliese è cresciuto sui racconti su Di Vittorio. I nostri padri ce lo raccontavano. In una terra aspra e miserabile s’è costruita una parabola molto bella: quella di non togliersi la coppola davanti al padrone. Questo è un gesto di autonomia intellettuale, non di sfregio o di odio..."
Baldina Di Vittorio (la figlia ottantanovenne): "...è difficile raccontare in poche parole la grande storia umana di mio padre, che ha lasciato un’impronta profonda. Fondamentali nella sua vita sono state le sue origini. Il suo iniziare ad alzare la testa sin da piccolo, con la morte del padre. Mio padre capì che l’istruzione era necessaria per elevare se stesso e gli altri, per avere dignità. Una costante nella sua vita è stata la continua ricerca di miglioramento e il valore della cultura. Da questa consapevolezza è nata la comprensione che per vincere sia indispensabile organizzarsi. Le leghe, le camere del lavoro sono state un’intuizione che ha avuto immediatamente. Da ragazzo ha capito l’importanza dell’unità..."
"...Di Vittorio, per chi ha vissuto in Puglia, ha rappresentato moltissimo. «Mi ha colpito che nelle case di Cerignola, al posto dei santini, ci fosse la foto di Di Vittorio - ha raccontato lo sceneggiatore Pietro Calderoni - quando gli uomini del sud partivano per andare a lavorare nelle fabbriche del nord si portavano dietro la sua fotografia»..."
Ora i Di Vittorio non ci sono più, ma sono purtroppo lontani anche i tempi dei Trentin, dei Cofferati... Oggi gli eredi del grande sindacalismo - quello che ha dato ai nostri padri quell'insieme di diritti elementari che il barattolo vorrebbe toglierci di nuovo - si chiamano Epifani, Angeletti, Bonanni... Alcuni di loro vanno a cena dal barattolo, come ladri, entrando da porte posteriori (quelle che sono normalmente riservate alla servitù), per fare "patti per l'Italia" firmati e dimenticati, per spaccare più che per unire. Senti parlare un Bonanni, e ti chiedi cosa mai tu possa avere a che fare con uno così...
Poi, proprio l'esistenza e l'essenza di personaggi come questo ci danno la forza per ricominciare. E' un dovere verso la "call-center generation", per la quale il barattolo ed i suoi servi stanno innescando una bomba ad orologeria, che esploderà quando diventeranno vecchi milioni di quasi-giovani di oggi, per i quali ci sarà solo - se ci sarà - l'assegno sociale, che non basterà neanche per comprare un tozzo di pane. Tafanus
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