...l'ennesima figura da piccoli magliari dei governanti italiani in Europa...
Prevedibile e prevista la condanna della golden share all'italiana da parte della Corte di giustizia europea è arrivata magari in ritardo e però inesorabile. La sentenza dei giudici comunitari va dritta al punto cruciale: l'imprecisione e la genericità con cui la legge indica i criteri in forza dei quali il governo di Roma si riserva di esercitare un diritto di veto contro l'ingresso di azionisti politicamente non graditi in alcune grandi aziende. Ovvero le semiprivatizzate Enel, Eni e Finmeccanica, nonché - e qui siamo all'abuso dell'assurdo - la Telecom, nel cui azionariato non vi è più alcun soggetto pubblico.
Viene così in piena luce l'aspetto deteriore della furbata legislativa tentata con il decreto del 2004, che puntava a lasciare mani libere al potere politico per decidere il destino azionario delle aziende a sua capricciosa discrezione. Ciò che l'Unione europea manda a dire con questa sentenza non è che l'Italia debba rinunciare a difendersi da qualunque assalto a imprese di importanza strategica per l'economia nazionale (come quelle del settore energetico o militare), ma che l'esercizio di questa tutela deve essere fondato su regole ben definite, trasparenti, al riparo da ogni tentazione di arbitrarietà occasionale.
In parole più semplici, abbiamo fatto in Europa l'ennesima figura da magliari. E abbiamo proprio voluto farla a tutti i costi perché, nel corso del giudizio davanti alla Corte, pur di difendere la piena licenza di decisione del patrio governo ci si è nascosti dietro argomentazioni paradossali quali il pericolo che Eni o Enel potessero essere scalate da azionisti legati a organizzazioni terroristiche. Ma i giudici europei non si sono lasciati prendere per scemi e così hanno imposto che l'Italia si liberi di questa golden share 'de noantri'.
Sarà ora da vedere come si muoverà il governo Berlusconi che, in tema di libertà di mercato azionario, appare impegnato in opposta direzione al dichiarato scopo di fornire alle cupole dominanti del potere economico tutti i sostegni (legislativi e non) utili a impedire ogni scalata dall'esterno. In particolare, un test interessante sarà quello della golden share in Telecom, dove lo Stato azionista non c'è più. Intanto c'è da sperare che si abbia almeno il pudore di non rispolverare l'alibi patriottico della tutela degli italiani dallo spionaggio di terzi malintenzionati. Dopo il caso Tavaroli un simile argomento suonerebbe come una grottesca presa per il naso.
Poi c'è da seguire come si atteggerà ora il governo verso gli spagnoli di Telefonica, i quali mal sopportano la convivenza con soci italiani più gelosi del proprio potere artificiale che disposti a difenderlo con denaro sonante. Alla botta della Corte europea il ministro Scajola ha replicato dicendo che Roma verificherà se in materia nell'Unione c'è parità di trattamento per tutti. Uscita improvvida soprattutto quanto ai rapporti fra Italia e Spagna. Enel, infatti, si è appena preso il controllo del gigante iberico Endesa senza che il governo di Madrid alzasse barricate. Per i magliari di Roma sarà dura tenere Telefonica alla larga da Telecom usando espedienti al posto dei soldi.
Prevedibile e prevista la condanna della golden share all'italiana da parte della Corte di giustizia europea è arrivata magari in ritardo e però inesorabile. La sentenza dei giudici comunitari va dritta al punto cruciale: l'imprecisione e la genericità con cui la legge indica i criteri in forza dei quali il governo di Roma si riserva di esercitare un diritto di veto contro l'ingresso di azionisti politicamente non graditi in alcune grandi aziende. Ovvero le semiprivatizzate Enel, Eni e Finmeccanica, nonché - e qui siamo all'abuso dell'assurdo - la Telecom, nel cui azionariato non vi è più alcun soggetto pubblico.
Viene così in piena luce l'aspetto deteriore della furbata legislativa tentata con il decreto del 2004, che puntava a lasciare mani libere al potere politico per decidere il destino azionario delle aziende a sua capricciosa discrezione. Ciò che l'Unione europea manda a dire con questa sentenza non è che l'Italia debba rinunciare a difendersi da qualunque assalto a imprese di importanza strategica per l'economia nazionale (come quelle del settore energetico o militare), ma che l'esercizio di questa tutela deve essere fondato su regole ben definite, trasparenti, al riparo da ogni tentazione di arbitrarietà occasionale.
In parole più semplici, abbiamo fatto in Europa l'ennesima figura da magliari. E abbiamo proprio voluto farla a tutti i costi perché, nel corso del giudizio davanti alla Corte, pur di difendere la piena licenza di decisione del patrio governo ci si è nascosti dietro argomentazioni paradossali quali il pericolo che Eni o Enel potessero essere scalate da azionisti legati a organizzazioni terroristiche. Ma i giudici europei non si sono lasciati prendere per scemi e così hanno imposto che l'Italia si liberi di questa golden share 'de noantri'.
Sarà ora da vedere come si muoverà il governo Berlusconi che, in tema di libertà di mercato azionario, appare impegnato in opposta direzione al dichiarato scopo di fornire alle cupole dominanti del potere economico tutti i sostegni (legislativi e non) utili a impedire ogni scalata dall'esterno. In particolare, un test interessante sarà quello della golden share in Telecom, dove lo Stato azionista non c'è più. Intanto c'è da sperare che si abbia almeno il pudore di non rispolverare l'alibi patriottico della tutela degli italiani dallo spionaggio di terzi malintenzionati. Dopo il caso Tavaroli un simile argomento suonerebbe come una grottesca presa per il naso.
Poi c'è da seguire come si atteggerà ora il governo verso gli spagnoli di Telefonica, i quali mal sopportano la convivenza con soci italiani più gelosi del proprio potere artificiale che disposti a difenderlo con denaro sonante. Alla botta della Corte europea il ministro Scajola ha replicato dicendo che Roma verificherà se in materia nell'Unione c'è parità di trattamento per tutti. Uscita improvvida soprattutto quanto ai rapporti fra Italia e Spagna. Enel, infatti, si è appena preso il controllo del gigante iberico Endesa senza che il governo di Madrid alzasse barricate. Per i magliari di Roma sarà dura tenere Telefonica alla larga da Telecom usando espedienti al posto dei soldi.
SOCIAL
Follow @Tafanus