Il sindacato dei paradossi (di Massimo Riva - l'Espresso)
C'è un serio problema di democrazia al fondo dello scontro che si è aperto tra le confederazioni sindacali sulla riforma del modello contrattuale. Cisl, Uil e Ugl hanno sottoscritto l'accordo con Confindustria dichiarandosi convinti di aver così tutelato al meglio gli interessi dei propri associati. La Cgil, viceversa, non ha firmato perché ritiene che quell'intesa contenga le premesse per una depauperazione di salari e stipendi.
Nessuno dei due fronti, però, è in grado di dire che cosa pensino al riguardo i più diretti interessati, cioè i lavoratori. La Cgil ha chiesto che si organizzasse un referendum generale sui termini del patto raggiunto con Confindustria dichiarandosi pronta a sottoscriverlo in caso di sconfitta, le altre confederazioni hanno rifiutato seccamente questa proposta. A questo punto sempre la Cgil ha tenuto una consultazione al proprio interno che ha dato un sostegno massiccio alla posizione negativa assunta dal segretario Guglielmo Epifani. Dal lato opposto si è replicato sbandierando il risultato di un referendum, svolto negli stabilimenti Piaggio di Pontedera su un accordo aziendale, dove la posizione più rigida di Cgil è uscita perdente nel voto.
A parte la sproporzione evidente fra i due casi, le polemiche che ne sono seguite non hanno fatto altro che sottolineare il punto cruciale: l'assenza di un'intesa fra i sindacati per sottoporre le scelte dei vertici alla verifica del consenso/dissenso della base. Il tema della democrazia sindacale si trascina insoluto ormai da decenni per una principale ragione che proprio questi ultimi sviluppi hanno reso del tutto evidente: a dispetto della tanta retorica sparsa sull'unità sindacale, le confederazioni concorrenti della Cgil temono che la loro voce risulti ridimensionata dal voto dei lavoratori, accrescendo di conseguenza il peso e il ruolo di quello che da tempo è comunque considerato il sindacato maggioritario.
Questo fronte del rifiuto ai referendum fra i lavoratori, guidato principalmente dai vertici della Cisl, ha un chiaro obiettivo: isolare la Cgil e cercare così di logorarne il primato sulla distanza. Una strategia che oggi trova una sponda importante sul terreno politico perché si incontra con un analogo disegno perseguito da tempo dal governo Berlusconi per indebolire il sindacato maggiore che il premier taccia di 'comunista'. Del resto Raffaele Bonanni non fa che replicare lo stesso tentativo compiuto dalla Cisl di Savino Pezzotta durante la precedente esperienza ministeriale del Cavaliere, quando si arrivò, sempre senza Cgil, alla firma del cosiddetto 'Patto per l'Italia': accordo che si rivelò un boomerang per i suoi sottoscrittori perché si risolse in un clamoroso buco nell'acqua.
Non è la prima volta, insomma, che il verde della Cisl - a contatto con Berlusconi - tende a ingiallire nella speranza di poter poi rifiorire a spese del rosso Cgil. Che vi sia lotta politica per la supremazia anche fra sigle sindacali non stupisce di certo. Ma continua a lasciare interdetti che tutto ciò avvenga rifiutandosi di chiamare i lavoratori a dire la loro opinione. Non è così che i sindacati possono ergersi, come vorrebbero, ad alfieri della democrazia.
C'è un serio problema di democrazia al fondo dello scontro che si è aperto tra le confederazioni sindacali sulla riforma del modello contrattuale. Cisl, Uil e Ugl hanno sottoscritto l'accordo con Confindustria dichiarandosi convinti di aver così tutelato al meglio gli interessi dei propri associati. La Cgil, viceversa, non ha firmato perché ritiene che quell'intesa contenga le premesse per una depauperazione di salari e stipendi.
Nessuno dei due fronti, però, è in grado di dire che cosa pensino al riguardo i più diretti interessati, cioè i lavoratori. La Cgil ha chiesto che si organizzasse un referendum generale sui termini del patto raggiunto con Confindustria dichiarandosi pronta a sottoscriverlo in caso di sconfitta, le altre confederazioni hanno rifiutato seccamente questa proposta. A questo punto sempre la Cgil ha tenuto una consultazione al proprio interno che ha dato un sostegno massiccio alla posizione negativa assunta dal segretario Guglielmo Epifani. Dal lato opposto si è replicato sbandierando il risultato di un referendum, svolto negli stabilimenti Piaggio di Pontedera su un accordo aziendale, dove la posizione più rigida di Cgil è uscita perdente nel voto.
A parte la sproporzione evidente fra i due casi, le polemiche che ne sono seguite non hanno fatto altro che sottolineare il punto cruciale: l'assenza di un'intesa fra i sindacati per sottoporre le scelte dei vertici alla verifica del consenso/dissenso della base. Il tema della democrazia sindacale si trascina insoluto ormai da decenni per una principale ragione che proprio questi ultimi sviluppi hanno reso del tutto evidente: a dispetto della tanta retorica sparsa sull'unità sindacale, le confederazioni concorrenti della Cgil temono che la loro voce risulti ridimensionata dal voto dei lavoratori, accrescendo di conseguenza il peso e il ruolo di quello che da tempo è comunque considerato il sindacato maggioritario.
Questo fronte del rifiuto ai referendum fra i lavoratori, guidato principalmente dai vertici della Cisl, ha un chiaro obiettivo: isolare la Cgil e cercare così di logorarne il primato sulla distanza. Una strategia che oggi trova una sponda importante sul terreno politico perché si incontra con un analogo disegno perseguito da tempo dal governo Berlusconi per indebolire il sindacato maggiore che il premier taccia di 'comunista'. Del resto Raffaele Bonanni non fa che replicare lo stesso tentativo compiuto dalla Cisl di Savino Pezzotta durante la precedente esperienza ministeriale del Cavaliere, quando si arrivò, sempre senza Cgil, alla firma del cosiddetto 'Patto per l'Italia': accordo che si rivelò un boomerang per i suoi sottoscrittori perché si risolse in un clamoroso buco nell'acqua.
Non è la prima volta, insomma, che il verde della Cisl - a contatto con Berlusconi - tende a ingiallire nella speranza di poter poi rifiorire a spese del rosso Cgil. Che vi sia lotta politica per la supremazia anche fra sigle sindacali non stupisce di certo. Ma continua a lasciare interdetti che tutto ciò avvenga rifiutandosi di chiamare i lavoratori a dire la loro opinione. Non è così che i sindacati possono ergersi, come vorrebbero, ad alfieri della democrazia.
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