Scusate, ma mi dissocio un attimo... ieri e oggi nelle TV Libere e in quelle Prigioniere è stato tutto un ipocrita tripudio su Mike Bongiorno. Tanto meno lo hanno ammirato in vita, tanto più lo elogiano da morto. Mi viene in mente una rivista nella quale Renato Rascel si aggirava in un cimitero, leggendo le lapidi: "Qui giace Tizio, lavoratore indefesso"; "Qui riposa Caio, esemplare Padre di Famiglia"; "Da qui è volato in cielo Sempronio, l'eroico missionario..." Dopo una ventina di lapidi, tutte di questo tenore, Renato Rascel si rompe i coglioni, e si chiede al alta voce: "...vorrei sapere dove cazzo li seppelliscono, i figli di mignotta..." Non vorrei essere frainteso. Niente contro Mike, che ha fatto bene il suo mestiere, che è, non per sua colpa, quello che è: il conduttore di una TV generalista che, se ha prodotto innovazione, lo ha fatto quando, partendo da una tabula rasa, innovare era il minimo. Mike ha portato in Italia - senza sapere che un giorno si sarebbero chiamati così - "formats" già collaudati altrove. Ho addirittura una grande stima per il Michael Nicholas Bongiorno che, beccato a fare da staffetta fra americani e partigiani, conobbe il carcere di San Vittore, il campo di transito di Bolzano, ed il lager di Mathausen, dal quale si salvò per essere entrato provvidenzialmente in uno scambio di prigionieri.
Detto questo, io continuo testardamente a ritenere che fosse più facile innovare partendo dal nulla, da una RaiUno in bianco e nero, quando il 95% della popolazione, se voleva vedere "Lascia o Raddoppia", il giovedì sera era costretta ad affollarsi nei cinema, nei bar, nei ristoranti, o sperare nell'invito a casa dell'amico ricco. Testardamente continuo a credere che se qualcuno merita il titolo di innovatore, in TV, questo qualcuno si chiama Angelo Guglielmi, colui che ha inventato "Quelli che il calcio", "Avanzi", "Samarcanda", "Blob", "Telefono giallo", "Mi manda Lubrano", "Chi l'ha visto?", " Un giorno in pretura", e che è riuscito, in un panirama dove ormai c'erano sette reti nazionali, a quintuplicare la share di RaiTre.
Oggi, in un allucinante "Omnibus Light" de "La7", una impagabile Gabriella Carlucci (si, proprio lei, quella che ha tenuto un lungo ed esilarante dibattito sulla "fisica della particella" col Prof. Maiani), ha trovato il modo, prima ancora di tessere l'elogio di Mike, di sparare un pistolotto chupa-chupa a Silvio suo". Sapete perchè Mike è passato dalla RAI a Mediaset? Ma è ovvio... perchè è rimasto fulminato da Silvio, che era un visionario-realizzatore, e che aveva già intuito, unico nell'universo mondo, le magnifiche sorti e progressive della TV commerciale. Pazienza che nel resto del mondo, con l'eccezione di pochi paesi, la tv commerciale esisteva già da decenni... Insomma, il fatto che Silvio, pur di strapparlo alla RAI, abbia offerto a Mike un balzo economico da 26 milioni a 600 milioni, per l'ineffabile carluccia, è irrilevante. Lo ha fatto per il sogno, per la visione, per il principio. Mi ricorda un aforisma attribuito a Moliére: "quando qualcuno vi dice che non è per i soldi ma per il principio, è per i soldi". Moltiplicare di colpo gli introiti di chicchessia per 23 volte, cioè dargli in un anno ciò che in RAI avrebbe guadagnato in 23 anni, al mio paese ha poco a che fare con la "visione". Più semplicente, si chiama "farsi due conti"...
Mike è stato un grande perchè si è fatto interprete del qualunquismo del popolo italiano, della sua bassa cultura, del "sogno" (questo si) degli italiani per lotto, lotterie ed arricchimenti improvvisi. Se lo ha fatto inconsciamente, vuol dire che condivideva a pieno titolo questi vizi italiani; se lo ha fatto scientemente, ha strumentalmente sfruttato i vizi e le lacune degli "tagliani", esattamente come coloro che oggi ci ammanniscono grandifratelli ed isoledeifumosi.
La ineffabile carluccia stamattina lamentava che a un grande come Mike, che ha vinto 15 Telegatti ed ha condotto 13 Sanremo (sic!) non sia stata offerta una poltrona da senatore a vita. E poco importa che altro sia il profilo di chi, in Italia, ha avuto questo onore. Parliamo di persone della statuta morale e culturale come Carlo Bo, Norberto Bobbio, Ciampi, Eduardo De Filippo, De Nicola, Einaudi, Levi Montalcini, Alessandro Manzoni, Eugenio Montale, Nenni, Pertini, Ferruccio Parri, Don Sturzo, Toscanini, Camilla Ravera, Trilussa, Giuseppe Verdi, Leo Valiani... mi scusi per il francesismo, cara carluccia, ma che cazzo c'entra, in questo contesto, Mike Bongiorno?
Un altro contenzioso (sul quale la carluccia ha sorvolato) riguarda il modo, silenziosamente brutale, col quale Silvio il Visionario si è disfatto in silenzio di Mike (salvo ordinare adesso alle sue reti, a presentatore morto, di tesserne le lodi). Mike si era lamentato di questo silenzioso accantonamento con Fabio Fazio, ma nessuno si era strappato le vesti, forse perchè tutti noi siamo convinti che ad 85 anni si può anche tentare di farsi da parte, e di disintossicarsi dalla dipendenza dalla TV. Io sono ancor meno di altri addolorato per questo trattamento, forse perchè conosco fatti dello stesso tenore, ma svolti in senso contrario. Un mio carissimo amico lavorava per Mike, ma un bel giorno, per normali dissensi di opinione civilmente espressi, si è trovato dalla mattina alla sera sul lastrico, costretto a reinventarsi la vita. Oggi a me, domani a te.
Che Mike abbia il riposo che merita, ma per piacere cerchiamo di non proporre (qualcuno ci sta già pensando...) di cambiare nome a Piazza Duomo, o di erigere a Mike un monumento equestre a cavallo di un tubo catodico. Cerchiamo di ritornare sulla terraferma. Un'accusa che rivolgo a Mike? quella di aver contribuito, insieme alle Zanicchi, ai Mengacci, alle Mondaini, ai Vianello e a tante altre anime belle della TV "che non sposta i voti", a cambiare la testa a milioni di casalinghe di Voghera e di idraulici brianzoli, e ad infliggere agli italiani un ventennio di berlusconismo. Per chi se lo fosse dimenticato, questo "spot confidenziale" è, nel suo genere, un capolavoro:
Vorrei concludere questa personale presa di distanza dal coccodrillismo generalizzato, riportando questo pezzo di Umberto Eco: “Fenomenologia di Mike Bongiorno”. E' un pezzo del 1961, che ha pubblicato anche il "Geniale". Immagino che Feltri lo abbia fatto per mostrare, una volta di più, quanto siano irrimediabilmente brutti, sporchi e cattivi i comunisti. Io lo faccio per il motivo esattamente opposto, permettendomi di ricordare a Feltri (che forse non lo ha notato o capito), che il pezzo è del 1961, Silvio aveva 25 anni, ed era lontana non solo la politica, ma persino la TV commerciale e le "palazzine". Semplicemente, non esisteva. Quindi il comunista Umberto Eco non poteva essere stato spinto da nulla di quanto Feltri vorrebbe far emergere in maniera subliminale.
Fenomenologia di Mike Bongiorno - di Umberto Eco (1961)
Il caso più vistoso di riduzione del superman all’everyman lo abbiamo in Italia nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna. Idolatrato da milioni di persone, quest’uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita (questa è l’unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.
Per capire questo straordinario potere di Mike Bongiorno occorrerà procedere a una analisi dei suoi comportamenti, ad una vera e propria “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, dove, si intende, con questo nome è indicato non l’uomo, ma il personaggio.
Mike Bongiorno non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente. Rappresenta, biologicamente parlando, un grado modesto di adattamento all’ambiente. L’amore isterico tributatogli dalle teen ager va attribuito in parte al complesso materno che egli è capace di risvegliare in una giovinetta, in parte alla prospettiva che egli lascia intravvedere di un amante ideale, sottomesso e fragile, dolce e cortese.
Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all’apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla. In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e ritenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura. Di essa ha un criterio meramente quantitativo. In tal senso (occorrendo, per essere colto, aver letto per molti anni molti libri) è naturale che l’uomo non predestinato rinunci a ogni tentativo.
Mike Bongiorno professa una stima e una fiducia illimitata verso l’esperto; un professore è un dotto; rappresenta la cultura autorizzata. È il tecnico del ramo. Gli si demanda la questione, per competenza. L’ammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. L’uomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di far studiare il figlio.
Mike Bongiorno ha una nozione piccolo borghese del denaro e del suo valore («Pensi, ha guadagnato già centomila lire: è una bella sommetta!»).
Mike Bongiorno anticipa quindi, sul concorrente, le impietose riflessioni che lo spettatore sarà portato a fare: «Chissà come sarà contento di tutti quei soldi, lei che è sempre vissuto con uno stipendio modesto! Ha mai avuto tanti soldi così tra le mani?».
Mike Bongiorno, come i bambini, conosce le persone per categorie e le appella con comica deferenza (il bambino dice: «Scusi, signora guardia…») usando tuttavia sempre la qualifica più volgare e corrente, spesso dispregiativa: «Signor spazzino, signor contadino».
Mike Bongiorno accetta tutti i miti della società in cui vive: alla signora Balbiano d’Aramengo bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa (sic). Oltre ai miti accetta della società le convenzioni. È paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate. Elargendo denaro, è istintivamente portato a pensare, senza esprimerlo chiaramente, più in termini di elemosina che di guadagno. Mostra di credere che, nella dialettica delle classi, l’unico mezzo di ascesa sia rappresentato dalla provvidenza (che può occasionalmente assumere il volto della Televisione).
Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a tendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. Non si avventura mai in incisi o parentesi, non usa espressioni ellittiche, non allude, utilizza solo metafore ormai assorbite dal lessico comune. Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale e farebbe la gioia di un neopositivista. Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all’occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui. Non accetta l’idea che a una domanda possa esserci più di una risposta. Guarda con sospetto alle varianti. Nabucco e Nabuccodonosor non sono la stessa cosa; egli reagisce di fronte ai dati come un cervello elettronico, perché è fermamente convinto che A è uguale ad A e che tertium non datur. Aristotelico per difetto, la sua pedagogia è di conseguenza conservatrice, paternalistica, immobilistica.
Mike Bongiorno è privo di senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà. Gli sfugge la natura del paradosso; come gli viene proposto, lo ripete con aria divertita e scuote il capo, sottintendendo che l’interlocutore sia simpaticamente anormale; rifiuta di sospettare che dietro il paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come veicolo autorizzato di opinione.
Evita la polemica, anche su argomenti leciti. Non manca di informarsi sulle stranezze dello scibile (una nuova corrente di pittura, una disciplina astrusa… «Mi dica un po’, si fa tanto parlare oggi di questo futurismo. Ma cos’è di preciso questo futurismo?»). Ricevuta la spiegazione non tenta di approfondire la questione, ma lascia avvertire anzi il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l’opinione dell’altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse. Di tutte le domande possibili su di un argomento sceglie quella che verrebbe per prima in mente a chiunque e che una metà degli spettatori scarterebbe subito perché troppo banale: «Cosa vuol rappresentare quel quadro?». «Come mai si è scelto un hobby così diverso dal suo lavoro?». «Com’è che viene in mente di occuparsi di filosofia?».
Porta i clichés alle estreme conseguenze. Una ragazza educata dalle suore è virtuosa, una ragazza con le calze colorate e la coda di cavallo è “bruciata”. Chiede alla prima se lei, che è una ragazza così per bene, desidererebbe diventare come l’altra; fattogli notare che la contrapposizione è offensiva, consola la seconda ragazza mettendo in risalto la sua superiorità fisica e umiliando l’educanda. In questo vertiginoso gioco di gaffes non tenta neppure di usare perifrasi: la perifrasi è già una agudeza, e le agudezas appartengono a un ciclo vichiano cui Bongiorno è estraneo. Per lui, lo si è detto, ogni cosa ha un nome e uno solo, l’artificio retorico è una sofisticazione. In fondo la gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata; quando la sincerità è voluta non si ha gaffe ma sfida e provocazione; la gaffe (in cui Bongiorno eccelle, a detta dei critici e del pubblico) nasce proprio quando si è sinceri per sbaglio e per sconsideratezza. Quanto più è mediocre, l’uomo mediocre è maldestro. Mike Bongiorno lo conforta portando la gaffe a dignità di figura retorica, nell’ambito di una etichetta omologata dall’ente trasmittente e dalla nazione in ascolto.
Mike Bongiorno gioisce sinceramente col vincitore perché onora il successo. Cortesemente disinteressato al perdente, si commuove se questi versa in gravi condizioni e si fa promotore di una gara di beneficenza, finita la quale si manifesta pago e ne convince il pubblico; indi trasvola ad altre cure confortato sull’esistenza del migliore dei mondi possibili. Egli ignora la dimensione tragica della vita.
Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti.
Umberto Eco
P.S.: Questo scritto di Umberto Eco è, come ho già detto, del 1961. Sono trascorsi 48 anni, ma sono certo che se Eco lo avesse scritto un mese fa, lo avrebbe rifatto uguale uguale. E non perchè Eco non sia in grado di innovare, ma semplicemente perchè, per oltre mezzo secolo, nel bene e nel male, mentre noi siamo invecchiati, Mike Bongiorno è rimasto uguale a se stesso. Requiescat in pacem. Tafanus
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