E’ di qualche giorno fa (14 ottobre) un articolo pubblicato su L’Avvenire in merito alla vicenda della bocciatura della legge contro l’omofobia e la transfobia. Dato che sono parte in causa, trovo giusto replicare ai contenuti dell’articolo e partecipare all’agone dialettico scatenatosi nelle ultime ore. L’articolo, ironia della sorte, si intitola “I veri termini della questione”, e l’autore lo inizia mettendo le mani avanti, spiegando cioè che ieri il Parlamento, con il suo voto, non ha assolutamente voluto dare il via libera alle aggressioni verso i gay, tutt’altro. La presunta cultura omofobica non è, come asserisce l’autore dell’articolo, una prerogativa trasversale dei nostri rappresentanti politici, bensì un male radicato nell’intero nostro tessuto sociale.
La stragrande maggioranza delle persone cosiddette normali sono, chi più chi meno, omofobe e transfobiche. L’omofobia e la transfobia non si manifestano solo con le sprangate o le coltellate. Io, al contrario dell’autore dell’articolo di Avvenire, rilevo che la società italiana ha bisogno di mettere continuamente in discussione la dignità delle persone gay, lesbiche, trans e di tutte le altre persone considerate diverse. Il diverso è un soggetto deviante, dunque un soggetto di cui tutti i sistemi più retrogradi hanno bisogno: essi devono poter puntare il dito contro il diverso, devono dire ai normali: “Guarda: tu non devi essere così, non devi fare così, tu sei nel giusto solo se segui ciò che ti dico di fare io. Non deviare dalla strada che ti ho indicato, altrimenti sarai fottuto.” L’esclusione e la successiva eliminazione del soggetto deviante sono riti funzionali all’esistenza di una società.
E veniamo al punto in cui si sostiene che, se fosse passata quella legge, vi sarebbe stato il rischio che ad essere discriminate sarebbero state le persone normali. Sostenere ciò è pura follia. Ho scritto prima che la violenza verso gay, lesbiche e trans non si manifesta solo con le botte, le coltellate e le sprangate: la maggior parte delle violenze che subiamo noi sono sottili, nascoste e sconosciute a chi gay, lesbica e trans non è.
Prendete per esempio chi vi scrive. L’ultima volta che ho subito una violenza fisica per via della mia condizione è stato circa un paio d’anni fa; ma da allora fino ad oggi ho subito quotidianamente vessazioni e umiliazioni che fanno più male delle botte. Perché, mentre l’aggressione fisica è spesso imputabile al pazzo, all’ubriaco e al nazista, le violenze morali sono prerogativa della gente comune e perbene. Io sono completamente esclusa da questa società che, fra le altre cose, per via della mia condizione, poco ci manca che mi dichiari inabile al lavoro. Il problema ha origine dal fatto che c’è, da parte della società, un’accettazione parziale del diverso, non già un’accettazione reale, totale, concreta. Quest’ultima avrebbe luogo solo se vi fosse una reale conoscenza del percorso di transizione, tanto per fare un esempio: cosa che invece manca spaventosamente.
Una vicina di casa, qualche tempo fa, discorrendo con me, mi disse: “Barbara, tu mi sei simpatica; anche i gay mi sono simpatici; ma le lesbiche, non so perché, mi stanno sui coglioni.” Perché? Perché bisogna giudicare gli altri e le altre? Questo sì, quella no, quell’altro forse… Ma in quale incubo ci troviamo? “Non approvo ciò che fai, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto a farlo”: è una frase di Voltaire che, se riferita a noi, potrebbe assumere un accento ambiguo; difatti, noi non facciamo nulla che non sia possibile approvare; non commettiamo alcun reato, cercando di essere per davvero noi stessi, in un mondo in cui tutti fingono per non mettersi nei guai. “Ma là, l’uomo recitava il bel ruolo in quella che gli uomini chiamano la realtà, e tanto peggio se lo recitava male”: scusatemi, questo è Prévert, le parole delle poesie e di altri scritti è facile che mi saltino fuori mentre elaboro tali considerazioni. Evidentemente certe tematiche relative all’animo umano sono già state ampiamente contemplate in passato: non dobbiamo accorgercene soltanto oggi.
Quelli che nell’articolo del quotidiano cattolico Avvenire vengono definiti “nuovi diritti” dovrebbero costituire, invece che un impaccio, un’opportunità che una società civile e davvero in crescita morale non dovrebbe mai lasciarsi sfuggire. Sempre oggi l’ONU ha parlato chiaro: “Italia, un passo indietro.” Quelli come Svastichella e gli altri fascistelli amici suoi, ci fosse stato ieri un esito diverso, avrebbero percepito un certo tipo di messaggio. Avrebbero pensato: “Ammazza, ahò! Mo’ ‘sti frosci so’ tutelati, nun possiamo più menàje liberamente. C’avemo da pensa’, prima… Mo’ ‘ste mmerde so’ quarcosa pe’ la legge…”
Capite che voglio dire? Se questa legge fosse stata approvata, anziché naufragare miseramente fra sbadigli e biechi sorrisetti, avrebbe anche potuto avere la funzione di deterrente, di freno sociale, di messaggio preciso (e ufficiale) in una certa direzione: ma – come dice Rino Gaetano – chi me sente?
Barbara X
La stragrande maggioranza delle persone cosiddette normali sono, chi più chi meno, omofobe e transfobiche. L’omofobia e la transfobia non si manifestano solo con le sprangate o le coltellate. Io, al contrario dell’autore dell’articolo di Avvenire, rilevo che la società italiana ha bisogno di mettere continuamente in discussione la dignità delle persone gay, lesbiche, trans e di tutte le altre persone considerate diverse. Il diverso è un soggetto deviante, dunque un soggetto di cui tutti i sistemi più retrogradi hanno bisogno: essi devono poter puntare il dito contro il diverso, devono dire ai normali: “Guarda: tu non devi essere così, non devi fare così, tu sei nel giusto solo se segui ciò che ti dico di fare io. Non deviare dalla strada che ti ho indicato, altrimenti sarai fottuto.” L’esclusione e la successiva eliminazione del soggetto deviante sono riti funzionali all’esistenza di una società.
E veniamo al punto in cui si sostiene che, se fosse passata quella legge, vi sarebbe stato il rischio che ad essere discriminate sarebbero state le persone normali. Sostenere ciò è pura follia. Ho scritto prima che la violenza verso gay, lesbiche e trans non si manifesta solo con le botte, le coltellate e le sprangate: la maggior parte delle violenze che subiamo noi sono sottili, nascoste e sconosciute a chi gay, lesbica e trans non è.
Prendete per esempio chi vi scrive. L’ultima volta che ho subito una violenza fisica per via della mia condizione è stato circa un paio d’anni fa; ma da allora fino ad oggi ho subito quotidianamente vessazioni e umiliazioni che fanno più male delle botte. Perché, mentre l’aggressione fisica è spesso imputabile al pazzo, all’ubriaco e al nazista, le violenze morali sono prerogativa della gente comune e perbene. Io sono completamente esclusa da questa società che, fra le altre cose, per via della mia condizione, poco ci manca che mi dichiari inabile al lavoro. Il problema ha origine dal fatto che c’è, da parte della società, un’accettazione parziale del diverso, non già un’accettazione reale, totale, concreta. Quest’ultima avrebbe luogo solo se vi fosse una reale conoscenza del percorso di transizione, tanto per fare un esempio: cosa che invece manca spaventosamente.
Una vicina di casa, qualche tempo fa, discorrendo con me, mi disse: “Barbara, tu mi sei simpatica; anche i gay mi sono simpatici; ma le lesbiche, non so perché, mi stanno sui coglioni.” Perché? Perché bisogna giudicare gli altri e le altre? Questo sì, quella no, quell’altro forse… Ma in quale incubo ci troviamo? “Non approvo ciò che fai, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto a farlo”: è una frase di Voltaire che, se riferita a noi, potrebbe assumere un accento ambiguo; difatti, noi non facciamo nulla che non sia possibile approvare; non commettiamo alcun reato, cercando di essere per davvero noi stessi, in un mondo in cui tutti fingono per non mettersi nei guai. “Ma là, l’uomo recitava il bel ruolo in quella che gli uomini chiamano la realtà, e tanto peggio se lo recitava male”: scusatemi, questo è Prévert, le parole delle poesie e di altri scritti è facile che mi saltino fuori mentre elaboro tali considerazioni. Evidentemente certe tematiche relative all’animo umano sono già state ampiamente contemplate in passato: non dobbiamo accorgercene soltanto oggi.
Quelli che nell’articolo del quotidiano cattolico Avvenire vengono definiti “nuovi diritti” dovrebbero costituire, invece che un impaccio, un’opportunità che una società civile e davvero in crescita morale non dovrebbe mai lasciarsi sfuggire. Sempre oggi l’ONU ha parlato chiaro: “Italia, un passo indietro.” Quelli come Svastichella e gli altri fascistelli amici suoi, ci fosse stato ieri un esito diverso, avrebbero percepito un certo tipo di messaggio. Avrebbero pensato: “Ammazza, ahò! Mo’ ‘sti frosci so’ tutelati, nun possiamo più menàje liberamente. C’avemo da pensa’, prima… Mo’ ‘ste mmerde so’ quarcosa pe’ la legge…”
Capite che voglio dire? Se questa legge fosse stata approvata, anziché naufragare miseramente fra sbadigli e biechi sorrisetti, avrebbe anche potuto avere la funzione di deterrente, di freno sociale, di messaggio preciso (e ufficiale) in una certa direzione: ma – come dice Rino Gaetano – chi me sente?
Barbara X
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