«Caro Musso, continua a non spiegarci perché sta con Silvio Berlusconi»
Domenica 11 ottobre 2009, il professor Vittorio Colletti ha inviato una lettera aperta, di stima e sofferta, ad Enrico Musso, professore ordinario di Economia all’università di Genova, ma in congedo perché senatore eletto nella lista del Popolo della Libertà, cioè fatto eleggere da Berlusconi. Nella lettera, puntuale e circostanziata, dopo avere evidenziato le più evidenti storture istituzionali, giuridiche ed etiche di Berlusconi, il professore Colletti osserva: «A me sembra impossibile che Lei non senta perlomeno disagio, se non ripugnanza umana, intellettuale e politica di fronte a tale personaggio»; e nonostante questa impossibilità evidente, non gli chiede di lasciare il partito padronale e nemmeno «come fa a starci», ma semplicemente «perché ci sta in questa destra». La richiesta quindi di spiegazione non verte sull’opportunità, ma sul «perché?» esistenziale, o se si vuole, filosofico: quello che regge le ragioni di una vita e quindi di un impegno. In un contesto di elezioni regionali (prossime) e comunali (medie), la domanda non solo è pertinente, ma esiziale. Perché Berlusconi è riuscito a illudere e abbindolare così tanta gente per bene, anche docenti di economia, che restano ciechi di fronte all’evidenza?
Il senatore Enrico Musso rispose il 13 ottobre con una lettera molto ambigua che fece arrossire molti miei amici che di lui hanno pure stima. Musso fu convinto da un «programma liberale» che non scrisse lui, ma che sposo: «efficienza della spesa pubblica, federalismo, liberalizzazioni, riforma meritocratica dell’università e della scuola, rilancio delle infrastrutture e della politica energetica. Una bella inversione di marcia rispetto al governo uscente, e anche a tutti quelli precedenti» (Musso però sa che il programma elencato è inesistente). Sulla questione specifica del «perché sta» in compagnia di un alieno democratico come Berlusconi, il senatore dribbla e ammette che «talvolta provo disagio. Ma la mia scelta ha a che fare con una visione politica e non col destino personale di un uomo. Che io non giudico, essendo troppo complesso lo scontro in atto fra i poteri forti del paese». A parte alcune incongruenze sintattiche (cominciare una frase con un’avversativa; oppure iniziarla con un relativo analettico seguito da una subordinata causale senza ombra di verbo e soggetto principali), viene da chiedersi se c’è o ci sta.
Dopo due anni di governo dal «programma liberale» sarebbe interessante sapere dal sen. Musso dove sono le liberalizzazioni, comprese quelle fatte da Bersani, vituperato «comunista»; oppure il senatore può dare un esempio di «efficienza della spesa pubblica» o di federalismo? La visione politica che lo ha incrociato sulla via di Scajola è o non è intrecciata al destino di un solo uomo? In questi giorni, in cui il parlamento di fatto è chiuso, il senatore Musso non si è ancora accorto che sono i destini del Paese intero ad essere sottomessi e subordinati ai due processi del suo benefattore: due processi, senatore, non perché ha rubato una mela e due castagne, ma perché ha corrotto un giudice comprando una sentenza e un testimone comprandolo per intero e perché ha frodato il fisco. Ora c’è anche il «processo breve» che somiglia più ad un «coitus interruptus» e Musso «non giudica»? Lui «deve» giudicare politicamente e, come insegnava Sant’Ignazio di Loyola, deve sapere sempre «dove» sta e con chi sta, perché secondo la morale civile e cattolica fare il palo è come rubare: è ladro tanto chi ruba quanto chi para il sacco. A Genova siamo in molti a non renderci conto «come e perché» Musso possa e voglia stare da «quella parte», la sola che pratichi e frequenti brutte compagnie di stampo sovietico di matrice Kgb misto a ciarpame politico. Forse «il liberale» Musso avrebbe dovuto studiare con più propensione il liberalismo come prospettiva politica e risposta sociale.
Paolo Farinella, prete
(pubblicato su la Repubblica/Il Lavoro del 29 novembre 2009)
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