Si, parliamo proprio di quel Gianfranco Fini! Quello che "Mussolini è stato il più grande statista del secolo". E Fini parlava proprio di quel Mussolini: quello delle leggi razziali. Fini, quello fuso nel PdP (Partito del Predellino), e con questo alleato di Bossi & Borghezio. Ora il giornaletto della sua fondazione, "Fare Futuro", scopre quanto siano brutti, sporchi e cattivi, i razzisti! Ma, tanto per non irritare troppo i suoi amici in camicia verde, non parla dei razzisti nostrani. Parla dei razzisti francesi di un secolo fa. C'est plus facile. Tafanus
Quando Rosarno era in Francia, e gli immigrati eravamo noi: racconti di un secolo fa, troppo simili a quelli di oggi.
(di Marco Brando - Marco Brando)
Per sfuggire alla miseria erano giunti in quella terra straniera. Avevano passato i confini in tanti, spesso clandestinamente. E pur di lavorare avevano accettato una paga assai più bassa rispetto a quella degli abitanti della zona, che – tra l’altro – disdegnavano quel lavoro, considerato troppo duro e mal retribuito. Lavoravano in condizioni penose. Alcuni “abitavano” in ripari di fortuna, capanni col tetto di frasche. Tantissimi dormivano all’aperto, come capitava. Venivano tollerati a stento da chi viveva lì. Li consideravano ladri, sporchi, magnaccia e fannulloni. Per giunta le loro paghe scarse non finivano nelle casse dei negozi locali, perché cercavano di mandare tutto quello che potevano alle famiglie lontane. La rabbia esplose con un pretesto non del tutto chiaro. Fatto sta che una mattina la gente del posto attaccò i capanni che ospitavano gli immigrati: così iniziò una gigantesca caccia allo straniero, che devastò la cittadina e tutta la zona circostante.
È il racconto degli scontri di Rosarno, in Calabria, magari così come potrebbe essere scritto tra qualche anno? Macché. Sembra. È un’altra storia: risale al 1893, più o meno l’epoca in cui vissero i bisnonni degli ultracinquantenni dei giorni nostri. Però è anche la “stessa” storia. Diversi i protagonisti. Le vittime della caccia all’uomo cominciata il 17 agosto di 117 anni fa furono gli italiani immigrati nella zona di Aigues-Mortes, cittadina della Camargue nel Sud della Francia. Erano lì per lavorare nelle saline. L’esito fu ben più terribile di quello calabrese. Il bilancio finale delle vittime tra gli operai italiani, linciati da una folla inferocita, non è mai stato accertato: nove secondo le stime ufficiali francesi. Il Times di Londra parlò di almeno 50 morti. Secondo altre fonti arrivarono addirittura al centinaio. Una rivolta xenofoba che pochi ricordano oggi, raccontata tra l’altro in un bel libro di Enzo Barnabà: Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes 1893 (Ed. Infinito, 2008).
Gli italiani, allora, erano chiamati dai francesi “Christos” o “Macaronis”(...veramente "macaronis" ai francesi scappa anche oggi, qualche volta... NdR). Erano emigranti stagionali, arrivati dal vicino Piemonte e da altre regioni per fare i braccianti. In Italia l’agricoltura era in crisi. I prezzi dei prodotti tipici dell’economia contadina erano aumentati. In Piemonte, poi, i vigneti erano decimati da malattie come fillossera, iodio, peronospora. Il lavoro era scarso e pagato pochissimo. Così non restava che emigrare. Il ricercatore piemontese Alessandro Alemanno scrive che «il lavoro in salina era duro, scarsamente remunerato, e si svolgeva in un ambiente paludoso, dove sempre erano in agguato le febbri malariche…
Da secoli l’estrazione del sale era occupazione riservata quasi esclusivamente agli ex galeotti, ma proprio nel 1893 la Compagnia delle saline aveva assoldato 600 italiani». Scrive lo storico francese Jean-Claude Hocquet: «Tutti questi operai lavoravano in condizioni penose, esposti tutto il giorno a un sole ardente, con gli occhi bruciati dal bagliore accecante dei cristalli di sale che scintillavano al sole, senza altra ombra dove riposare gli occhi che non fosse quella del cappello a larghe falde, coi corpi che gocciolavano di sudore, coperti di graffiature, scorticati dal canestro di vimini, mal protetti da una tela di sacco gettata sulla spalla, con le mani tagliate dai cristalli di sale, calzando zoccoli di legno guarniti di paglia».
Eppure il settimanale Mémorial d'Aix allora scriveva: «Gli italiani cominciano ad esagerare con le loro pretese: presto ci tratteranno come un paese conquistato». Poi: «Generalmente sono di dubbia moralità; il tasso di criminalità è elevato: del 20%, mentre nei nostri non è che del 5%». Sul quotidiano Le Jour si chiedeva al Governo d’Oltralpe di "proteggere i francesi da questa merce nociva, e peraltro adulterata, che si chiama operaio italiano». È passato oltre un secolo da quei tragici avvenimenti. Però – leggendo quelle valutazioni - sembra di scorrere commenti o di ascoltare dichiarazioni concepiti nell’Italia dei nostri giorni, durante i fatti di Rosarno e in occasione di precedenti casi di intolleranza. Anche ad Aigues-Mortes ci fu chi – tra i francesi – cercò di evitare la tragedia: è il caso di un prete. Pure in quel caso amministratori pubblici e politici avevano fatto da sponda all’odio xenofobo crescente per cercare di raccogliere consensi elettorali. (...caspita... sembra pari pari la descrizione di Bossi, di Borghezio, ma anche di Prosperini, l'ammanettato lumbard di AN. O della Signora Santanché, l'azionista del Billionaire... NdR)
Dietro quella strage di fine Ottocento, certo, c’era un groviglio di tensioni locali, nazionali e internazionali che contribuirono ad alimentare l’intolleranza (il libro di Barnabà ne offre il quadro). Così come dietro gli scontri in Calabria c’è una situazione molto complessa, incluso il ruolo non secondario svolto dalle cosche della ’ndrangheta. Parlare del contesto in cui questi fenomeni maturano e si consumano richiederebbe molto spazio; per giunta la storia dell’emigrazione italiana nel mondo è costellata di altri eventi che dovrebbero indurci a riflettere sull’immigrazione in Italia. Tuttavia è chiaro che la barbarie è dietro l’angolo. E che il ruolo di vittime e carnefici è intercambiabile. Forse la storia – visto quel che continua a succedere – non riesce davvero ad essere “maestra di vita”. In ogni caso sapere chi siamo e da dove veniamo può servirci, per lo meno ad essere consapevoli dei nostri errori: «La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso… - canta Francesco De Gregori - La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano».
Ringrazio Filippo che mi ha segnalato questa chicca, e riporto in calce - scusandomi per l'autocitazione - i links ad alcuni fra i tanti articoli antirazzisti pubblicati dal Tafanus.
[Tafanus: dalle leggi "razziali" (1938, alle leggi "razziste" (2008)]
[Tafanus, Giugno 2009: "Quando eravamo noi italiani i puzzoni"]
[Tafanus: Roma: "Sporco negro di merda" 1 e 2]
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