Sarebbe troppo facile, oggi, affrontare l'argomento "Rosarno" dalla riproposizione di giornali di sinistra. Abbiamo invece scelto di fare riferimento alla pacata voce di Giuliano Ferrara, da oltre 15 anni fedele servitore del Mago di Arcore. Dopo essersi convertito alla difesa dell'embrione ed all'adorazione della icona della destra razzista, la Oriana Fallaci ultima maniera, versione KKK, Il Foglietto di Giuliano Michelin riscopre la differenza fra umanità e maialità. Leggi il Foglietto di oggi, e sembra di essere finiti nel giornale della Caritas.
Oggi, chissà perchè, continuano ad affiorare nella mia testa le parole di Max Frisch:
"...volevamo braccia, sono arrivati uomini..."
"...volevamo braccia, sono arrivati uomini..."
"...volevamo braccia, sono arrivati uomini..."
Oggi Giuliano Michelin sul Foglietto è tutto untuosa ed adiposa bontà. Il sostegno del Foglio ai migranti? Inaspettato... tutto grasso che cola... Persino il suo vignettista-principe, le cui vignette per anni di Foglietto abbiamo pubblicato con allegato il libretto d'istruzioni, tanto erano diventate ermetiche, oggi riscopre di avere ancora addosso "qualcosa di sinistra": gli hanno concesso un riquadro 7x10 di libera uscita. Pane al pane, Vincino al Vincino.
Oggi ho invano cercato, sul database del Foglietto, una qualsiasi dichiarazione in dissenso di Giuliano Michelin. Eppure ha avuto ben sette anni e mezzo, per farla, mica un giorno! Oggi che gli ultimi della società rinunciano all'idea di poter essere difesi dalle autorità e dalle leggi, e iniziano (brutto, pessimo segnale!) a difendersi con le spranghe da coloro che prima li sfruttano, e poi ci giocano al tiro a segno, Giuliano riscopre il suo lato umano (perchè anche Giuliano ha un lato umano, per chi non lo sapesse). Ma prima di proporre la lettura dell'articolo del Foglietto-Caritas, una domanda all'uomo della Michelin allo strenuo difensore di spermatozoi ed embrioni, una domanda voglio farla:
Giuliano, dove cazzo eri, nel luglio 2002?
Armi da fuoco, spranghe, violenze contro i migranti. Vita disumana. Lo zampino della criminalità mafiosa - Calabresi vs extracomunitari - La rivolta degli ultimi della terra è diventata una guerriglia civile
Ieri a Rosarno, cittadina di 15 mila abitanti nella Piana di Gioia Tauro, sembrava fosse tornata la calma dopo l’incontro tra prefetto, questore e comitato civico, seguito a quello tra commissario prefettizio (il comune è sciolto da tempo per infiltrazioni mafiose) e delegazione di extracomunitari. In serata, però, altri quattro immigrati sono stati feriti, due gambizzati con armi da fuoco e due presi a sprangate, e tutti finiti all’ospedale di Polistena. Nessuno dunque sa quale piega prenderà la rivolta, scoppiata giovedì, quando centinaia di immigrati, per lo più clandestini, allarmati alla notizia, rivelatasi poi falsa, della morte di quattro di loro in uno scontro a fuoco con locali, sono usciti dai lori tuguri per dar sfogo alla violenza. In realtà, c’erano stati solo alcuni colpi sparati da una pistola ad aria compressa, con pallottole di gomma, ma la provocazione ha acceso la miccia.
Trecento extracomunitari, concentrati all’Opera Sila, una fabbrica in disuso in località Spartimento, armati di spranghe, bastoni, e circondati da una barriera di pneumatici in fiamme, hanno iniziato a fermare le auto su quel tratto popoloso della Statale 18, tra Gioia e Rosarno, prendendole d’assalto, spaccando i vetri dei negozi circostanti, seminando terrore. “Io cercavo di scattare alcune foto”, racconta al Foglio Domenico Mammola, giornalista di “Calabria ora”. “Mi sono trovato alle spalle del corteo e sono stato subito assalito dai migranti, che hanno preso a sassate parabrezza e lunotto posteriore. Mi è andata bene: dietro di me, una donna veniva costretta a scendere di forza, e ad assistere all’incendio della sua vettura”. Di fronte alla violenza, la polizia ha caricato. “Erano 30 contro 400” dice sempre Mammola. Intanto, nel centro di Rosarno, scoppiava la rivolta alla Rognetta, altro luogo di inumana residenza per circa 250 extracomunitari. E la popolazione reagiva: “Ho tirato via un nero che veniva preso a bastonate dai miei compaesani”, dice il rosarnese Giacomo Giacovazzo, dirigente della regione, che fa un quadro desolante della mancanza di lavoro e della miseria nera nel settore ortofrutticolo, dove un chilo di arance rende 6 centesimi e a raccoglierlo ne costa 10. Venerdì all’alba, Domenico Fazzari, vicepresidente della Valle del Marro, una cooperativa agricola che coltiva 120 ettari di uliveto confiscati alle famiglie ndranghetiste della Piana, dei Mammoliti, dei Piromalli, degli Alvaro, era pronto col suo furgone carico di pentole, bombole del gas, fornelli e gazebo, per andare a preparare la colazione agli extracomunitari di Rosarno, ma ha dovuto rinunciare.
Dal 15 dicembre, ogni mattina, gruppi di volontari che fanno capo alla Caritas e a don Pino De Masi,
parroco polistenese di Santa Marina, si alzano alle quattro del
mattino, per servire biscotti e latte caldo agli ultimi della terra.
“All’Opera Sila vivono in 700, in condizioni disumane” racconta Giacomo
Zappia, che lavora con Fazzari e fa parte dei volontari della Piana.
“Giacigli di cartone, ruote bruciate per riscaldarsi, bagni alla turca
all’aperto, sotto una tettoia una sorta di macelleria dove ammazzano
cani, pecore, tutto quello che trovano, e intorno un mare di
spazzatura. Tutti sanno come vivono, ma nessuno interviene”. Un anno
fa, il 13 dicembre 2008, dopo una sparatoria per motivi di estorsione,
gli africani dell’ex cartiera, chiusa poi per un incendio, sfilarono
per le strade di Rosarno, mostrando in silenzio cartelli con su scritto
“Non sparateci contro”. I calabresi pensarono: questi extracomunitari
stanno dando una lezione di ribellione alla ’ndrangheta. Oggi invece
domina la paura e la violenza rischia di dilapidare il cordone di
solidarietà e il sogno di integrazione sociale all’insegna della
legalità.
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...bene, ora anche Giuliano, il Difensore dell'Embrione, lo sa, come vivono. Ne parli col suo padrone. Lo spieghi a lui, che noi una certa idea già ce l'eravamo fatta. Faccia del giornalismo d'inchiesta (alla Gilioli, alla Gatti). Poi ritorni, e ci racconti i risultati. E nel frattempo offra a Vincino, a carico dell'azienda, una serie di sedute psico-terapeutiche. Dev'essere durissima, per un padre fondatore di "Cuore", stare in un giornale dove non riesce più a ritrovare una identità, ma alle cui prebende non riesce a rinunciare. Tafanus
(continua)
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