Il figlio dell'ex sindaco di Palermo ha testimoniato al processo Mori nell'aula bunker dell'Ucciardone - "Provenzano garantito da accordo" - La ricostruzione dei rapporti con il boss latitante: "Godeva di immununità territoriale"Palermo - Parla del padre Vito, potente sindaco di Palermo, e dell'amico complice di sempre, Bernardo Provenzano. Parla soprattutto degli affari di Cosa nostra, che avrebbe investito molti capitali a "Milano 2", la grande operazione immobiliare da cui presero il via le fortune di Silvio Berlusconi. Al processo Mori, nell'aula bunker del carcere palermitano dell'Ucciardone, Massimo Ciancimino racconta le trame del padre: "Con Provenzano si vedeva spesso - dice - anche a Roma, fra il 1999 e il 2002. Con altri mafiosi che avevano una grande capacità imprenditoriale faceva investimenti. Con i fratelli Buscemi e con Franco Bonura vennero investiti soldi anche in una grande realizzazione alla periferia di Milano che è stata poi chiamata Milano 2" [...]

Il signor Lo Verde. Il racconto di Ciancimino comincia da lontano. "Me lo ricordo da bambino - dice Massimo Ciancimino - Bernardo Provenzano, che io conoscevo come il signor Lo Verde, veniva a trovarci spesso nella nostra casa di villeggiatura di Baida, alle porte di Palermo. Solo molto tempo dopo, a fine anni Ottanta, vidi per caso l'identikit di un capomafia sulla rivista Epoca, mentre ero Dal barbiere con mio padre. Era Provenzano, riconobbi l'uomo che veniva a casa mia. Chiesi a mio padre di quell'uomo. Mi rispose: stai attento al signor Lo Verde, da questa situazione non può salvarti nessuno" [...]

Il figlio di Vito Ciancimino continua a rispondere senza tentennamenti alle domande dei pubblici ministeri. Ritorna sugli affari del padre: "Dopo le inchieste e le denunce della commissione antimafia e il caso della sua querela al capo della polizia, mio padre decise di spostare i suoi investimenti lontano da Palermo". Correvano gli anni Settanta. Massimo Ciancimino spiega: "Alcuni suoi amici di allora, Ciarrapico e Caltagirone, ma anche altri costruttori romani gli dissero di investire in Canada dove erano in preparazione le Olimpiadi di Montreal. C'erano dei mutui agevolati per gli investitori stranieri".
Con i boss Salvatore e Antonino Bonura, con il costruttore mafioso Franco Bonura sarebbe nato in seguito un altro investimento: "Una grande realizzazione alla periferia di Milano che è stata poi chiamata Milano 2", dice Ciancimino junior [...]
Il signor Franco. Vito Ciancimino avrebbe incontrato spesso il signor Franco: "Lui, mio padre e il signor Lo Verde avevano le chiavi di un appartamento, nella zona di via del Tritone, a Roma". All'ex sindaco di Palermo sarebbero stati chiesti dai Servizi diversi "interventi": anche in occasione del disastro di Ustica ("Per non fare diffondere certe notizie", dice Ciancimino junior) e del sequestro Moro ("Per trovare il covo")
[L'articolo completo di Salvo Palazzolo su Repubblica]
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Una famiglia "in carriera": chi è Vito Ciancimino: (Corleone, 1924 – Roma, 2002) politico e criminale italiano, appartenente alla Democrazia Cristiana, membro di Cosa Nostra e, secondo documenti resi pubblici dal figlio Massimo, affiliato di Gladio. Figlio di un barbiere di Corleone, si diplomò ragioniere nel 1943 e ricoprì, nella città di Palermo, la carica di assessore comunale ai lavori pubblici dal 1959 al 1964. In questo periodo egli non si oppose al cosiddetto "Sacco di Palermo".
Eletto sindaco di Palermo per la Democrazia Cristiana nel 1970, era insieme al suo predecessore Salvo Lima, il leader siciliano della corrente politica "Primavera", guidata a livello nazionale da Giulio Andreotti. Durante gli anni della speculazione edilizia palermitana, sotto il sindaco Ciancimino, venne emesso il numero record di licenze edilizie, gestite dalla mafia di Corleone ma che risultavano intestate invece a tre persone nullatenenti (cosiddetti prestanome).

Nel 1984 il pentito Tommaso Buscetta lo definisce "organico" alla cosca dei corleonesi: nello stesso anno Ciancimino viene arrestato, e nel 2001 sarà condannato a tredici anni di reclusione per favoreggiamento e concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 1985 la DC lo espulse dal partito, e pochi giorni prima che morisse, il comune di Palermo gli presentò un'ingente richiesta di risarcimento, pari a 150 milioni di euro, per danni arrecati all'amministrazione comunale: di questi l'ex politico ne consegnò solo sette.
Vito Ciancimino rappresenta la pagina più nera per l'amministrazione comunale di Palermo. I magistrati che indagarono su di lui lo definiranno «la più esplicita infiltrazione della mafia nell'amministrazione pubblica». Secondo quanto ricostruito dal giornalista Gianluigi Nuzzi, che si è avvalso dell'archivio di monsignor Renato Dardozzi, dall'Istituto per le Opere di Religione (IOR) sarebbero stati manovrati dei soldi diretti a Ciancimino per conto della mafia. A tal proposito il figlio di Vito Ciancimino, Massimo, affermò: " Le transazioni a favore di mio padre passavano tutte tramite i conti e le cassette dello IOR» [...]
(da Wikipedia)
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