Deficit di democrazia interna e strapotere in mano a pochi e discussi professionisti della politica. È il risultato della passata strategia di corto respiro dell’Idv di imbarcare a destra e a manca (e soprattutto al centro) transfughi di altre formazioni politiche, consegnando loro le chiavi delle federazioni locali. Questo emerge dall’inchiesta sulle strutture locali del "partito dell’anticasta" [...]
Da più parti è stato notato come i due milioni e mezzo di voti ottenuti da Idv nelle elezioni per il rinnovo del parlamento di Strasburgo molto spesso non abbiano trovato riscontro nel concomitante voto amministrativo: in media, la percentuale ottenuta dal partito alle comunali e alle provinciali del giugno 2009 si aggira infatti attorno al 4, 4,5 per cento. Ma si tratta appunto di una media: casi limite come quello di Firenze, dove l’Idv ha preso il 2,8 per cento alle comunali contro il 7,9 per cento delle europee, di Crotone (3,8 per cento alle provinciali contro il 10,7 per cento delle europee) e di Foggia (3,7 per cento alle comunali contro il 14,8 per cento delle europee) evidenziano qua e là uno scarto ancora maggiore. A motivare l’indagine di cui ci accingiamo a presentare i risultati sono stati appunto questo gap e gli interrogativi che esso pone. Senza troppi giri di parole, è forse il caso di anticipare la nostra chiave di lettura del fenomeno (consapevoli che ad essa se ne possono accompagnare numerose altre): a livello locale, le ali del gabbiano arcobaleno sembrano troppo spesso zavorrate dal peso della sua contiguità ad un ceto politico dai modi di fare discutibili, in molti casi approdato in Idv dopo svariati cambi di casacca, alcuni dei quali acrobatici, e in seguito a ponderatissimi calcoli di convenienza personale. Non proprio quello che ci si aspetterebbe da un partito che aspira ad incarnare un modo nuovo di fare politica, aperto al contributo di quanti, da semplici cittadini, vogliono smetterla di guardare disgustati dalla finestra e rimboccarsi le maniche per costruire un’alternativa al regime berlusconiano.
Durante la nostra inchiesta più volte abbiamo dovuto constatare come il conflitto fra le due anime dell’Idv, quella idealmovimentista da un lato, e quella inciucista e politicante dall’altro, crei spesso a livello locale situazioni di stallo, e come di frequente si risolva a favore della seconda. Una strategia di corto respiro, quella di imbarcare a destra e a manca (e soprattutto al centro) transfughi di altre formazioni politiche consegnandogli le chiavi delle federazioni locali del partito, che talvolta potrà anche servire a racimolare qualche voto o qualche assessorato in più, ma che di sicuro non giova ad un progetto di crescita e di radicamento di lungo periodo finalizzato alla trasformazione del paese [...]
Peccati di gioventù - Il passato organizzativo e statutario dell’Idv è tutt’altro che esemplare. Il tentativo di fare un partito «al riparo dalle pastoie tanto del modello di partito ideologico, quanto di quello di mero comitato elettorale», come auspicato dallo statuto del 2004 rimasto in vigore fino all’inizio di quest’anno, si era risolto, nella migliore delle ipotesi, in un pateracchio e, nella peggiore, in una forma di autocrazia legalizzata. La partecipazione degli iscritti alla definizione del progetto politico dell’organizzazione era di fatto impedita ex lege. Per evitare le «pastoie» della tanto aborrita forma-partito, l’Italia dei Valori era stata infatti costituita come un’associazione composta da tre soci: il presidente, ovvero Di Pietro stesso, l’avvocato Susanna Mazzoleni, moglie di Di Pietro, e l’amica di famiglia Silvana Mura, oggi parlamentare, che ricopriva anche il ruolo di tesoriere.
L’associazione, poi, promuoveva «la realizzazione di un partito nazionale organizzato in forma federale» (articolo 2). Iscriversi al partito Italia dei Valori, tuttavia, non comportava l’ammissione come socio dell’associazione, che poteva avvenire solo tramite atto notarile. L’assemblea dei (tre) soci era responsabile e custode delle finanze dell’associazione stessa (ergo, di quelle del partito), ne poteva modificare e integrare lo statuto, e ne nominava il presidente (articolo 4). La presidenza nazionale del partito spettava al presidente dell’associazione (articolo 10) che, come si è appena detto, era scelto dai (tre) soci. Gli iscritti al partito, in altri termini, non avevano alcun modo di influire sulla scelta del loro presidente. Come se non bastasse, e per eliminare il rischio di insubordinazioni all’interno dell’affollata assemblea dei soci, il famigerato articolo 16 stabiliva in via transitoria che, «fino a sua rinuncia, il ruolo di presidente dell’associazione viene assunto dal fondatore del partito, onorevole Antonio Di Pietro». A ragione Alberico Giostra ha parlato, nella sua documentata biografia politica dell’ex pm, di una «struttura di governance sostanzialmente inespugnabile, in quanto sottratta al libero evolversi degli equilibri politici interni ai quali invece dovrebbe essere sottoposto qualunque organismo di comando di un partito politico».
Questo scenario, tuttavia, fa ormai parte del passato, perché a gennaio 2009 Di Pietro ha ritenuto opportuno avvalersi di un’altra norma transitoria prevista dall’articolo 16, quella che gli riservava il potere di modificare e integrare lo statuto. Nella nuova carta fondamentale dell’Idv, il dualismo partito/associazione, all’origine di tante polemiche, è stato finalmente eliminato, azzerando in tal modo anche la partecipazione e il ruolo degli originari soci fondatori. Il controllo delle finanze del partito è stato affidato ad un organismo collegiale composto da sette persone, l’Ufficio di Presidenza, e sono state cancellate le tanto contestate norme transitorie del vecchio statuto: i poteri statutari sono stati rimessi agli organi del partito. È in questo quadro che si annuncia per la prima volta lo svolgimento, nella febbraio 2010, di un vero congresso nazionale. Nell’attesa dell’evento, può forse essere utile cercare di capire qual è oggi la situazione organizzativa del partito, con particolare attenzione alle sue ramificazioni periferiche.
Un viaggio nell’IdV
In Piemonte, a guidare il partito è arrivato a inizio 2008 Gaetano Porcino, ex Margherita, che oggi afferma candidamente di esser stato nominato senza un congresso («a tavolino») per rimodulare la classe dirigente locale dell’Idv facendo spazio ai suoi accoliti. Porcino è infatti passato all’Italia dei valori insieme ad altri tre consiglieri comunali torinesi (fra cui Rocco Lospinuso, ex Forza Italia, ora nel gruppo misto) e a circa sessanta fra consiglieri comunali e assessori sparsi in tutta la provincia. Il suo arrivo nel partito ha provocato più di un malumore nella base e fra i militanti storici [...]
In Veneto, da più di un anno è commissariata Treviso, che dovrebbe andare a congresso prossimamente. In Friuli non ci sono attualmente federazioni commissariate anche se, nel corso del 2008, era toccato a Udine e Pordenone. Nel vicino Trentino, dove l’anno scorso si è creato un duro scontro, molto personale e molto poco politico, fra l’ex coordinatore provinciale Bruno Firmani e la sua vice Giovanna Giugni, dall’inizio del 2009 troviamo come commissario l’instancabile Sergio Piffari.
Della Liguria avremo modo di parlare diffusamente più avanti. Qui comunque l’onorevole Paladini, ex consigliere regionale della Margherita passato con Di Pietro poco prima delle politiche del 2008 venendo poi eletto alla Camera, nel giro di un anno è riuscito a fare il miracolo della moltiplicazione delle tessere, passate, nei mesi precedenti il congresso, da 700 a 7 mila.
In Toscana, dai primi di ottobre del 2008 è commissariata la federazione provinciale di Lucca, in conseguenza del duro scontro che ha opposto il coordinatore regionale Giuliano Fedeli all’ex segretario provinciale Massimo Carlo Belli, con il quale risulta oggi schierata la maggior parte degli iscritti lucchesi.
In Umbria è «garante congressuale» l’onorevole Leoluca Orlando.
Nelle Marche, dopo l’arrivo in Idv di David Favia, tutte e cinque le sezioni provinciali del partito sono commissariate.
Nel feudo di Nello Formisano, la Campania, non si tiene un congresso regionale dal 2005. Secondo Angela Zeoli, militante della prima ora ed ex coordinatrice provinciale di Benevento, in quell’occasione i circa duecento delegati non riuscirono neanche a leggere la mozione da discutere, presente in sala in un’unica copia.
Sempre nel 2005 si è tenuto anche il congresso regionale pugliese, che dopo il lungo commissariamento a opera di Felice Belisario ha eletto coordinatore Pierfelice Zazzera. Belisario, come avremo modo di illustrare più avanti, continua comunque ad avere un ruolo non marginale nella vita del partito in Puglia. A livello provinciale risultano commissariate Brindisi, Taranto e Lecce.
Aurelio Misiti, ex sindaco comunista di Melicucco, ex assessore della giunta Carraro a Roma, ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici di nomina berlusconiana ed ex assessore della giunta regionale di centro-destra presieduta da Chiaravalloti, era fino a poche settimane fa al vertice dell’Italia dei valori in Calabria. Ai primi di settembre, Di Pietro lo ha sostituito con Ignazio Messina, il responsabile nazionale enti locali dell’Idv.
Messina ricopre ruoli di rilievo anche all’interno della federazione siciliana del partito. La Sicilia è commissariata dal 2007, da quando cioè l’ex coordinatore regionale Salvo Raiti, che era stato eletto da un congresso, ha abbandonato l’Italia dei valori. Mentre era ancora in carica, Raiti era entrato pubblicamente in conflitto proprio con Messina, all’epoca suo portavoce. Per nove anni sindaco di Sciacca, questi annunciò infatti nel 2004 che la sua lista civica, presentatasi al primo turno insieme a Rifondazione comunista, avrebbe appoggiato al ballottaggio il candidato sindaco sostenuto da Forza Italia, Udc e An, Mario Turturici. Turturici venne eletto e Messina diventò vicepresidente del consiglio comunale. Raiti, che lo sconfessò, è oggi fuori dal partito (e dal parlamento), mentre Messina ha fatto strada: oltre ad essere deputato, è responsabile nazionale enti locali e commissario in Calabria e ad Agrigento.
Il partito in franchisingEppure, di circoli territoriali di Idv ne esistono parecchi, e in più parti d’Italia se ne continuano ad aprire. Giovani, intellettuali, professionisti desiderosi di mettere a disposizione di un progetto condiviso le proprie capacità e competenze, semplici cittadini disgustati dalla deriva tardoimperiale del regime made in Arcore continuano ad entrare nella formazione politica guidata da Di Pietro, da molti vista come l’unico solido argine in grado di resistere alla piena berlusconiana. Non sempre, tuttavia, il loro entusiasmo e la loro passione civile trovano un contesto in cui potersi sviluppare ed essere valorizzati. Ciò avviene, ci pare di capire, per due ragioni fondamentali. La prima è strettamente connessa con i limiti organizzativi e con il deficit di democrazia interna di cui, come si è appena visto, il partito soffre in varie zone del paese. La seconda, strutturalmente legata alla precedente, ha a che fare con lo strapotere che, a fronte della scarsa capacità d’incidere del singolo iscritto, viene accordato localmente a fuoriusciti di altri partiti, per lo più orfani di lungo corso della diaspora democristiana in cerca di una temporanea ricollocazione. A questi professionisti della politica, pronti a salire sull’autobus targato Idv, magari in prossimità di un’importante consultazione elettorale, per poi scendere alla fermata successiva, è stata spesso consentita una fulminea carriera all’interno delle strutture locali del partito, mentre attivisti di provata fedeltà, o neoiscritti motivati e competenti, vengono relegati nel ruolo di meri «manovali». Un fenomeno che ha come risultato quello di deprimere e far allontanare la parte migliore della militanza.
Scuola di polizia. Giovanni Paladini, lo si è già ricordato, è dall’inizio del 2009 alla guida dell’Italia dei valori in Liguria. Ex Ppi, poi Margherita, poi Pd, è stato in passato commissario di polizia e segretario generale aggiunto del Sap, il sindacato «indipendente» (in realtà smaccatamente di destra) delle forze dell’ordine. Nelle settimane che hanno preceduto e in quelle che hanno seguito il G8 di Genova del luglio 2001 l’onorevole Paladini ha avuto un gran da fare. Tre mesi prima dei disordini, prevedeva con largo anticipo i disagi cui sarebbero andati incontro gli abitanti del capoluogo ligure proponendo in consiglio regionale l’istituzione di un fondo a favore dei cittadini danneggiati dai tumulti. Animatore, dopo il G8, della campagna di controinformazione «Chi difende i difensori?», votava convintamente contro la commissione regionale d’inchiesta sulle drammatiche giornate del luglio 2001 proposta da Rifondazione, dimostrando così in tempi non sospetti la sua consonanza ideale con quei deputati dipietristi (Carlo Costantini e Massimo Donadi) che qualche anno dopo avrebbero contribuito ad affossare l’istituzione di un’analoga commissione d’inchiesta parlamentare.
Febbrile è stata anche la sua attività di consigliere in sostegno della
lobby dei cacciatori, volta ad estendere i limiti temporali della stagione venatoria, ad aumentare il numero di capi da uccidere e a consentire l’immissione nel territorio della selvaggina da allevamento, all’occorrenza votando insieme alla Casa delle libertà. Paladini è arrivato in Idv nel marzo 2008, alla testa di un drappello di 83 fedelissimi, tutti amministratori eletti in Liguria nelle fila della Margherita.
Alle ultime elezioni europee, Di Pietro decideva di inserire nella lista Idv per il Nord-Ovest la savonese Gloria Bardi. Insegnante di storia e filosofia al Liceo classico di Savona, scrittrice e appassionata di teatro, durante la stagione dei girotondi e la cosiddetta «primavera dei movimenti» la Bardi era stata fra i fondatori a Finale Ligure dell’associazione LiberaMente, che per circa due anni aveva animato il dibattito finalese organizzando eventi e discussioni pubbliche con Travaglio, Caselli, Di Pietro, Dalla Chiesa, Remondino e altre personalità. Successivamente era passata all’impegno politico locale dando vita, insieme ad alcuni esponenti del Prc, alla lista civica «Un’altra Finale», per la quale si sarebbe candidata a sindaco della cittadina nel 2004. Una donna impegnata, insomma, dall’identità politica chiaramente definita: radicale, laica, di sinistra. Un po’ troppo, per uno come Paladini.
Di lì a poco, la segreteria regionale del partito decideva che le candidate liguri alle europee del 6 e 7 giugno dovevano essere due: oltre a Bardi, veniva inserita in lista anche Marylin Fusco, giovane astro nascente dell’Idv genovese, consigliera comunale e, notoriamente, «fiamma» del Paladini. L’esordio dell’avvenente Marylin in qualità di candidata al parlamento di Strasburgo era però tutt’altro che brillante: nel corso di un dibattito elettorale andato in onda su Odeon Tv, in compagnia di Iva Zanicchi, la nostra ammise con straordinario candore, guadagnandosi nei giorni successivi la prima pagina del quotidiano Libero, che sì, in effetti, «nei confronti di Silvio Berlusconi è in atto una persecuzione». Ovviamente fra gli elettori e i militanti dell’Idv si scatenava il putiferio, tanto che l’incauta candidata era costretta a una smentita ufficiale su YouTube. A ogni modo, durante la successiva campagna elettorale Marylin ce la metteva tutta, aprendo un suo sito dal quale comunicava in diretta video con gli elettori, girando in lungo e in largo l’Italia nordoccidentale, addirittura presentandosi insieme a Tonino davanti ai cancelli della Fiat e, soprattutto, beneficiando ampiamente dell’aiuto della segreteria regionale del partito, a quanto pare non altrettanto prodiga nei confronti di Gloria Bardi. Alla fine, nessuna delle due candidate sarebbe stata eletta, ma la Fusco avrebbe ottenuto circa 8 mila preferenze, contro le quasi 3 mila della Bardi.
Passate le elezioni, Paladini si affrettava ad ascrivere alla propria gestione il buon risultato ottenuto dall’Idv in Liguria, in realtà in linea con la media nazionale e, come nel resto del paese, dovuto principalmente alla forza d’urto del voto d’opinione antiberlusconiano. Il coordinatore regionale ne approfittava, da un lato, per un giro di vite nei confronti della minoranza interna del partito, facente capo alla «grillina» Manuela Cappello e, dall’altro, per «battere cassa» in vista di una ridefinizione dei rapporti di forza esistenti nel centro-sinistra ligure. L’Idv reclamava una maggiore rappresentanza istituzionale nelle varie amministrazioni locali, a Genova mandava sotto la maggioranza di centro-sinistra in consiglio comunale votando con l’opposizione e Paladini si spendeva senza riposo in trattative con Burlando e Marta Vincenzi. All’ex «ministro gerundio» cercava di strappare accordi in vista delle regionali del 2010, sostenendo che i tempi erano ormai maturi perché l’Idv, seconda forza della coalizione, potesse aspirare alla vicepresidenza della Regione. Lasciamo al lettore il compito di immaginare a chi spettasse, secondo Paladini, l’onore di un così alto incarico.
Fatto sta che la duplice offensiva riscuoteva un duplice risultato. A giugno, un gruppo di otto membri del direttivo provinciale di Genova, tutti vicini a Manuela Cappello, rassegnava collettivamente le dimissioni in segno di protesta contro la gestione autocratica del segretario regionale. Ai primi di luglio, veniva conferito un nuovo assessorato all’Idv nella giunta comunale genovese. Il prescelto era Stefano Anzalone, covata Paladini, ça va sans dire, un tempo vicino a Forza Italia, anch’egli proveniente dal Sap [...]
In provincia, invece, l’Italia dei valori rimaneva a bocca asciutta anche se, durante il braccio di ferro con gli altri partiti di maggioranza seguito alle elezioni di giugno, Paladini aveva fatto circolare insistentemente il nome di Salvatore Ottavio Cosma come nuovo assessore provinciale «di peso» in aggiunta (o in alternativa) all’odiata Manuela Cappello. Cosma, da poco rientrato in Idv, è attualmente responsabile enti locali della sezione ligure del partito. Di origini calabresi, da anni risiede a Genova, dove ha peregrinato a lungo in diverse formazioni politiche: ex Pci, poi Pds, ex assessore nella giunta comunale di Adriano Sansa, transitato già in precedenza in Idv, era infine approdato nell’Udeur di Clemente Mastella, da cui è uscito pochi mesi fa. Il suo «peso» sembra derivare soprattutto dalle buone relazioni che mantiene nel capoluogo ligure con i suoi conterranei in quanto presidente dell’associazione di immigrati calabresi «La città del sole». Il 23 maggio 2008, in un articolo del Secolo XIX relativo a un’indagine condotta dal pm genovese Francesco Pinto venivano citati degli estratti di un rapporto della guardia di finanza dai quali emergevano i rapporti fra Cosma e la famiglia calabrese dei Mamone, imprenditori edili operanti in Liguria a lungo beneficiati con diversi appalti dalle amministrazioni di centro-sinistra. I Mamone, sempre secondo la finanza, sarebbero stati segnalati dalla Dia per i loro legami con la cosca calabrese dei Mammoliti.
A Savona e provincia, fra i paladiniani di stretta osservanza troviamo Rosario Tuvè e Vincenzo Catalano, che con il coordinatore regionale ligure agiscono come un sol uomo. Tuvè, anche lui ex Margherita, è l’attuale segretario provinciale di Idv mentre Catalano, segnalato in passato negli ambienti della diaspora socialista, è il suo vice con delega agli enti locali. Oltre a ricoprire l’incarico nel partito, Tuvè è anche assessore ai lavori pubblici del comune di Savona. Non molto tempo fa ha avuto l’onore di essere citato da Ferruccio Sansa e Marco Preve nel loro fortunato volume Il partito del cemento in quanto acquirente di un appartamento, ancora da costruire, nel complesso residenziale di lusso successivamente realizzato dall’architetto catalano Bofill nel quadro di una maxispeculazione edilizia che ha investito l’area del porto storico di Savona. Una scelta che al libero cittadino Tuvè non può certo essere contestata ma che lascia un po’ perplessi in considerazione del fatto che, all’epoca dell’acquisto, l’assessore aveva la delega all’urbanistica [...]
Caltanissetta: In vista delle comunali, il locale meet-up degli amici di Beppe Grillo aveva deciso di presentarsi in tandem con l’Italia dei valori. La lista, contrassegnata da due simboli racchiusi in un unico cerchio, si sarebbe dovuta chiamare «Cittadini in comune». Il locale circolo Idv, precedentemente composto da due sole persone, in seguito alla scelta di collaborare con i grilli nisseni aveva conosciuto una discreta espansione, con l’ingresso di alcuni nuovi iscritti, per lo più giovani che si avvicinavano alla politica per la prima volta. La collaborazione fra i due gruppi, tuttavia, sfumava rapidamente quando i membri del meet-up venivano a conoscenza della decisione, presa a tavolino da Di Pietro, Orlando e Giambrone, di candidare alle europee Salvatore Messana, per dieci anni sindaco di Caltanissetta [...]
Con il presidente di Italiani nel Mondo il segretario campano di Idv ha continuato a mantenere buoni rapporti anche dopo il passaggio del primo al centro-destra. A
De Gregorio, del resto, era stata addirittura affidata la direzione editoriale del quotidiano del partito, Italia dei valori, nella cui redazione Formisano aveva piazzato il figlio come praticante. A Torre del Greco, cittadina che gli ha dato i natali, il coordinatore regionale campano ha fatto entrare l’Italia dei valori in coalizione con Forza Italia, An, Udeur e, per l’appunto, Italiani nel mondo. Era il maggio del 2007 e correva per la poltrona di primo cittadino Ciro Borriello. Sull’home-page del suo sito di candidato a sindaco, tuttora online, campeggia una frase di Oscar Wilde, autentico motto di ogni spirito libero e anticonformista: «Tutte le volte che altri sono d’accordo con me, ho sempre la sensazione di avere torto».
Anche a San Giorgio a Cremano, Formisano schierava l’IdV insieme al centro-destra, ma stavolta andava male e il candidato sindaco, l’ex dc Gaetano Punzo, veniva sconfitto dal rivale Domenico Giorgiano. Circa un anno dopo, nell’aprile 2008, una scelta analoga veniva compiuta a Qualiano: qui la Grosse Koalition alla pummarola prevedeva però uno sfondamento a destra, imbarcando anche la Fiamma tricolore di Luca Romagnoli. «Si tratta di casi isolati», spiega Formisano [...].
Nell’Italia dei valori la tendenza a commissariare ogniqualvolta si presentino divisioni interne o dissensi politici è diffusissima. Segno che siamo in presenza di un partito che non è ancora un partito, ma piuttosto una struttura gerarchica verticale ramificantesi in strutture di vassallaggio locale [...]
Ceppaloni Connection. Al lettore accorto non sarà sfuggito come la lista degli ex Udeur saltati sul carro di Tonino sia decisamente lunga. Il fenomeno, intensificatosi in seguito allo sgambetto di Clemente Mastella a Romano Prodi e alla successiva caduta in disgrazia del sindaco di Ceppaloni, in realtà dura già da qualche anno. Ai nomi di Salvatore Cosma, Ciro Borriello, Orazio Schiavone e David Favia se ne potrebbero aggiungere molti altri, a partire da quello di Pino Pisicchio, che in fatto di cambi di casacca non teme confronti.
Ex Dc, poi Ppi, Rinnovamento italiano, Udeur e Rinnovamento Puglia, ha aderito all’Italia dei valori dopo che era sfumata la sua candidatura a sindaco di Bari per il centro-destra. Pisicchio, che aveva stretto un accordo in tal senso con Raffaele Fitto, alla fine dovette desistere per la forte opposizione di Alleanza nazionale, preoccupata dall’eventualità di una deriva centrista della coalizione. Il suo arrivo nel partito, circa un mese prima delle elezioni politiche del 2006, provocava non pochi malumori fra gli iscritti; il coordinatore provinciale di Bari Michele Cecere si dimetteva spiegando: «la nostra base è fatta di persone che credono ancora al rinnovamento della politica, e non al mercanteggiamento». Di Pietro, come sempre in questi casi, faceva spallucce e Pisicchio veniva candidato alla Camera, risultando poi eletto. Ancora oggi siede a Montecitorio nei banchi dell’Italia dei valori.
Fra gli ex mastelliani di un certo peso troviamo anche il senatore Nello Di Nardo, dentista di Castellammare di Stabia e cugino di Orazio Schiavone, il coordinatore provinciale di Foggia che, come abbiamo visto, è stato condannato proprio per esercizio abusivo della professione odontoiatrica. Di Nardo alle elezioni del 2006 non era stato eletto, ma Di Pietro se lo era portato lo stesso a Roma, al ministero delle Infrastrutture. A scanso di imprevisti, due anni dopo Tonino lo avrebbe candidato capolista al Senato in Campania.
Dal 2004 è iscritto al partito delle mani pulite anche Nicola Marrazzo, ex Dc poi passato ai democratici, alla Margherita, a Rinnovamento italiano e infine a Idv. Attualmente ricopre il ruolo di capogruppo in consiglio regionale.
La sua famiglia possiede diverse imprese impegnate nel settore dei rifiuti, quattro delle quali si sono viste ritirare dalla Prefettura il certificato antimafia. All’origine della decisione, confermata anche dopo i ricorsi di Angelo e Domenico Marrazzo, i parenti più stretti di Nicola, vi sono i rapporti che legano i fratelli Marrazzo a Raffaele Giuliani, membro del clan dei Casalesi già condannato per associazione mafiosa [...]
Marrazzo è stato nominato capogruppo di Idv in consiglio regionale in seguito allo scandalo che aveva investito il suo predecessore, Cosimo Silvestro. Ex Ppi, poi Democrazia europea, Repubblicani democratici e infine Idv, Silvestro era finito sotto i riflettori nell’ottobre del 2008, quando il Corriere del Mezzogiorno aveva pubblicato la notizia che un imprenditore pomiglianese attivo nel settore della ristorazione, Ciro Campana, era un collaboratore della sua segreteria, con tanto di badge magnetico e possibilità di utilizzare l’auto blu. Campana, noto alle forze dell’ordine per le sue frequentazioni camorristiche e più volte fermato dai carabinieri in compagnia di pregiudicati, era stato in precedenza assessore nella giunta di centro-destra che aveva governato il comune di Casalnuovo fino allo scioglimento per infiltrazioni mafiose. A Casalnuovo, grazie a connivenze con la pubblica amministrazione, erano stati costruiti ben 75 palazzi abusivi. Dopo la pubblicazione della notizia, Silvestro si autosospendeva, ma nel giro di un paio di settimane veniva riammesso da Formisano. Confluirà nel gruppo misto quando Di Pietro gli sostituirà Marrazzo nel ruolo di capogruppo.
In casi come questi, in genere, Tonino tira fuori la storia delle mele marce, o delle erbacce isolate da sradicare con pazienza contadina. Il ragionamento dell’ex magistrato suona più o meno così: tutti i partiti, prima o poi, finiscono per avere al loro interno casi di persone che hanno problemi con la giustizia, ma mentre altrove questi soggetti rimangono lì dove sono e anzi fanno carriera, in Idv si dimettono per farsi giudicare e tornano al loro posto solo se pienamente riabilitati. Ora, a parte la debolezza della tesi secondo cui bisogna aspettare l’intervento della magistratura per selezionare una classe dirigente degna di questo nome, rimane il fatto che il farsi da parte per difendersi in sede processuale non sembra una prassi universalmente adottata.
A Venafro, piccolo comune del Molise, l’Italia dei valori governa insieme al centro-destra. Sponsor dell’anomala coalizione, che ricorda da vicino gli esperimenti in vitro di Formisano, è il consigliere regionale di Idv Nicandro Ottaviano, che proprio di Venafro è originario. Nel febbraio 2009 La Voce delle Voci ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica la situazione da Far West in cui versa la cittadina molisana. Dall’inchiesta del mensile napoletano è emerso soprattutto un ricorso diffuso all’abuso edilizio, dal quale non sarebbero esenti neanche i notabili del luogo e, fra questi, lo stesso Ottaviano. La villa in cui il consigliere regionale di Idv abita insieme alla moglie sarebbe infatti sconosciuta al catasto: su un terreno classificato come «seminativo», i coniugi Ottaviano avrebbero fatto edificare la propria abitazione in 18 mesi, dando avvio ai lavori in coincidenza con l’elezione di Ottaviano in consiglio regionale. Fondamentale, per la buona riuscita dell’operazione, sarebbe stata la complicità degli uffici competenti. A Venafro il responsabile dell’Ufficio urbanistica, cioè il funzionario che dovrebbe verificare gli abusi edilizi, è il suocero di Adriano Iannaccone, assessore comunale dell’Idv.
Ligure e animalista è anche il consigliere comunale di Genova Andrea Proto, che a febbraio 2008 è stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione per aver inserito, tra le firme a sostegno della propria lista, anche quella di un uomo in realtà deceduto da nove mesi. La condanna è arrivata dopo che Proto ha confessato, patteggiando la pena.
Sempre in Liguria, ma stavolta nell’estremo levante, a La Spezia, il partito di Di Pietro è stato scosso all’inizio del 2009 da uno scandalo che ha travolto il presidente del consiglio comunale Loriano Isolabella. Ex Dc, già assessore regionale al bilancio, poi esponente Ppi, Forza Italia, Ccd, Udeur e infine Idv, con il nuovo anno Isolabella andava in pensione e subito firmava un contratto da dirigente con lo studio di un amico commercialista, anch’egli consigliere comunale dell’Idv in quel di Sarzana. La retribuzione concordata era pari a 9.650 euro mensili. Fino a qui, niente di strano. Il problema, da un punto di vista politico e istituzionale, nasceva dal fatto che Isolabella, impegnato in comune, in studio non andava praticamente mai, motivo per cui l’amministrazione era tenuta, a norma di legge, a rimborsare al suo datore di lavoro le assenze che il nostro collezionava in ragione dei suoi impegni istituzionali. Il comune, in sostanza, si era trovato a dover pagare per Isolabella qualcosa come 184.000 euro entro il 2009 [...]
Casi come quelli di Garifo, Proto e Isolabella sono dei bruscolini, se paragonati all’errore madornale che Di Pietro stava per commettere in Liguria nel 2001. Alle elezioni politiche tenutesi quell’anno l’ex magistrato aveva tutta l’intenzione di inserire come capolista a Genova Filippo De Jorio, avvocato di estrema destra vicinissimo a Giulio Andreotti il cui nome era stato rinvenuto anni prima negli elenchi degli appartenenti alla P2 (tessera numero 1965, fascicolo 511). De Jorio, che alle europee del 1999 si era candidato con il Movimento Sociale di Pino Rauti, era stato anche accusato di aver avuto un ruolo di primo piano nel Golpe Borghese del 7 dicembre 1970. A nulla erano valsi gli allarmi lanciati in privato a Di Pietro dal segretario genovese dell’Idv Christian Abbondanza: dal processo sul fallito putsch militare – celebratosi dopo le indagini condotte dal pm Claudio Vitalone, anche lui uomo di Andreotti – De Jorio era uscito con un’assoluzione, e tanto bastava all’ex magistrato per candidarlo. A quanti, nel partito genovese, gli avevano manifestato la propria opposizione ad una simile decisione, Tonino aveva risposto con il suo consueto aplomb: «Se non vi va bene, ve ne potete pure andare!». Alla fine, complice anche un’intervista rilasciata da Paolo Flores d’Arcais al Secolo XIX, nella quale l’inserimento in lista di De Jorio veniva bollato come un «suicidio politico», Di Pietro avrebbe desistito, congelando la candidatura e negando di essere mai stato al corrente dei trascorsi dell’avvocato. La disavventura non impediva comunque all’ex simbolo di Mani Pulite, che oggi non perde occasione per tuonare contro la deriva piduista in atto, di candidare cinque anni più tardi alla Camera dei deputati Pino Aleffi, anche lui presente nelle liste di Castiglion Fibocchi.
Questa è, per ragioni editoriali facilmente intuibili, solo una stringatissima, arbitraria sintesi del "marcio in Danimarca". Chi ritenesse di avere stomaco forte abbastanza per sorbirsi l'inchiesta completa, la trova a questo link, che ripetiamo: [C'è del marcio...]
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