E così domenica e lunedì prossimi si andrà alle urne: che meraviglia!
Un popolo intero, vibrante d’italico orgoglio e armato di lapis, parteciperà attivamente alla vita politica del proprio paese: e deciderà: “tu sì, tu no…” Sono anni ormai che questi cittadini mi ripetono la solita solfa: “Se non voti, altri decideranno per te.”
Ma perché? Se voto, sarò forse io a decidere? Non mi stancherò mai di ripeterlo, alla maggior parte della gente manca la coscienza. Da una massa completamente priva di un’identità politica, non salterà fuori mai nulla di buono. Chi crede di risolvere le cose in cabina, si sbaglia di grosso. La politica, quella con la P maiuscola, si fa dal basso, tutti i giorni, con un impegno costante e la luce della lotta negli occhi. Ecco perché la solita nauseante atmosfera che respiro in questi giorni non mi dice assolutamente nulla.
Prendiamo i manifesti di propaganda elettorale che tappezzano le città. Tutti vi siamo democraticamente rappresentati, i manifesti elettorali ci presentano candidati che sono persone come noi, vicine a noi: l’onesto padre di famiglia con gli occhialini, il volto paffuto e amabile, moglie, tre figli e il cagnolino Fuffy; la madre che deve stendere i panni dopo una giornata di lavoro in ufficio; l’universitario che studia e lavora per poter pagare la retta; l’artigiano oppresso dalle tasse, eppure ottimista e instancabile lavoratore; e a Genova – e qui sarei rappresentata io - la prima trans camallo (cioè scaricatore di porto) del mondo.
Siamo alle solite, no?
Dacché campo, questa storia l’avrò vista - sempre uguale a se stessa - non so quante volte. E mai nulla è cambiato davvero in meglio nella società, anzi. Lo so, possono sembrare discorsi da qualunquista: in realtà sono le considerazioni di uno spirito libertario.
Mi viene ora in mente un passaggio da “Le parrocchie di Regalpetra”, un libro del 1956 di Leonardo Sciascia; non ricordo naturalmente a memoria questo brano, ma l’autore narrava di un politico che si recò in una Sicilia tormentata dalla siccità a tenere dei comizi preelettorali, comizi nei quali con grande enfasi prometteva l’acqua in tutti i paesi che girava.
Era ovviamente uno stratagemma nemmeno tanto originale per accaparrarsi i voti della gente; difatti, a elezioni avvenute, la situazione rimase tragicamente quella di prima, e “dell’acqua che l’onorevole fece sgorgare a fiumi nei suoi comizi” (questa frase me la ricordo) neppure una goccia…
Ciononostante il triste gioco si perpetua, col beneficio di pochi e il danno di molti. E allora ci vuole il coraggio di andare al seggio e palesare il proprio dissenso, la propria estraneità a codesto pietoso circo mediatico che periodicamente si ripropone in tutto il suo grigiore.
Come scrisse Vittorio Alfieri nella sua “Vita scritta da esso” (1790-1803), il nostro è un paese “schiavi-democrizzato” dove “tutto d’ogni intorno spirava miseria, indegnazione, ed orrore.” Non sembra l’Italia di oggi? Pensiamo ai mali che affliggono la nostra società: ma quale catastrofismo? Questa è la realtà, la realtà di un paese ridotto a una finta democrazia, una democrazia di schiavi.
Per finire, vi lascio con le righe che seguono, righe in cui si narra l’esperienza elettorale di un giovane:
“...so soltanto che fra un po’ ci saranno le elezioni e che, stando a quanto si sente dire in TV e per la strada, tutto dovrebbe cambiare in meglio. Una volta ci credevo anch’io alle fiabe, e questo era forse uno dei pochi torti del giovane uomo di cui ho parlato in precedenza; ma ora no, non ci credo più. Fino a poco tempo fa mi recavo a votare con la massima serietà, pensando di compiere un atto assai importante per me e per la società, e in cabina ricordo che mi sentivo responsabile del mio futuro e di quello degli altri, motivo per cui stavo bene attento a non sbagliare nel fare la crocetta sopra il simbolo del partito in cui avevo riposto la mia fiducia; ma la crocetta non veniva mai bene; si vedeva che era stata tracciata dalla mano tremante di una persona tesa, una persona che avvertiva tutta l’istituzionale solennità del momento e che si trovava in soggezione nei confronti dell’austerità dei locali in cui si svolgevano le operazioni di voto. Poi –come dicevo- ho preso coscienza della mia verità: "Un inutile sperpero di miliardi per esercitare la gente alla disciplina del voto, poiché ciò che più preme ai furbi che comandano è il coinvolgimento della massa votante nella simulazione di decisione collettiva…”
Barbara X
Un popolo intero, vibrante d’italico orgoglio e armato di lapis, parteciperà attivamente alla vita politica del proprio paese: e deciderà: “tu sì, tu no…” Sono anni ormai che questi cittadini mi ripetono la solita solfa: “Se non voti, altri decideranno per te.”
Ma perché? Se voto, sarò forse io a decidere? Non mi stancherò mai di ripeterlo, alla maggior parte della gente manca la coscienza. Da una massa completamente priva di un’identità politica, non salterà fuori mai nulla di buono. Chi crede di risolvere le cose in cabina, si sbaglia di grosso. La politica, quella con la P maiuscola, si fa dal basso, tutti i giorni, con un impegno costante e la luce della lotta negli occhi. Ecco perché la solita nauseante atmosfera che respiro in questi giorni non mi dice assolutamente nulla.
Prendiamo i manifesti di propaganda elettorale che tappezzano le città. Tutti vi siamo democraticamente rappresentati, i manifesti elettorali ci presentano candidati che sono persone come noi, vicine a noi: l’onesto padre di famiglia con gli occhialini, il volto paffuto e amabile, moglie, tre figli e il cagnolino Fuffy; la madre che deve stendere i panni dopo una giornata di lavoro in ufficio; l’universitario che studia e lavora per poter pagare la retta; l’artigiano oppresso dalle tasse, eppure ottimista e instancabile lavoratore; e a Genova – e qui sarei rappresentata io - la prima trans camallo (cioè scaricatore di porto) del mondo.
Siamo alle solite, no?
Dacché campo, questa storia l’avrò vista - sempre uguale a se stessa - non so quante volte. E mai nulla è cambiato davvero in meglio nella società, anzi. Lo so, possono sembrare discorsi da qualunquista: in realtà sono le considerazioni di uno spirito libertario.
Mi viene ora in mente un passaggio da “Le parrocchie di Regalpetra”, un libro del 1956 di Leonardo Sciascia; non ricordo naturalmente a memoria questo brano, ma l’autore narrava di un politico che si recò in una Sicilia tormentata dalla siccità a tenere dei comizi preelettorali, comizi nei quali con grande enfasi prometteva l’acqua in tutti i paesi che girava.
Era ovviamente uno stratagemma nemmeno tanto originale per accaparrarsi i voti della gente; difatti, a elezioni avvenute, la situazione rimase tragicamente quella di prima, e “dell’acqua che l’onorevole fece sgorgare a fiumi nei suoi comizi” (questa frase me la ricordo) neppure una goccia…
Ciononostante il triste gioco si perpetua, col beneficio di pochi e il danno di molti. E allora ci vuole il coraggio di andare al seggio e palesare il proprio dissenso, la propria estraneità a codesto pietoso circo mediatico che periodicamente si ripropone in tutto il suo grigiore.
Come scrisse Vittorio Alfieri nella sua “Vita scritta da esso” (1790-1803), il nostro è un paese “schiavi-democrizzato” dove “tutto d’ogni intorno spirava miseria, indegnazione, ed orrore.” Non sembra l’Italia di oggi? Pensiamo ai mali che affliggono la nostra società: ma quale catastrofismo? Questa è la realtà, la realtà di un paese ridotto a una finta democrazia, una democrazia di schiavi.
Per finire, vi lascio con le righe che seguono, righe in cui si narra l’esperienza elettorale di un giovane:
“...so soltanto che fra un po’ ci saranno le elezioni e che, stando a quanto si sente dire in TV e per la strada, tutto dovrebbe cambiare in meglio. Una volta ci credevo anch’io alle fiabe, e questo era forse uno dei pochi torti del giovane uomo di cui ho parlato in precedenza; ma ora no, non ci credo più. Fino a poco tempo fa mi recavo a votare con la massima serietà, pensando di compiere un atto assai importante per me e per la società, e in cabina ricordo che mi sentivo responsabile del mio futuro e di quello degli altri, motivo per cui stavo bene attento a non sbagliare nel fare la crocetta sopra il simbolo del partito in cui avevo riposto la mia fiducia; ma la crocetta non veniva mai bene; si vedeva che era stata tracciata dalla mano tremante di una persona tesa, una persona che avvertiva tutta l’istituzionale solennità del momento e che si trovava in soggezione nei confronti dell’austerità dei locali in cui si svolgevano le operazioni di voto. Poi –come dicevo- ho preso coscienza della mia verità: "Un inutile sperpero di miliardi per esercitare la gente alla disciplina del voto, poiché ciò che più preme ai furbi che comandano è il coinvolgimento della massa votante nella simulazione di decisione collettiva…”
Barbara X
SOCIAL
Follow @Tafanus