(di Denise Pardo - l'Espresso)
E dire che al curatissimo circolo "Antico Tiro a Volo", iscritte solo suocera e moglie perché lui, come sempre, aveva scelto l'ombra e il non essere mai niente (tanto che per molti soci, colti o confusi, era il dottor Macbeth), veniva considerato una persona squisita. Il simpaticone che, intercettato, minaccia sventramenti intestinali di gruppo o il tiro (si presume infallibile, vista la frequentazione al circolo) dall'ultimo piano di una ragazza in sedia a rotelle, sembrava proprio un tipo pacioso. Unico segno particolare, gli orologi da grande asta di Ginevra e lo sbandierare il loro valore. Settantamila euro, a volte. Altre, 120 mila. "Sono un collezionista", spiegava Gennaro Mokbel. A quanto poi si è saputo, anche di lavanderie, non cinesi ma finanziarie, di crimini e di misfatti, di amenità di questo tipo, in generale.
Un nome arcaico da santo venerato. Un cognome globale. Il tremendissimo presunto gran capo della Spectre artefice del maxi riciclaggio di 2,2 miliardi di euro che ha investito Telecom e Fastweb, un'inchiesta monstre che ha portato in prigione 56 cristiani (tra cui lui e metà della sua famiglia, la moglie Georgia Ricci, la suocera e pure uno zio acquisito), fatto scoppiare il bubbone dei parlamentari eletti all'estero e del ruolo della nota associazione calabrese 'ndrangheta, è anche l'emblema della metamorfosi del banditismo all'italiana. Il salto formidabile dalla generazione dei Totò Riina e dei Bernardo Provenzano, mammasantissima di estrazione contadina dai volti di un'Italia rurale e ignorante, a una criminalità moderna, internazionale, speculare all'andazzo del Paese. Con mogli sanguinarie e affariste che al telefono chiariscono di conoscere le cose e che non ci pensano proprio a starsene a casa addolorate e vestite di nero.
Padre egiziano, madre napoletana, Mokbel, 50 anni, è un criminale poliedrico al centro di un sistema di riciclaggio di fondi neri, di commercio illecito di diamanti dell'Uganda parcheggiati a Hong Kong, di società tropicali, di gioiellerie parioline, di trasferimenti illegali di decine e decine di milioni di euro. Un portatore insano di dialoghi intercettati a metà tra la "Grande Guerra" con Alberto Sordi ("Ahò, boni, belli state boni") e "Romanzo criminale" di Michele Placido, farcito di "infami fracichi", di "dindi" (i soldi), di "serci" (i diamanti), di "traditori di merda", di "froci" quelli che se la sono data a gambe (per forza!) piuttosto che "farsi rooompe' il c... dai ciccioni che stavano attorno" o dell'interessante espressione "verme sarcofago di merda" che mostra una vaga dimestichezza con la cultura. Uomo di mano e di pistola, fiero di dichiarare di aver accoppato una decina di disgraziati, è il protagonista glocal di una storia complicatissima con finanzieri corrotti, poliziotti infiltrati, spioni, spalloni cinesi (chiamati Cinese uno e Cinese due), ed essendo la centrale del tutto a Roma, la fu Hollywood sul Tevere, anche fumettari e cinematografari (ha prodotto "A pugni chiusi, a cuore aperto" film di Stefano Calvagna, regista gambizzato due anni fa) per non parlare di picchiatori neri e sprangatori ancora di più, in una sorta di guida Michelin della delinquenza.
Un frullato di misteri e schifezze d'Italia. Nulla viene risparmiato. Non il legame evergreen con il sequestro Moro e ci mancherebbe: sua sorella Lucia abitava in via Gradoli nell'appartamento adiacente alla prigione del leader dc e denunciò, inascoltata, il rumore di segnali Morse. Né la citazione della banda della Magliana: è a casa di Gennaro che gli "asparagi" (i poliziotti) scoprono Antonio D'Inzillo, ex esponente dei Nar, accusato dell'omicidio di Renatino De Pedis, boss della nota band. Il curriculum del nostro è davvero inappuntabile. E come tutti i grandi delinquenti, ha un che di grandioso. Mokbel, gran coatto di piazza Bologna, compra la seconda casa, o meglio la seconda centrale operativa, a due passi da Antibes, sulle orme di Picasso. Non si circonda di otto filippini come un parvenu qualunque, ma intesta a un prestanome il ristorante Filadelfia: "L'ho preso per avere un posto dove cenare la sera", spiegherà con involontario snobismo. A scuola, quando gli affari gli vanno bene, offriva sempre la colazione a tutti.
Il talento di Mokbel si manifesta presto. Al liceo artistico di Roma si fa subito una reputazione. Se in classe dorme, è colpa delle esercitazioni e degli studi notturni, lo scippo a una vecchietta, il furto di una radio. Ha una pistola e se ne vanta. In effetti, fa comodo averla sotto al banco: così non ci pensa due volte a puntarla alla tempia di una compagna restia a cedergli la pizza ben unta e molto rossa. Bisogna ammettere che rispetto a quei tempi ha fatto una gran carriera. Ma già poco più che maggiorenne, gli è chiaro come la politica non siano ideali ma potere. Ci metterà quasi trent'anni a controllarla dall'interno (passando attraverso tutti i partiti, Pci, Dc, Msi, l'estrema destra di Mambro e Fioravanti, la Lega con Alleanza Federalista). E solo dopo essere riuscito a portare in Parlamento Nicola Di Girolamo, detto Nic, avvocato e va bene, ma soprattutto personalità di spicco dell'ingegnoso e contemporaneo mestiere di "organizzatore di società di comodo". Farlo eleggere nel collegio estero Europa con una falsa residenza a Bruxelles, è un giochetto da ragazzi.
Grazie all'aiuto di amici come Stefano Andrini, ex picchiatore, condannato per tentato omicidio e fuggito in Svezia, manager dell'Ama che ora, bontà sua, si è dimesso per "sensibilità" come ha detto il suo sponsor, il sindaco Gianni Alemanno e, ahinoi, non ironicamente. O come Paolo Colosimo, avvocato difensore di alcuni esponenti della famiglia Arena, quella della 'ndrangheta (non dei polli) che in Germania in quanto a controllo dei voti è piazzata alla grande. "Da questo momento la tua vita è questa, Nic", spiega Mokbel al neoeletto in un'intercettazione dal suo ufficio ai Parioli, "Senato, viale Parioli, Senato, casa. Poi, da viale Parioli se decide co chi devi sta' a pranzo, co chi devi sta' a cena, chi devi incontra', chi dobbiamo vede', i viaggi che se demo fa'". Questo, quando il capo è di buon umore. Ma se Nic fa un passo falso, so' dolori e Mokbel attorniato dai suoi, bravi ragazzi dai nomignoli affettuosi, Puzzola, Tatanga, Tacchino, Somaro, Bonzo, er Mascella, er Polpetta, er Totano, er Bue, gli ricorda: "Sei il mio schiavo". E il senatore a ruota: "Ti chiedo perdono".
In realtà, aveva provato a portare a casa l'appoggio per la candidatura di Marcello Dell'Utri. Forza Italia era stato un vecchio obiettivo che, tra il '96 e il '98, aveva tentato di centrare telecomandando una rivolta (fallita) contro il coordinatore del Lazio Antonio Tajani attraverso i tesserati del Club Città di Roma ai Parioli. Dell'Utri nega le avance. Ammette di aver avuto contatti con lui ma solo per la comune passione per il mondo dell'arte, assurta ora alle cronache dopo la scoperta in un magazzino di un mini museo di arte contemporanea messo su da Mokbel. In tutto 4 mila opere, da de Chirico a Capogrossi a Schifano, più busti di Mussolini e oggettistica varia e cara a Hitler, tra cui un allegro quadro 'L'isola dei morti' di Arnold Böcklin, molto amato dal Führer. Chi è Mokbel?, si domandano molti. È un uomo di paglia, la testa di legno di interessi convergenti e deviati? Certo, la sua storia è soprattutto il prodotto di una Roma oscura, crocevia di intrecci politici economici e catacombali, tracimati dalla pancia del Grande raccordo anulare. Così allargati e complicati da far commentare allo stesso Mokbel: "Tre anni de prigione sarebbero solo un po' de riposo pe' me".
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