-a) la dabbenaggine e la disonestà del centro-destra;
-b) il primo, irricevibile decreto tentato dal centro-destra;
-c) il secondo, ipocrita "decreto interpretativo";
-d) la "pisciata fuori dal vaso" di Di Pietro;
-e) la Costituzione, questa sconosciuta;
-f) la sinistra e la comunicazione
-b) il primo, irricevibile decreto tentato dal centro-destra;
-c) il secondo, ipocrita "decreto interpretativo";
-d) la "pisciata fuori dal vaso" di Di Pietro;
-e) la Costituzione, questa sconosciuta;
-f) la sinistra e la comunicazione
La dabbenaggine e la disonestà del centro-destra
Su questo argomento, ormai si sa quasi tutto. Le risse interne al PdL sulla composizione di liste e listini hanno fatto sì che fino all'ultimo momento il partito di plastica, pieno di colonnelli, ma con uno scarso numero di persone disponibili e capaci di occuparsi dell'intendenza, ha tentato di cambiare, sbianchettare, togliere, aggiungere candidati. Il pasticcio era inevitabile. Anche nella efficiente Lombardia di Formigoni, ma con toni e particolari da cabaret nel Lazio della destra all'amatriciana. Si è visto di tutto: un "incaricato", che di nome fa Milioni (che fa rima con...) che in prima battuta afferma di aver abbandonato la fila preso da un'improvvisa voglia di panino con la mortazza, guarda caso alle 11,30. Le versioni, dopo questa prima, ridicola, che ha fatto di Milioni un mito del web, si sprecano. La Destra denuncia i radicali per violenza, per aver impedito al Milioni (che aveva già detto di non essere sul posto alle 12,00) di consegnare le liste. La Bonino controquerela per calunnia. Della denuncia della destra non si sa più niente. Fini ammette che "siamo stati ridicoli". Schifani (omen, nomen) invoca una inesistente prevalenza giuridica della sostanza sulla forma. Come ex avvocato di mafiosi, ha dimenticato che nella legge forma e sostanza coincidono, e che nessuno ha la delega di stabilire dove eventualmente finisca la forma, e cominci la sostanza. Peccato che qualche giotno prima Schifani non abbia invocato lo stesso sacro principio per il caso Mills per il quale, senza che Schifani producesse un sospiro, si era appena consumata la vittoria della forma sulla sostanza.
Cicchitto fa il Cicchitto, ed assegna tutte le colpe a Prodi, Berlinguer e Amendola. La Russa fa il La Russa, e lascia intravvedere marcette su Roma, al ritmo di "branca, branca, branca... leon, leon, leon ". La sinistra fa la sinistra, e cioè procede in ordine sparso, cacando dubbi. Così, mentre alcuni predicano - non senza ragione - che non si cambiano le regole del gioco durante la partita, altri si affrettano ad aggiungere - anch'essi con qualche ragione - che non vogliono "vincere a tavolino". Gli sviluppi successivi sono noti.
Il primo, irricevibile decreto tentato dal centro-destra
La storia è nota: i fini giuristi di Berlusconi pensano ad una legge che modifichi la legge elettorale esistente, per adeguarla, retroattivamente, alle minchiate collezionate dal centro-destra. Sono talmente sicuri di se, che chiedono udienza a Napolitano (si immagina, per fargli ingoiare la legge), e convocano un CdM speciale alle 22,00 - subito dopo l'incontro con Napolitano - per varare il decreto-legge. L'opposizione di Napolitano manda questo progetto per aria, e il CdM viene annullato.
Per inciso, nessuno degli insultatori abituali di Napolitano, di fronte a questa decisa presa di posizione, e ignorando cosa sarebbe successo in seguito, ha l'onestà si lasciarsi scappare un seppur timido "bravo, Presidente".
Il secondo, ipocrita "decreto interpretativo"
Ma Berlusconi alla legalità proprio non è in grado di arrendersi. Quindi viene fuori la "magliarata" del "decreto interpretativo", che è una "prima" mondiale. Un tentativo, per il momento riuscito nei suoi effetti immediati, di cambiare la legge retroattivamente, per sanare gli errori di una parte politica, facendo finta che non si tratti di una legge, ma di una sorta di allegato esplicativo, di regolamento di attuazione. Questa volta, ahimé, Napolitano cede e firma. Non tanto, come molti credono, per debolezza, ma peggio: perchè sinceramente (ed erroneamente) convinto che il maggior partito italiano non possa essere lasciato a cuocere nel brodo dei propri errori.
Non è così. Non ci sono, in diritto, figli e figliastri. Nessuno avrebbe sconvolto la legge elettorale per, poniamo, un errore del "Partito dei Pensionasti", o del "Partito Umanista", o della lista "Tafanus per Penati". Le spiegazioni fornite da Napolitano sono delle toppe peggiori del buco:
"...Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici. Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall’ufficio competente costituito presso la corte d'appello di Milano. Erano in gioco due interessi o «beni» entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi. Non si può negare che si tratti di «beni» egualmente preziosi nel nostro Stato di diritto e democratico. Si era nei giorni scorsi espressa preoccupazione anche da parte dei maggiori esponenti dell'opposizione, che avevano dichiarato di non voler vincere —neppure in Lombardia —«per abbandono dell'avversario» o «a tavolino»...."
No, Presidente, non ci siamo. Se il principio è che i partiti grandi nelle regioni grandi non possano essere esclusi dal voto neanche a fronte di marchiane inosservanza della legge, ne prendiamo atto. Ma allora scriviamolo, nero su bianco: "La legge elettorale si applica a tutti i partiti, tranne che al PdL e al PD nelle regioni con più di tre milioni di abitanti". Ne guadagnerebbero la chiarezza, la certezza del diritto, ed in ultima istanza la democrazia.
La "pisciata fuori dal vaso" di Di Pietro
"art. 90. Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri". Punto, e fine dell'art. 90
Ora qualcuno spieghi a Di Pietro (e ai fedeli seguaci), che:
-a) l'ipotesi di uno dei due reati non esiste;
-b) anche se esistesse, un parlamento nel quale i "beneficiati" da Napolitano hanno 50 senatori e 100 deputati di maggioranza, in un contesto in cui è richiesta "la maggioranza dei membri" (cioè degli "aventi diritto", e non dei "presenti"), mai e poi mai metterebbe in stato d'accusa il suo benefattore.
-b) anche se esistesse, un parlamento nel quale i "beneficiati" da Napolitano hanno 50 senatori e 100 deputati di maggioranza, in un contesto in cui è richiesta "la maggioranza dei membri" (cioè degli "aventi diritto", e non dei "presenti"), mai e poi mai metterebbe in stato d'accusa il suo benefattore.
Quindi Di Pietro ha fatto solo una pisciata fuori dal vaso, di cui non rimarrà nulla, se non lo sgradevole puzzo dell'ennesima botta di demagogia e/o d ignoranza al potere.
La Costituzione, questa sconosciuta
In questi giorni molti si sono esercitati nel gioco della curva sud contro la curva nord, ma pochi si sono ricordati di agire, parlare, giudicare con la Bibbia della Costituzione in mano, Per esempio, ho sentito da più parti che le leggi elettorali regionali sono di competenza delle regioni, quindi male avrebbero fatto il governo e il Quirinale a intervenire. Non è vero. Il sistema elettorale delle regioni è per il momento (salvo alcune eccezioni che concernono solo le regioni autonome) regolate dall'art. 122 della Costituzione:
art. 122. Il sistema d'elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali sono stabiliti con legge della Repubblica [...]
Altri politologi e costituzionalisti della domenica si sono affrettati ad accusare Napolitano per la fretta con la quale ha firmato, perchè avrebbe avuto il tempo, secondo costituzione, di aspettare trenta giorni. Errore. Trenta giorni sono il termine normale, ma...
art. 73. "Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione. Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano l'urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito. Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso".
Chiaro? il proponente può chiedere ed ottenere che la legge sia promulgata anche entro un giorno, e che venga abbreviato ad libitum il termine per l'entrata in vigore della legge.
Infine, ho sentito dire che una seconda richiesta di approvazione della legge immutata porterebbe alle dimissioni del Presidente della Repubblica. Non è scritto da nessuna parte, e non è mai successo:
art. 74. "Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata. "
DEVE.
La sinistra e la comunicazione
Come è noto, sono stato sempre molto critico sulle capacità comunicative del centro-sinistra. Non sono stato smentito neanche in questo caso. Ci siamo divisi fra chi piscia fuori dal vaso e chi è più "sensibie" invece all'esigenza (?) di trovare un éscamotage per riammettere in partita gli espulsi, passando per un continuum di sfumature incredibile.
L'Angelo Custode che protegge gli imbecilli anche questa volta ci ha dato una mano. Se non avesse rimediato Lui alla disonestà del governo, ed alla incomprensibile accondiscendenza di Napolitano, oggi ci troveremmo in questa bellissima situazione: se in Lombardia e/o in Lazio avessimo finito col vincere a tavolino, sei televisioni ce lo avrebbero rinfacciato per una intera legislatura, dimenticando di ricordare PERCHE' avevamo vinto a tavolino. Se invece avessimo finito col perdere ugualmente, grazie al dirottamento dei voti del centro-destra su una lista ammessa collegata, sarebbe stato ancora peggio, perchè ci avrebbero presi per il culo per una vita, affermando (a ragione) che non siamo capaci di vincere neanche incatenando l'avversario in cantina.
La sinistra sarebbe capace, per una volta, di capovolgere a proprio vantaggio questo "risk-game"?
Mi spiego: è probabile che in Lazio la Bonino possa farcela contro la Polverini anche senza "cartellini rossi" (peraltro pienamente legittimi) agli avversari. Allora in Lazio ritiriamo qualsiasi ricorso eventuale, diciamo al centro-destra che andiamo a batterci in campo aperto nonostante i loro imbrogli imbarazzanti. Se dovessimo perdere, avremo l'attenuante della riammissione in gioco degli "espulsi"; se dovessimo vincere, la nostra vittoria, in termini d'immagine, varrebbe il doppio.
In Lombardia, dove perderemmo comunque, ritiriamo TUTTE le nostre liste dalla competizione. Lasciamo Berlusconi, Formigoni, Maroni e 'stì cojoni a combattere allo specchio, senza avversari. Roviniamo loro la festa. Rendiamo la loro vittoria non spendibile in termini propagandistici. Forse è un'idea cretina, ma quella ufficiale dei partiti del centro-sinistra, di un ostruzionismo senza sbocchi possibili, mi sembra ancora più cretina, perchè in grado di produrre effetti - solo negativi - in termini d'immagine. Daremmo di noi l'immagine di uno schieramento che si era talmente affezionato all'idea di vincere a tavolino, da non riuscire a tornare alla lotta in campo aperto.
Detto questo, dico che le proteste e le manifestazioni devono continuare, ma non devono essere caratterizzate come tendenti a ristabilire il vantaggio della cacciata degli avversari (peraltro sarebbe a questo punto un obiettivo velleitario), quanto come strumenti di denuncia della dabbenaggine e della mancanza di senso della legalità dello schieramento di centro-destra. Non trasformiamo per l'ennesima volta una nostra opportunità di propaganda in un ultimo boomerang.
Infine, per quanto qui non detto - per non appesantire oltre il ragionevole questo post . rinvio i lettori all'articolo di fondo di oggi di Eugenio Scalfari, che condivido al 99%:
Tafanus
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