Ricevo
dagli amici di [DemocraziaLagalità]
questo
interessante articolo del Direttore, Elio Veltri, che pubblico
volentieri.
La Corte Europea di giustizia di Lussemburgo ha condannato l’Italia a pagare mezzo miliardo di euro per i danni alla salute e all’ambiente prodotti da 14 anni di una emergenza rifiuti diventata permanente a Napoli e provincia. Finchè si accumulavano nei paesi passavano inosservati ma quando hanno ostruito gli ingressi dei “ bassi “ di Napoli la televisione è stata impietosa e i rifiuti della fu capitale dei Borboni hanno fatto il giro del mondo. Terreni prima coltivati o a pascolo, sono diventati in pochi anni luoghi fetidi, puzzolenti, impraticabili sui quali morivano con terribili agonie gli animali che brucavano l’erba e che da sempre avevano fornito il latte per la mozzarella più famosa del mondo.
Animali nutriti di erba avvelenata da rifiuti tossici che ricoprivano discariche improvvisate o infettati dalla brucellosi, che si faceva finta di abbattere per prendere i contributi della CEE, ma continuavano a essere munti e a fornire latte malato. La sceneggiata macabra era possibile perché controllori dell’ASL, veterinari, laboratori di analisi erano compiacenti, e non solo non controllavano, ma avvisavano gli uomini dei clan di tenersi pronti per i finti controlli. L’emergenza si è accompagnata a montagne di carte nella pubblica amministrazione di soldi nelle tasche della camorra; a migliaia di assunzioni, a lauti stipendi, a centinaia di consulenze ben pagate e inutili; a decine di commissioni, convegni, viaggi di studio. L’emergenza era iniziata l’11 febbraio del 1994 con un decreto del Presidente del Consiglio che attribuiva poteri straordinari al prefetto di Napoli ed è proseguita con decine di decreti che l’hanno prorogata più volte.
Ha impegnato sei capi di governo e nove governi. Una pletora di commissari straordinari, vice commissari, sub commissari, responsabili di area, tra i quali i presidenti della Regione, fra cui il più longevo, dal 2000 al 2004, Antonio Bassolino. E’ costata due miliardi di euro. Con ogni proroga venivano estesi i poteri dei commissari, dei vice commissari e dei prefetti e in maniera proporzionale all’aumento dei poteri aumentavano i rifiuti e gli incassi della camorra. L’emergenza avrebbe dovuto realizzare il “ciclo integrato dei rifiuti”, invece ha realizzato "il non ciclo”. Raccolta differenziata, diminuzione della quantità dei rifiuti, formazione del CDR (combustibile da rifiuti), recupero di energia elettrica, tutti impegni assunti nel rispetto delle norme europee e delle leggi dello Stato e parte integrante di quella che veniva chiamata“gestione integrata dei rifiuti” non si sono mai visti.
Sono rimaste inutilizzate milioni di tonnellate di rifiuti, le famose ecoballe, molto “balle” e poco “eco” dalle quali è impossibile ricavare energia elettrica nei termovalorizzatori, e che hanno occupato tutti gli spazi possibili.
D’altronde, all’interesse primario di far sparire i rifiuti dalle - strade possibilmente sotto l’occhio delle telecamere - non è mai seguito quello della destinazione corretta e prevista dalle leggi. Nel commissariato l’unico che si preoccupava dell’inquinamento era Giovanni Ladonea Parascandola appuntato dei carabinieri del NOE, il gruppo specializzato in reati ambientali. L’appuntato Giovanni cerca di fare il suo dovere: lavora anche durante le ferie, controlla il percolato, fa sopralluoghi. Quando viene a saperlo la sub-commissaria De Gennaro, braccio destro di Bertolaso, dice che bisogna cacciarlo, perché Guido i carabinieri del NOE non li vuole. E perché non li vuole? Perchè “non sono a bordo” ,dice un altro carabiniere, il maresciallo De Frenza, il quale non sopporta di “avere gli sbirri in casa, che sono nemici”.
Carabiniere contro carabinieri!. La parola d’ordine nei palazzi del commissariato è sempre la stessa: salvare le apparenze per salvare i posti e gli stipendi. Per il prezzo dei rifiuti non ci sono problemi, basta toglierli dalle strade. La Svizzera vuole rimandarli indietro perché il recupero non si può fare? Non c’è problema: la vice di Bertolaso trova subito la soluzione e anziché 200 euro se ne pagano 300 a tonnellata; la discarica di Terzigno non è il massimo? Non c’è problema: basta truccarla.
Il fallimento è stato totale e le responsabilità sono solo penali. Nessuno è stato mandato a casa dalla politica. Le relazioni delle commissioni parlamentari di inchiesta “sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse” che si sono succedute negli anni, spiegano con chiarezza come e perché la criminalità organizzata è diventata impresa e come ha surrogato lo Stato. Nemmeno l’uso delle risorse è stato preso sul serio. Anzi, la spesa, per i Commissari sembrava una variabile indipendente, al punto che 2400 lavoratori “socialmente utili”, prima precari e poi assunti a tempo indeterminato, non sapendo cosa fare perché nessuno glielo diceva, spendevano i soldi giocando a carte, “a zecchinetta”, nei bar che si trovano nei dintorni. Eppure i commissari, i sub commissari, i sub dei sub commissari non si trattavano poi tanto male. Le spese generali nelle quali erano inclusi gli stipendi sono passate dai 16.638 euro della gestione Rastrelli del 1998 al 1.140.000 euro della gestione Bassolino del 2003.
Negli anni 60 e 70 le cave erano un ingombro. Poi è cambiato tutto e la monnezza è diventata oro.
“Dottò, noi fino al 90, fine 89, non avevamo idea del guadagno, del giro di denaro che si faceva con i rifiuti. L’avvocato Chianese, Gaetano Vassallo, Luca Avolio e altri delle discariche avevano fatto miliardi. Quindi ci siamo accorti un poco troppo tardi, diciamo, e abbiamo cercato di recuperare quanto più possibile, nel minor tempo possibile. I soldi erano tanti che per ogni cento camion di rifiuti uno era di soldi”. Chi parla al magistrato è Dario De Simone, “contabile” del clan dei Casalesi per oltre un decennio, il quale racconta la sua esperienza vissuta in un posto chiave del “Sistema”, accanto ai capi storici del clan. E quando le cose si sono messe male i collaboratori dei Casalesi hanno venduto al commissariato le loro discariche incassando milioni di euro.
Il tutto in un’orgia di dichiarazioni spesso irresponsabili. Rosa Russo Jervolino, sindaco di Napoli dal 2001, il 12 maggio del 2003 dichiarava: ”ci stiamo avviando alla normalità”; otto mesi più tardi: ”abbiamo qualche problema, ma da noi le mafie non esistono”; due anni dopo: ”Napoli deve avere il termovalorizzatore”; nell’agosto del 2007: ”Napoli non avrà un suo termovalorizzatore”; il 21 maggio 2007: ”la situazione è tragica”; il 30 maggio: ”l’emergenza a Napoli è chiusa”; il 10 Luglio, in polemica con l’ambasciatore americano: ”Dichiarazioni inopportune. La città è pulita e i cumuli di rifiuti non ci sono più”.
Bassolino è stato meno loquace, ma non certo meno responsabile. Nel 2005 dichiarava: ”Quando sono arrivato alla Regione il piano rifiuti c’era già. A decidere non sono stato io. Tutte le scelte più importanti erano state fatte”. Peccato che se le avesse davvero ritenute sbagliate avrebbe potuto modificarle. Ha avuto tutto il tempo e i poteri per farlo. Dopo mille rinvii, il 14 maggio del 2008, è iniziato il processo ad Antonio Bassolino e ai dirigenti dell’Impregilo per concorso e truffa aggravata ai danni dello Stato e per alcuni reati ambientali.
I testimoni sono circa mille, il processo durerà qualche anno in primo grado e si concluderà con la prescrizione dei reati. Le sanzioni politiche, uniche efficaci e doverose, non ci sono state e non ci saranno. Barbie Nadeau l’8 Novembre del 2004 su “ Newsweek” ha scritto: ”Notizie provenienti da fonti ufficiali indicano che perfino i nuovi inceneritori e le nuove discariche potrebbero avere bisogno di 8 anni per bruciare tutta la spazzatura raccolta nella regione, senza tener conto di quella che si accumula giornalmente. Per coloro che vivono all’ombra del Vesuvio la vera ed unica speranza è che il vulcano colpisca per primo”.
(di Elio Veltri)
La Corte Europea di giustizia di Lussemburgo ha condannato l’Italia a pagare mezzo miliardo di euro per i danni alla salute e all’ambiente prodotti da 14 anni di una emergenza rifiuti diventata permanente a Napoli e provincia. Finchè si accumulavano nei paesi passavano inosservati ma quando hanno ostruito gli ingressi dei “ bassi “ di Napoli la televisione è stata impietosa e i rifiuti della fu capitale dei Borboni hanno fatto il giro del mondo. Terreni prima coltivati o a pascolo, sono diventati in pochi anni luoghi fetidi, puzzolenti, impraticabili sui quali morivano con terribili agonie gli animali che brucavano l’erba e che da sempre avevano fornito il latte per la mozzarella più famosa del mondo.
Animali nutriti di erba avvelenata da rifiuti tossici che ricoprivano discariche improvvisate o infettati dalla brucellosi, che si faceva finta di abbattere per prendere i contributi della CEE, ma continuavano a essere munti e a fornire latte malato. La sceneggiata macabra era possibile perché controllori dell’ASL, veterinari, laboratori di analisi erano compiacenti, e non solo non controllavano, ma avvisavano gli uomini dei clan di tenersi pronti per i finti controlli. L’emergenza si è accompagnata a montagne di carte nella pubblica amministrazione di soldi nelle tasche della camorra; a migliaia di assunzioni, a lauti stipendi, a centinaia di consulenze ben pagate e inutili; a decine di commissioni, convegni, viaggi di studio. L’emergenza era iniziata l’11 febbraio del 1994 con un decreto del Presidente del Consiglio che attribuiva poteri straordinari al prefetto di Napoli ed è proseguita con decine di decreti che l’hanno prorogata più volte.
Ha impegnato sei capi di governo e nove governi. Una pletora di commissari straordinari, vice commissari, sub commissari, responsabili di area, tra i quali i presidenti della Regione, fra cui il più longevo, dal 2000 al 2004, Antonio Bassolino. E’ costata due miliardi di euro. Con ogni proroga venivano estesi i poteri dei commissari, dei vice commissari e dei prefetti e in maniera proporzionale all’aumento dei poteri aumentavano i rifiuti e gli incassi della camorra. L’emergenza avrebbe dovuto realizzare il “ciclo integrato dei rifiuti”, invece ha realizzato "il non ciclo”. Raccolta differenziata, diminuzione della quantità dei rifiuti, formazione del CDR (combustibile da rifiuti), recupero di energia elettrica, tutti impegni assunti nel rispetto delle norme europee e delle leggi dello Stato e parte integrante di quella che veniva chiamata“gestione integrata dei rifiuti” non si sono mai visti.
Sono rimaste inutilizzate milioni di tonnellate di rifiuti, le famose ecoballe, molto “balle” e poco “eco” dalle quali è impossibile ricavare energia elettrica nei termovalorizzatori, e che hanno occupato tutti gli spazi possibili.
D’altronde, all’interesse primario di far sparire i rifiuti dalle - strade possibilmente sotto l’occhio delle telecamere - non è mai seguito quello della destinazione corretta e prevista dalle leggi. Nel commissariato l’unico che si preoccupava dell’inquinamento era Giovanni Ladonea Parascandola appuntato dei carabinieri del NOE, il gruppo specializzato in reati ambientali. L’appuntato Giovanni cerca di fare il suo dovere: lavora anche durante le ferie, controlla il percolato, fa sopralluoghi. Quando viene a saperlo la sub-commissaria De Gennaro, braccio destro di Bertolaso, dice che bisogna cacciarlo, perché Guido i carabinieri del NOE non li vuole. E perché non li vuole? Perchè “non sono a bordo” ,dice un altro carabiniere, il maresciallo De Frenza, il quale non sopporta di “avere gli sbirri in casa, che sono nemici”.
Carabiniere contro carabinieri!. La parola d’ordine nei palazzi del commissariato è sempre la stessa: salvare le apparenze per salvare i posti e gli stipendi. Per il prezzo dei rifiuti non ci sono problemi, basta toglierli dalle strade. La Svizzera vuole rimandarli indietro perché il recupero non si può fare? Non c’è problema: la vice di Bertolaso trova subito la soluzione e anziché 200 euro se ne pagano 300 a tonnellata; la discarica di Terzigno non è il massimo? Non c’è problema: basta truccarla.
Il fallimento è stato totale e le responsabilità sono solo penali. Nessuno è stato mandato a casa dalla politica. Le relazioni delle commissioni parlamentari di inchiesta “sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse” che si sono succedute negli anni, spiegano con chiarezza come e perché la criminalità organizzata è diventata impresa e come ha surrogato lo Stato. Nemmeno l’uso delle risorse è stato preso sul serio. Anzi, la spesa, per i Commissari sembrava una variabile indipendente, al punto che 2400 lavoratori “socialmente utili”, prima precari e poi assunti a tempo indeterminato, non sapendo cosa fare perché nessuno glielo diceva, spendevano i soldi giocando a carte, “a zecchinetta”, nei bar che si trovano nei dintorni. Eppure i commissari, i sub commissari, i sub dei sub commissari non si trattavano poi tanto male. Le spese generali nelle quali erano inclusi gli stipendi sono passate dai 16.638 euro della gestione Rastrelli del 1998 al 1.140.000 euro della gestione Bassolino del 2003.
Negli anni 60 e 70 le cave erano un ingombro. Poi è cambiato tutto e la monnezza è diventata oro.
“Dottò, noi fino al 90, fine 89, non avevamo idea del guadagno, del giro di denaro che si faceva con i rifiuti. L’avvocato Chianese, Gaetano Vassallo, Luca Avolio e altri delle discariche avevano fatto miliardi. Quindi ci siamo accorti un poco troppo tardi, diciamo, e abbiamo cercato di recuperare quanto più possibile, nel minor tempo possibile. I soldi erano tanti che per ogni cento camion di rifiuti uno era di soldi”. Chi parla al magistrato è Dario De Simone, “contabile” del clan dei Casalesi per oltre un decennio, il quale racconta la sua esperienza vissuta in un posto chiave del “Sistema”, accanto ai capi storici del clan. E quando le cose si sono messe male i collaboratori dei Casalesi hanno venduto al commissariato le loro discariche incassando milioni di euro.
Il tutto in un’orgia di dichiarazioni spesso irresponsabili. Rosa Russo Jervolino, sindaco di Napoli dal 2001, il 12 maggio del 2003 dichiarava: ”ci stiamo avviando alla normalità”; otto mesi più tardi: ”abbiamo qualche problema, ma da noi le mafie non esistono”; due anni dopo: ”Napoli deve avere il termovalorizzatore”; nell’agosto del 2007: ”Napoli non avrà un suo termovalorizzatore”; il 21 maggio 2007: ”la situazione è tragica”; il 30 maggio: ”l’emergenza a Napoli è chiusa”; il 10 Luglio, in polemica con l’ambasciatore americano: ”Dichiarazioni inopportune. La città è pulita e i cumuli di rifiuti non ci sono più”.
Bassolino è stato meno loquace, ma non certo meno responsabile. Nel 2005 dichiarava: ”Quando sono arrivato alla Regione il piano rifiuti c’era già. A decidere non sono stato io. Tutte le scelte più importanti erano state fatte”. Peccato che se le avesse davvero ritenute sbagliate avrebbe potuto modificarle. Ha avuto tutto il tempo e i poteri per farlo. Dopo mille rinvii, il 14 maggio del 2008, è iniziato il processo ad Antonio Bassolino e ai dirigenti dell’Impregilo per concorso e truffa aggravata ai danni dello Stato e per alcuni reati ambientali.
I testimoni sono circa mille, il processo durerà qualche anno in primo grado e si concluderà con la prescrizione dei reati. Le sanzioni politiche, uniche efficaci e doverose, non ci sono state e non ci saranno. Barbie Nadeau l’8 Novembre del 2004 su “ Newsweek” ha scritto: ”Notizie provenienti da fonti ufficiali indicano che perfino i nuovi inceneritori e le nuove discariche potrebbero avere bisogno di 8 anni per bruciare tutta la spazzatura raccolta nella regione, senza tener conto di quella che si accumula giornalmente. Per coloro che vivono all’ombra del Vesuvio la vera ed unica speranza è che il vulcano colpisca per primo”.
(di Elio Veltri)
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