Il caso Lombardo riporta l'attenzione sull'altra capitale
siciliana. Dove Cosa nostra, politici e imprenditori proseguono i loro
affari nel silenzio
(di Lirio Abbate e Gianfrancesco Turano - l'Espresso)
Milioni di metri cubi e un nuovo
partito politico. Catania costruisce. Catania inaugura. Chiacchiera,
anche. Qui non siamo a Palermo, dove mezza parola deve bastare. I
catanesi raccontano tutto. Tutto degli altri, ovviamente. Così, mentre a
Palermo le inchieste giudiziarie e gli arresti hanno messo in ginocchio
Cosa Nostra e i suoi favoreggiatori borghesi, a Catania la mafia si
rafforza sempre di più, perché intreccia imprenditoria e politica,
facendo avanzare in silenzio volti nuovi, inseriti anche ai vertici
delle associazioni di categoria.
Il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, catanese con casa a pochi passi dalla chiesa del Carmine, nella piazza dove si tiene il mercato della "fera 'o luni" (fiera del lunedì), ha replicato alle accuse di mafia mettendo all'indice il trasversalismo dei suoi nemici. Fra i bersagli del presidente siciliano ci sono soprattutto i concittadini Enzo Bianco, ex sindaco oggi senatore Pd, e Pino Firrarello, senatore Pdl dell'ala lealista, quella che lotta contro la destabilizzazione portata dal Mpa di Lombardo e che vede l'ipotesi di Lega del Sud come il fumo dell'Etna.
Questo scontro politico-giudiziario rallenta l'afflusso di denaro e il sereno andamento degli affari. Ma, secondo gli osservatori locali, lo sciame sismico turberà ancora per poco la pax catanensis. Lombardo è dato in uscita. A giugno è prevista la chiusura dell'indagine e una richiesta di rinvio a giudizio bloccherebbe l'espansione del governatore. Dopo le scosse, gli affari potranno riprendere sotto l'occhio di una magistratura finora poco incline agli assalti, e di un'informazione dominata da Mario Ciancio Sanfilippo, editore della Sicilia e di Telecolor, padrone della pubblicità locale, membro del comitato esecutivo dell'Ansa e immobiliarista dal tocco infallibile. Sui terreni che aveva comprato vicino all'aeroporto di Fontanarossa alla fine di marzo è stato aperto un nuovo mega centro commerciale con un mega guadagno per Ciancio. Alle ore 14 c'era l'inaugurazione, alle 10 il Comune ha inaugurato la strada.
Nella stessa zona periferica a sud della città, verso le spiagge dorate della Plaia. Ciancio dispone di altri 600 mila metri quadrati di ex agrumeti ridotti a sterpaglie e pronti a trasformarsi nella prossima strepitosa plusvalenza grazie al Pua. La sigla sta per Piano Urbanistico Attuativo del Comune, dove comanda il sindaco Raffaele Stancanelli, compagno di Lombardo dai salesiani e pidiellino lealista. Il piano prevede sul lungomare un palazzo dei congressi, campo da golf, cinema multisala, parco del mare, acquario e campi da tennis. Il tutto a breve distanza dalla mitica Etna Valley, il distretto industriale specializzato in elettronica sulla falsariga della Silicon Valley californiana e trainato negli anni Novanta dalla Sgs di Pasquale Pistorio.
La crisi, qui, ha colpito duro. La St Microelectronics, che è subentrata a Sgs, nel 2009 ha fatto due mesi di cassa integrazione. "Etna valley ha nuovi scenari con le energie alternative e i film fotovoltaici ultrasottili", dice il presidente di Confindustria locale, principe Domenico Bonaccorsi di Reburdone, eletto dopo uno scontro terrificante basato su chi era il più antimafioso del reame. La battaglia si è conclusa con la sconfitta del montezemoliano Fabio Scaccia, che nel frattempo ha fondato la Banca Base insieme all'industriale delle mozzarelle Zappalà e a Pietro Agen, potente presidente della Camera di Commercio.
Alla domanda su quante imprese siano state estromesse da Confindustria Catania secondo i dettami del presidente regionale Ivan Lo Bello, la risposta di Bonaccorsi è: una su 600. Né si può sapere quale sia. "Posso solo dire", dice Bonaccorsi, "che l'azienda operava negli appalti pubblici e che si è, correttamente, autosospesa".
Nonostante le speranze fotovoltaiche, lo sviluppo dell'industria appare stentato. Appena oltre la sede di St Microelectronics, Etna Valley è stabilmente occupata da cani randagi, non tutti amichevoli. Sono i discendenti dei bastardi che scorrazzavano fino alla centralissima via Etnea, ai tempi del crac delle finanze municipali e dell'Enel che tagliava la luce dei lampioni al sindaco-taumaturgo Umberto Scapagnini. Fra capannoni abbandonati e strade accidentate, l'altra zona viva del distretto industriale è quella occupata da due ditte di trasporti. Una è la Di Martino, del vicepresidente di Confindustria locale Angelo Di Martino. L'altra è la Sud Trasporti della famiglia Ercolano. Insieme possiedono diverse centinaia di tir, tanto che Angelo Ercolano è presidente regionale della Fai, la Federazione autotrasportatori. Non proprio uno qualunque, Angelo Ercolano. È l'ultimo rampollo della principale famiglia mafiosa della città. Lo zio Pippo è il reggente della cosca Santapaola (Nitto è suo cognato). Il cugino Aldo sta all'ergastolo per aver ucciso il giornalista Giuseppe Fava.
Per decenni la famiglia Ercolano ha investito i propri denari nella ditta di trasporti, l'Avimec, poi confiscata per mafia. E non c'è subappalto per movimento terra, da queste parti, che sia sfuggito alla premiata ditta. Il vecchio boss Pippo, buon amico di Ciancio, fu arrestato in un sottoscala negli uffici della sua azienda. E anche Nitto Santapaola da latitante si spostava nascosto dentro i camion dell'Avimec. Adesso il nipote Angelo, incensurato titolare della Sud Trasporti rappresenterà 1.500 padroncini catanesi e sarà il punto di riferimento della Fai nazionale, oltre che un appoggio importante per la Camera di Commercio di Agen, ligure di Imperia importato a Sud. A Catania dopo la nomina di Ercolano nessuno si stupisce. Perché qui la mafia ha un volto borghese. I boss trascurano da tempo la lupara e si sono trasformati in imprenditori nel campo dei rifiuti, dei trasporti, delle costruzioni e del commercio. All'ombra dell'Etna l'organizzazione criminale non vuole apparire violenta, secondo un metodo illustrato dai pizzini di Provenzano. Il boss corleonese consigliava di fare impresa ai capi a lui più vicini. È lo stesso suggerimento del boss Nitto Santapaola che ha sempre cercato la ricchezza nel silenzio delle armi.
Fra chi è riuscito a inserirsi nei subappalti per la realizzazione dei centri commerciali che circondano Catania c'è la Incoter della famiglia Basilotta. Uno dei fratelli, Vincenzo Basilotta, è stato arrestato nel 2005 in un'operazione che ha svelato i rapporti tra le cosche, il mondo delle imprese e quello della politica. Dal carcere Basilotta ha ceduto le sue quote dell'azienda a uno dei fratelli. Per i magistrati è un imprenditore organico a Cosa nostra, in particolare al clan La Rocca, che rappresenta la famiglia Santapaola nella zona di Caltagirone. I Basilotta si sono intrufolati in tutti i lavori più importanti del catanese, del nisseno e dell'agrigentino. Da poco tempo hanno acquisito anche una cava. Possibile? Certo. In Sicilia per ottenere una cava in concessione dalla Regione non occorre alcun certificato antimafia.
"La mafia è niente al confronto della piovra burocrazia, così simile a quelle alghe che soffocano il fondale marino". La valutazione è del presidente dei costruttori Andrea Vecchio, in prima fila per la legalità e contro il racket, ma con un'indagine a carico per avere simulato minacce telefoniche. La burocrazia non ha scoraggiato l'arrivo sulla piazza di qualche impresa continentale. Sono molto attivi i vicentini Maltauro, che hanno rilevato quanto restava dell'impero di Carmelo Costanzo, uno dei quattro Cavalieri che furoreggiavano negli anni '80. I Maltauro hanno realizzato Etna Polis, subappaltata ai Basilotta, e si sono alleati con Uniter, la potenza locale emergente nelle infrastrutture pubbliche. Nel giro di pochi anni dalla nascita (2003) Uniter è diventata una delle maggiori imprese italiane, con lavori sulla Salerno-Reggio, sulla Terni-Rieti, a San Donà di Piave, al porto di Genova. A Catania Uniter ha l'ospedale San Marco e la metropolitana. I suoi fondatori sono un esempio del trasversalismo alla catanese. C'è Mimmo Costanzo (nessuna parentela con Carmelo), ex assessore di Bianco. E c'è Santo Campione, ex braccio destro del cavaliere Mario Rendo. Uniter e Maltauro realizzeranno la Catania-Ragusa (815 milioni) insieme all'eurodeputato Pdl Vito Bonsignore, cugino di Firrarello che, a sua volta, è suocero di Giuseppe Castiglione, presidente della Provincia e coordinatore del Pdl siciliano. Tutti e tre brontesi e tutti nemici di Lombardo
Uniter è candidata anche ai lavori della darsena. La linea del litorale, il cosiddetto waterfront, è la più calda per i buoni affari. Gli sbancamenti previsti dovrebbero cambiare volto alla costa con un impatto ambientale devastante. I padroni della città hanno già preso posizione. La Vecchia dogana del porto è finita a Ennio Virlinzi, erede di una dinastia di industriali del ferro che producevano i tondini per le monete, al tempo della lira. Virlinzi è legato a Ciancio in vari business. Fra questi, quello dei parcheggi, un'altra costante catanese insieme ai centri commerciali. L'editore-immobiliarista e l'imprenditore siderurgico sono finiti sotto inchiesta assieme alla famiglia Di Martino per lo scempio di piazza Europa, sul lungomare in centro, dove la sabbia lascia il posto alla splendida scogliera lavica. La magistratura ha sequestrato i cantieri a metà dell'opera. Adesso piazza Europa sfoggia un ecomostro di pilastri mozzi.
I giudici sono stati più tolleranti con l'ex mulino Santa Lucia, una sorta di meringa a mare fabbricata dall'Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone. Il costruttore romano ha potuto completare i lavori prima che fosse emesso il decreto di sequestro. L'incidente di percorso non ha impedito all'università di Catania di laureare Caltagirone honoris causa in ottobre alla presenza di politici e del procuratore generale Giovanni Tinebra.
Acqua Marcia si augura che l'opera non resti bloccata quanto la lottizzazione di Corso Martiri della Libertà, una colossale vasca nel cuore della città dove da decenni si avvicendano progetti e proposte. Il pallino è in mano a un altro forestiero, l'immobiliarista romano Sandro Parnasi, appoggiato da un manager di ritorno come il catanese Aldo Palmeri, storico braccio destro di Luciano Benetton a Ponzano Veneto. Per ora, l'unica decisione presa è l'abbattimento di una scuola che è uno dei pochi edifici antisimici della città.
Contro la demolizione è intervenuto Dario Montana, coordinatore provinciale di Libera. È il fratello del commissario Beppe Montana, assassinato dai corleonesi nel 1985 alla vigilia del maxiprocesso di Palermo. Nell'occasione "La Sicilia" di Ciancio rifiutò di pubblicare il necrologio della famiglia. "È un'operazione insensata e una beffa", dice Montana. "A fine maggio dedicheranno il teatro della scuola a mio fratello e la palestra a Giuseppe Fava. Subito dopo spianeranno l'edificio per spostarlo duecento metri più in là, dov'era previsto un parcheggio per la Circumetnea. Tutto per fare cassa". E per costruire altri centri commerciali oppure hotel che rimangono vuoti come le casse del Comune.
Così è, se vi pare. A Catania sono in pochi a indignarsi, come è accaduto il 9 ottobre 2008, quando 'La Sicilia' ha pubblicato senza alcun commento la lettera del boss detenuto Vincenzo Santapaola. "La lettera", scrive il magistrato Roberto Alfonso nella relazione della Direzione nazionale antimafia, "è stata fatta uscire dal carcere tramite il difensore sottraendola in tal modo al controllo della direzione" del penitenziario. Il tutto in violazione al regime di 41 bis, il carcere duro imposto ai detenuti più pericolosi. A Catania accade anche questo. L'importante è battere la burocrazia.
Il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, catanese con casa a pochi passi dalla chiesa del Carmine, nella piazza dove si tiene il mercato della "fera 'o luni" (fiera del lunedì), ha replicato alle accuse di mafia mettendo all'indice il trasversalismo dei suoi nemici. Fra i bersagli del presidente siciliano ci sono soprattutto i concittadini Enzo Bianco, ex sindaco oggi senatore Pd, e Pino Firrarello, senatore Pdl dell'ala lealista, quella che lotta contro la destabilizzazione portata dal Mpa di Lombardo e che vede l'ipotesi di Lega del Sud come il fumo dell'Etna.
Questo scontro politico-giudiziario rallenta l'afflusso di denaro e il sereno andamento degli affari. Ma, secondo gli osservatori locali, lo sciame sismico turberà ancora per poco la pax catanensis. Lombardo è dato in uscita. A giugno è prevista la chiusura dell'indagine e una richiesta di rinvio a giudizio bloccherebbe l'espansione del governatore. Dopo le scosse, gli affari potranno riprendere sotto l'occhio di una magistratura finora poco incline agli assalti, e di un'informazione dominata da Mario Ciancio Sanfilippo, editore della Sicilia e di Telecolor, padrone della pubblicità locale, membro del comitato esecutivo dell'Ansa e immobiliarista dal tocco infallibile. Sui terreni che aveva comprato vicino all'aeroporto di Fontanarossa alla fine di marzo è stato aperto un nuovo mega centro commerciale con un mega guadagno per Ciancio. Alle ore 14 c'era l'inaugurazione, alle 10 il Comune ha inaugurato la strada.
Nella stessa zona periferica a sud della città, verso le spiagge dorate della Plaia. Ciancio dispone di altri 600 mila metri quadrati di ex agrumeti ridotti a sterpaglie e pronti a trasformarsi nella prossima strepitosa plusvalenza grazie al Pua. La sigla sta per Piano Urbanistico Attuativo del Comune, dove comanda il sindaco Raffaele Stancanelli, compagno di Lombardo dai salesiani e pidiellino lealista. Il piano prevede sul lungomare un palazzo dei congressi, campo da golf, cinema multisala, parco del mare, acquario e campi da tennis. Il tutto a breve distanza dalla mitica Etna Valley, il distretto industriale specializzato in elettronica sulla falsariga della Silicon Valley californiana e trainato negli anni Novanta dalla Sgs di Pasquale Pistorio.
La crisi, qui, ha colpito duro. La St Microelectronics, che è subentrata a Sgs, nel 2009 ha fatto due mesi di cassa integrazione. "Etna valley ha nuovi scenari con le energie alternative e i film fotovoltaici ultrasottili", dice il presidente di Confindustria locale, principe Domenico Bonaccorsi di Reburdone, eletto dopo uno scontro terrificante basato su chi era il più antimafioso del reame. La battaglia si è conclusa con la sconfitta del montezemoliano Fabio Scaccia, che nel frattempo ha fondato la Banca Base insieme all'industriale delle mozzarelle Zappalà e a Pietro Agen, potente presidente della Camera di Commercio.
Alla domanda su quante imprese siano state estromesse da Confindustria Catania secondo i dettami del presidente regionale Ivan Lo Bello, la risposta di Bonaccorsi è: una su 600. Né si può sapere quale sia. "Posso solo dire", dice Bonaccorsi, "che l'azienda operava negli appalti pubblici e che si è, correttamente, autosospesa".
Nonostante le speranze fotovoltaiche, lo sviluppo dell'industria appare stentato. Appena oltre la sede di St Microelectronics, Etna Valley è stabilmente occupata da cani randagi, non tutti amichevoli. Sono i discendenti dei bastardi che scorrazzavano fino alla centralissima via Etnea, ai tempi del crac delle finanze municipali e dell'Enel che tagliava la luce dei lampioni al sindaco-taumaturgo Umberto Scapagnini. Fra capannoni abbandonati e strade accidentate, l'altra zona viva del distretto industriale è quella occupata da due ditte di trasporti. Una è la Di Martino, del vicepresidente di Confindustria locale Angelo Di Martino. L'altra è la Sud Trasporti della famiglia Ercolano. Insieme possiedono diverse centinaia di tir, tanto che Angelo Ercolano è presidente regionale della Fai, la Federazione autotrasportatori. Non proprio uno qualunque, Angelo Ercolano. È l'ultimo rampollo della principale famiglia mafiosa della città. Lo zio Pippo è il reggente della cosca Santapaola (Nitto è suo cognato). Il cugino Aldo sta all'ergastolo per aver ucciso il giornalista Giuseppe Fava.
Per decenni la famiglia Ercolano ha investito i propri denari nella ditta di trasporti, l'Avimec, poi confiscata per mafia. E non c'è subappalto per movimento terra, da queste parti, che sia sfuggito alla premiata ditta. Il vecchio boss Pippo, buon amico di Ciancio, fu arrestato in un sottoscala negli uffici della sua azienda. E anche Nitto Santapaola da latitante si spostava nascosto dentro i camion dell'Avimec. Adesso il nipote Angelo, incensurato titolare della Sud Trasporti rappresenterà 1.500 padroncini catanesi e sarà il punto di riferimento della Fai nazionale, oltre che un appoggio importante per la Camera di Commercio di Agen, ligure di Imperia importato a Sud. A Catania dopo la nomina di Ercolano nessuno si stupisce. Perché qui la mafia ha un volto borghese. I boss trascurano da tempo la lupara e si sono trasformati in imprenditori nel campo dei rifiuti, dei trasporti, delle costruzioni e del commercio. All'ombra dell'Etna l'organizzazione criminale non vuole apparire violenta, secondo un metodo illustrato dai pizzini di Provenzano. Il boss corleonese consigliava di fare impresa ai capi a lui più vicini. È lo stesso suggerimento del boss Nitto Santapaola che ha sempre cercato la ricchezza nel silenzio delle armi.
Fra chi è riuscito a inserirsi nei subappalti per la realizzazione dei centri commerciali che circondano Catania c'è la Incoter della famiglia Basilotta. Uno dei fratelli, Vincenzo Basilotta, è stato arrestato nel 2005 in un'operazione che ha svelato i rapporti tra le cosche, il mondo delle imprese e quello della politica. Dal carcere Basilotta ha ceduto le sue quote dell'azienda a uno dei fratelli. Per i magistrati è un imprenditore organico a Cosa nostra, in particolare al clan La Rocca, che rappresenta la famiglia Santapaola nella zona di Caltagirone. I Basilotta si sono intrufolati in tutti i lavori più importanti del catanese, del nisseno e dell'agrigentino. Da poco tempo hanno acquisito anche una cava. Possibile? Certo. In Sicilia per ottenere una cava in concessione dalla Regione non occorre alcun certificato antimafia.
"La mafia è niente al confronto della piovra burocrazia, così simile a quelle alghe che soffocano il fondale marino". La valutazione è del presidente dei costruttori Andrea Vecchio, in prima fila per la legalità e contro il racket, ma con un'indagine a carico per avere simulato minacce telefoniche. La burocrazia non ha scoraggiato l'arrivo sulla piazza di qualche impresa continentale. Sono molto attivi i vicentini Maltauro, che hanno rilevato quanto restava dell'impero di Carmelo Costanzo, uno dei quattro Cavalieri che furoreggiavano negli anni '80. I Maltauro hanno realizzato Etna Polis, subappaltata ai Basilotta, e si sono alleati con Uniter, la potenza locale emergente nelle infrastrutture pubbliche. Nel giro di pochi anni dalla nascita (2003) Uniter è diventata una delle maggiori imprese italiane, con lavori sulla Salerno-Reggio, sulla Terni-Rieti, a San Donà di Piave, al porto di Genova. A Catania Uniter ha l'ospedale San Marco e la metropolitana. I suoi fondatori sono un esempio del trasversalismo alla catanese. C'è Mimmo Costanzo (nessuna parentela con Carmelo), ex assessore di Bianco. E c'è Santo Campione, ex braccio destro del cavaliere Mario Rendo. Uniter e Maltauro realizzeranno la Catania-Ragusa (815 milioni) insieme all'eurodeputato Pdl Vito Bonsignore, cugino di Firrarello che, a sua volta, è suocero di Giuseppe Castiglione, presidente della Provincia e coordinatore del Pdl siciliano. Tutti e tre brontesi e tutti nemici di Lombardo
Uniter è candidata anche ai lavori della darsena. La linea del litorale, il cosiddetto waterfront, è la più calda per i buoni affari. Gli sbancamenti previsti dovrebbero cambiare volto alla costa con un impatto ambientale devastante. I padroni della città hanno già preso posizione. La Vecchia dogana del porto è finita a Ennio Virlinzi, erede di una dinastia di industriali del ferro che producevano i tondini per le monete, al tempo della lira. Virlinzi è legato a Ciancio in vari business. Fra questi, quello dei parcheggi, un'altra costante catanese insieme ai centri commerciali. L'editore-immobiliarista e l'imprenditore siderurgico sono finiti sotto inchiesta assieme alla famiglia Di Martino per lo scempio di piazza Europa, sul lungomare in centro, dove la sabbia lascia il posto alla splendida scogliera lavica. La magistratura ha sequestrato i cantieri a metà dell'opera. Adesso piazza Europa sfoggia un ecomostro di pilastri mozzi.
I giudici sono stati più tolleranti con l'ex mulino Santa Lucia, una sorta di meringa a mare fabbricata dall'Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone. Il costruttore romano ha potuto completare i lavori prima che fosse emesso il decreto di sequestro. L'incidente di percorso non ha impedito all'università di Catania di laureare Caltagirone honoris causa in ottobre alla presenza di politici e del procuratore generale Giovanni Tinebra.
Acqua Marcia si augura che l'opera non resti bloccata quanto la lottizzazione di Corso Martiri della Libertà, una colossale vasca nel cuore della città dove da decenni si avvicendano progetti e proposte. Il pallino è in mano a un altro forestiero, l'immobiliarista romano Sandro Parnasi, appoggiato da un manager di ritorno come il catanese Aldo Palmeri, storico braccio destro di Luciano Benetton a Ponzano Veneto. Per ora, l'unica decisione presa è l'abbattimento di una scuola che è uno dei pochi edifici antisimici della città.
Contro la demolizione è intervenuto Dario Montana, coordinatore provinciale di Libera. È il fratello del commissario Beppe Montana, assassinato dai corleonesi nel 1985 alla vigilia del maxiprocesso di Palermo. Nell'occasione "La Sicilia" di Ciancio rifiutò di pubblicare il necrologio della famiglia. "È un'operazione insensata e una beffa", dice Montana. "A fine maggio dedicheranno il teatro della scuola a mio fratello e la palestra a Giuseppe Fava. Subito dopo spianeranno l'edificio per spostarlo duecento metri più in là, dov'era previsto un parcheggio per la Circumetnea. Tutto per fare cassa". E per costruire altri centri commerciali oppure hotel che rimangono vuoti come le casse del Comune.
Così è, se vi pare. A Catania sono in pochi a indignarsi, come è accaduto il 9 ottobre 2008, quando 'La Sicilia' ha pubblicato senza alcun commento la lettera del boss detenuto Vincenzo Santapaola. "La lettera", scrive il magistrato Roberto Alfonso nella relazione della Direzione nazionale antimafia, "è stata fatta uscire dal carcere tramite il difensore sottraendola in tal modo al controllo della direzione" del penitenziario. Il tutto in violazione al regime di 41 bis, il carcere duro imposto ai detenuti più pericolosi. A Catania accade anche questo. L'importante è battere la burocrazia.
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