Appalti facili. Assunzioni clientelari. Nessun controllo sui 17 miliardi l'anno spesi dalle Spa degli enti pubblici per gestire i servizi. L'allarme della Ragioneria dello Stato
(di Gianfrancesco Turano - l'Espresso)
Altro che entusiasmi post-elettorali. Altro che baratto fra il presidenzialismo agognato da Silvio Berlusconi e l'autonomismo di schei e danè preteso dall'onda leghista. Il funerale del federalismo si è già svolto in forma privata, alla presenza di pochi intimi, il primo mercoledì di marzo 2010. Ed è bizzarro che ad officiare la mesta cerimonia sia stato Mario Canzio. Il ragioniere generale dello Stato è stato nominato nel maggio del 2005 da Giulio Tremonti che, in teoria, è il più leghista dei ministri Pdl, il più vicino agli ideali di Carlo Cattaneo. Ma nell'Ottocento il padre nobile dell'autonomia amministrativa e politica non poteva prevedere gli effetti devastanti dell'in house providing. Forse non li ha previsti nemmeno Tremonti. Canzio li ha trasformati in numero. Ogni anno le 'in house', cioè le società per azioni create da enti pubblici con soldi della cittadinanza, gestiscono 17 miliardi di euro. Questa somma, ha detto Canzio, "è esclusa da qualunque forma di monitoraggio e controllo da parte della Ragioneria generale".
Per evitare sbandate mediterranee in stile Grecia, la ragioneria pretende di metterci becco con piglio centralista imposto dai plutoburocrati di Bruxelles tanto odiati da Umberto Bossi. L'impresa sarà ardua.
L'affidamento in house ha prodotto migliaia di scatole societarie di ogni dimensione a ogni latitudine e sotto ogni amministrazione. Acqua, raccolta rifiuti, energia, trasporti, logistica, servizi informatici e finanziari, tutto può essere in house. In quanto alle dimensioni, si va dalle centinaia di milioni di euro gestite dalle municipalizzate, dalle finanziarie regionali fino al nuovo asilo di via Pietro Micca a Marino affidato in house dal comune alla Multiservizi dei Castelli Spa proprio in vista delle elezioni amministrative, tra le polemiche di chi denuncia manovre clientelari. La bellezza dell'in house sta infatti nel coniugare le gioie di un mercato protetto e la certezza dei fondi pubblici con la libertà d'azione del liberismo. Si assume chi si vuole, senza gara. Si appalta a chi si vuole, sempre senza gara perché anche truccare i concorsi è una bella seccatura. Parenti e consulenti a vario titolo sono i benvenuti.
Le ultime leggi sul tema fissano un termine. Il festival dell'in house dovrebbe finire il 31 dicembre 2010. Dopo, sarà possibile creare società nuove solo in presenza di esigenze ben motivate, anche se sul ruolo e sui limiti del controllo da parte dell'antitrust c'è più di un dubbio.
Gli steccati normativi piazzati di recente mostrano che Tremonti non è più così convinto della bontà del modello. Alla fine, tocca al ministro dell'Economia tentare di tenere a bada un deficit che continua a crescere. In aggiunta, per gli uomini di via XX Settembre c'è un problema di "controllo, conoscenza, vigilanza", secondo le parole di Canzio. Cioè, un problema di potere. È vero che la supersocietà in house, Protezione Civile Spa, si è sgretolata sotto i colpi della magistratura. Non per questo le spinte centrifughe nella cerchia ristretta del berlusconismo si sono esaurite. Sono soltanto frenate dalla buriana giudiziaria.
Nel comparto dei Beni culturali, ad esempio, si segnala una fase di stagnazione. All'inizio di marzo, si è dimesso il finiano Salvatore Italia, numero uno di Arcus, la spa che gestisce i fondi destinati alla cultura dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) e dal ministero dell'Economia (Mef). Al comando è rimasto il direttore generale Ettore Pietrabissa, ex Iri, ex Abi e consulente in proprio con Venture consulting. Per adesso, Arcus continua l'ordinaria amministrazione. Il logo della società spicca sul cartellone della mostra del Vittoriano sugli impressionisti realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia, un fedelissimo dei finanziamenti pubblici con 5,3 milioni di euro ricevuti da Arcus solo fra il 2004 e il 2008.
Ales, un'altra in house del settore, è passata sotto il controllo diretto del Mibac di Sandro Bondi dopo essere stata gestita da Italia Lavoro ed ha cambiato statuto a fine gennaio. La società per adesso continua la sua vecchia attività (servizi di custodia e mantenimento dei siti archeologici in Campania e Lazio). Così mentre Mario Resca, direttore generale per la valorizzazione dei Beni culturali, finisce di mettere a punto la macchina che Bondi gli ha affidato, Ales tappa i buchi del comparto archeologia e musei in base a un assunto di fondo: se rende, lo gestisce il privato in concessione. Se non rende, se lo accolla il pubblico.
È un teorema condiviso da tutte le forze politiche perché il pallino dell'in house è assolutamente bipartisan. Lo dimostra Zètema Progetto Culturale, una delle nove società in house del Comune di Roma. Creata nel 1998 dal sindaco Francesco Rutelli, Zètema aveva le carte in regola per essere rasa al suolo dal sindaco Gianni Alemanno che durante la campagna elettorale dell'aprile 2008 l'aveva definita un'azienda di figli di papà e super raccomandati. È bastato vincere le elezioni e cambiare, neppure poi tanto, il consiglio di amministrazione perché l'attuale assessore Umberto Croppi dichiarasse che Zètema è un importante strumento dell'amministrazione comunale per la gestione dei Musei Civici e per l'integrazione dei servizi culturali e turistici.
Nel settore emergenziale, dopo lo stop a Protezione civile spa, spicca il ruolo di Infrastrutture Lombarde (Ilspa), realizzata dalla regione di Roberto Formigoni per curare il piano straordinario per lo sviluppo dei nuovi progetti nel periodo 2002-2010. A tutt'oggi nessun nuovo progetto lombardo è stato realizzato. In compenso, Ilspa è stata chiamata a lavorare in Abruzzo da Guido Bertolaso e dal governatore Gianni Chiodi per seguire alcuni progetti di ricostruzione dopo il terremoto. Lo scorso novembre Ilspa ha consegnato la nuova Casa dello studente intitolata al lombardo San Carlo Borromeo.
Per l'emergenza quotidiana in Sicilia, anche la Croce rossa italiana (Cri) si era dotata di una sua in house, la Sise. Finché è durata la convenzione con la Regione, la Sise si è data alle spese folli assumendo per chiamata diretta 500 persone e noleggiando 160 ambulanze a costi superiori al prezzo di acquisto. L'11 marzo il commissario straordinario della Cri Francesco Rocca ha messo in liquidazione la controllata per trasferire l'appalto del servizio 118 (circa 150 milioni all'anno di valore) alla Seus, a sua volta un consorzio in house costituito dalla Regione siciliana e dalle Asl dell'isola.
Questa vicenda è un capitolo del vasto terreno dell'in house siciliano, un settore che dà lavoro a migliaia di persone e che serve ad alimentare una girandola di trasferimenti da enti più o meno inutili e più o meno liquidati a spa nuove di zecca. Ogni tanto qualche struttura di controllo si avventura a verificare, per quel che serve. A settembre del 2009 la Corte dei conti ha criticato il progetto di due nuove società ideate dal governatore Raffaele Lombardo, una per inquadrare i forestali e una per la promozione commerciale. Per la magistratura contabile sono altre due fabbriche di debiti che si aggiungono alla catanese Multiservizi e al terzetto Web Sicilia e-Innovazione, Sicilia e-Servizi, Sicilia e-Ricerca.
L'informatica delle regioni è uno dei mercati più floridi dell'in house con ricavi complessivi da 1,2 miliardi di euro all'anno con Lombardia Informatica e Csi Piemonte in testa alla classifica. A questa somma andrebbero aggiunte le tre big dipendenti dall'amministrazione centrale che Tremonti voleva razionalizzare. Ma i veti incrociati all'interno del governo sembrano avere bloccato la fusione fra Sogei, Poligrafico e Consip, che insieme ricavano 650 milioni di euro all'anno, in una sola società per i servizi informatici retta da una diarchia fra il finiano Ferruccio Ferranti e Marco Bonamico, nominato da Tremonti. La sorella maggiore del trio, la Sogei, che ha in gestione il centro dati dell'anagrafe tributaria, è stata appena messa sotto accusa dal Cnipa, il centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, e dal Consiglio di Stato. Sembrerebbe che i servizi di e-learning offerti dalla Sogei costino oltre sette volte i prezzi di mercati, mentre la posta elettronica certificata (Pec) costa quattro volte di più. I giudici amministrativi stanno valutando il contratto di affidamento triennale da parte dello Stato per verificare se in effetti la Sogei può considerarsi una società in house del ministero. Se questa condizione venisse meno, tutti gli appalti della Sogei dovrebbero essere messi a gara europea.
Un problema simile riguarda la Sogesid. Nata per gestire gli acquedotti ex Cassa del Mezzogiorno, è diventata un ente strumentale del ministero dell'Ambiente e fornisce servizi fra i quali la direzione Via (Valutazione di impatto ambientale) e la bonifica di siti contaminati. In un'interrogazione parlamentare dell'opposizione si punta l'indice sul fatto che Sogesid faccia assunzioni senza concorso e subappalti a società private senza passare da una gara. Peccati veniali se li si confronta alla situazione di un'altra in house a vocazione ambientalista, la Zincar. La società per le energie alternative creata dal Comune di Milano è fallita poco meno di un anno fa, lasciando un buco di 18 milioni e strascichi giudiziari tuttora in corso.
Meno pesante ma pur sempre nell'ordine di una decina di milioni di euro è il costo della Parcolimpico, che ha gestito per conto della Fondazione XX marzo (Regione Piemonte, Comune e Provincia di Torino, Coni) dieci impianti delle Olimpiadi invernali del 2006. Parcolimpico ha dovuto scontare l'eredità che quasi sempre tocca a un'Olimpiade: strutture costose, difficili da mantenere e in fase di abbandono progressivo, come la disastrata pista da slittino di Pragelato. Per uscire da una trappola che comporta circa 60 milioni in spese di gestione, la Fondazione XX marzo ha ceduto il 70 per cento di Parcolimpico, con regolare gara europea. Certi guai meglio tenerli fuori casa.
Per evitare sbandate mediterranee in stile Grecia, la ragioneria pretende di metterci becco con piglio centralista imposto dai plutoburocrati di Bruxelles tanto odiati da Umberto Bossi. L'impresa sarà ardua.
L'affidamento in house ha prodotto migliaia di scatole societarie di ogni dimensione a ogni latitudine e sotto ogni amministrazione. Acqua, raccolta rifiuti, energia, trasporti, logistica, servizi informatici e finanziari, tutto può essere in house. In quanto alle dimensioni, si va dalle centinaia di milioni di euro gestite dalle municipalizzate, dalle finanziarie regionali fino al nuovo asilo di via Pietro Micca a Marino affidato in house dal comune alla Multiservizi dei Castelli Spa proprio in vista delle elezioni amministrative, tra le polemiche di chi denuncia manovre clientelari. La bellezza dell'in house sta infatti nel coniugare le gioie di un mercato protetto e la certezza dei fondi pubblici con la libertà d'azione del liberismo. Si assume chi si vuole, senza gara. Si appalta a chi si vuole, sempre senza gara perché anche truccare i concorsi è una bella seccatura. Parenti e consulenti a vario titolo sono i benvenuti.
Le ultime leggi sul tema fissano un termine. Il festival dell'in house dovrebbe finire il 31 dicembre 2010. Dopo, sarà possibile creare società nuove solo in presenza di esigenze ben motivate, anche se sul ruolo e sui limiti del controllo da parte dell'antitrust c'è più di un dubbio.
Gli steccati normativi piazzati di recente mostrano che Tremonti non è più così convinto della bontà del modello. Alla fine, tocca al ministro dell'Economia tentare di tenere a bada un deficit che continua a crescere. In aggiunta, per gli uomini di via XX Settembre c'è un problema di "controllo, conoscenza, vigilanza", secondo le parole di Canzio. Cioè, un problema di potere. È vero che la supersocietà in house, Protezione Civile Spa, si è sgretolata sotto i colpi della magistratura. Non per questo le spinte centrifughe nella cerchia ristretta del berlusconismo si sono esaurite. Sono soltanto frenate dalla buriana giudiziaria.
Nel comparto dei Beni culturali, ad esempio, si segnala una fase di stagnazione. All'inizio di marzo, si è dimesso il finiano Salvatore Italia, numero uno di Arcus, la spa che gestisce i fondi destinati alla cultura dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) e dal ministero dell'Economia (Mef). Al comando è rimasto il direttore generale Ettore Pietrabissa, ex Iri, ex Abi e consulente in proprio con Venture consulting. Per adesso, Arcus continua l'ordinaria amministrazione. Il logo della società spicca sul cartellone della mostra del Vittoriano sugli impressionisti realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia, un fedelissimo dei finanziamenti pubblici con 5,3 milioni di euro ricevuti da Arcus solo fra il 2004 e il 2008.
Ales, un'altra in house del settore, è passata sotto il controllo diretto del Mibac di Sandro Bondi dopo essere stata gestita da Italia Lavoro ed ha cambiato statuto a fine gennaio. La società per adesso continua la sua vecchia attività (servizi di custodia e mantenimento dei siti archeologici in Campania e Lazio). Così mentre Mario Resca, direttore generale per la valorizzazione dei Beni culturali, finisce di mettere a punto la macchina che Bondi gli ha affidato, Ales tappa i buchi del comparto archeologia e musei in base a un assunto di fondo: se rende, lo gestisce il privato in concessione. Se non rende, se lo accolla il pubblico.
È un teorema condiviso da tutte le forze politiche perché il pallino dell'in house è assolutamente bipartisan. Lo dimostra Zètema Progetto Culturale, una delle nove società in house del Comune di Roma. Creata nel 1998 dal sindaco Francesco Rutelli, Zètema aveva le carte in regola per essere rasa al suolo dal sindaco Gianni Alemanno che durante la campagna elettorale dell'aprile 2008 l'aveva definita un'azienda di figli di papà e super raccomandati. È bastato vincere le elezioni e cambiare, neppure poi tanto, il consiglio di amministrazione perché l'attuale assessore Umberto Croppi dichiarasse che Zètema è un importante strumento dell'amministrazione comunale per la gestione dei Musei Civici e per l'integrazione dei servizi culturali e turistici.
Nel settore emergenziale, dopo lo stop a Protezione civile spa, spicca il ruolo di Infrastrutture Lombarde (Ilspa), realizzata dalla regione di Roberto Formigoni per curare il piano straordinario per lo sviluppo dei nuovi progetti nel periodo 2002-2010. A tutt'oggi nessun nuovo progetto lombardo è stato realizzato. In compenso, Ilspa è stata chiamata a lavorare in Abruzzo da Guido Bertolaso e dal governatore Gianni Chiodi per seguire alcuni progetti di ricostruzione dopo il terremoto. Lo scorso novembre Ilspa ha consegnato la nuova Casa dello studente intitolata al lombardo San Carlo Borromeo.
Per l'emergenza quotidiana in Sicilia, anche la Croce rossa italiana (Cri) si era dotata di una sua in house, la Sise. Finché è durata la convenzione con la Regione, la Sise si è data alle spese folli assumendo per chiamata diretta 500 persone e noleggiando 160 ambulanze a costi superiori al prezzo di acquisto. L'11 marzo il commissario straordinario della Cri Francesco Rocca ha messo in liquidazione la controllata per trasferire l'appalto del servizio 118 (circa 150 milioni all'anno di valore) alla Seus, a sua volta un consorzio in house costituito dalla Regione siciliana e dalle Asl dell'isola.
Questa vicenda è un capitolo del vasto terreno dell'in house siciliano, un settore che dà lavoro a migliaia di persone e che serve ad alimentare una girandola di trasferimenti da enti più o meno inutili e più o meno liquidati a spa nuove di zecca. Ogni tanto qualche struttura di controllo si avventura a verificare, per quel che serve. A settembre del 2009 la Corte dei conti ha criticato il progetto di due nuove società ideate dal governatore Raffaele Lombardo, una per inquadrare i forestali e una per la promozione commerciale. Per la magistratura contabile sono altre due fabbriche di debiti che si aggiungono alla catanese Multiservizi e al terzetto Web Sicilia e-Innovazione, Sicilia e-Servizi, Sicilia e-Ricerca.
L'informatica delle regioni è uno dei mercati più floridi dell'in house con ricavi complessivi da 1,2 miliardi di euro all'anno con Lombardia Informatica e Csi Piemonte in testa alla classifica. A questa somma andrebbero aggiunte le tre big dipendenti dall'amministrazione centrale che Tremonti voleva razionalizzare. Ma i veti incrociati all'interno del governo sembrano avere bloccato la fusione fra Sogei, Poligrafico e Consip, che insieme ricavano 650 milioni di euro all'anno, in una sola società per i servizi informatici retta da una diarchia fra il finiano Ferruccio Ferranti e Marco Bonamico, nominato da Tremonti. La sorella maggiore del trio, la Sogei, che ha in gestione il centro dati dell'anagrafe tributaria, è stata appena messa sotto accusa dal Cnipa, il centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, e dal Consiglio di Stato. Sembrerebbe che i servizi di e-learning offerti dalla Sogei costino oltre sette volte i prezzi di mercati, mentre la posta elettronica certificata (Pec) costa quattro volte di più. I giudici amministrativi stanno valutando il contratto di affidamento triennale da parte dello Stato per verificare se in effetti la Sogei può considerarsi una società in house del ministero. Se questa condizione venisse meno, tutti gli appalti della Sogei dovrebbero essere messi a gara europea.
Un problema simile riguarda la Sogesid. Nata per gestire gli acquedotti ex Cassa del Mezzogiorno, è diventata un ente strumentale del ministero dell'Ambiente e fornisce servizi fra i quali la direzione Via (Valutazione di impatto ambientale) e la bonifica di siti contaminati. In un'interrogazione parlamentare dell'opposizione si punta l'indice sul fatto che Sogesid faccia assunzioni senza concorso e subappalti a società private senza passare da una gara. Peccati veniali se li si confronta alla situazione di un'altra in house a vocazione ambientalista, la Zincar. La società per le energie alternative creata dal Comune di Milano è fallita poco meno di un anno fa, lasciando un buco di 18 milioni e strascichi giudiziari tuttora in corso.
Meno pesante ma pur sempre nell'ordine di una decina di milioni di euro è il costo della Parcolimpico, che ha gestito per conto della Fondazione XX marzo (Regione Piemonte, Comune e Provincia di Torino, Coni) dieci impianti delle Olimpiadi invernali del 2006. Parcolimpico ha dovuto scontare l'eredità che quasi sempre tocca a un'Olimpiade: strutture costose, difficili da mantenere e in fase di abbandono progressivo, come la disastrata pista da slittino di Pragelato. Per uscire da una trappola che comporta circa 60 milioni in spese di gestione, la Fondazione XX marzo ha ceduto il 70 per cento di Parcolimpico, con regolare gara europea. Certi guai meglio tenerli fuori casa.
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