Un sedicente "fisico" della Sapienza di Roma, che già una volta era entrato a gamba tesa nel Tafanus in difesa delle centrali nucleari di Scajola, e per contrastare (senza riuscirvi troppo bene, per la verità) le nostra motivate preoccupazioni sia sul problema delle scorie, che su quello della insicurezza intrinseca delle centrali nucleari, torna alla carica (guarda caso, con altro nome, ma con lo stesso IP dell'altra volta). Questa volta non per darmi dell'incompetente sul problema delle scorie nucleari, ma per darmi del "catastrofista" sul piccolo incidente nel Golfo del Messico. Il Professore mi bacchetta perchè nel mio primo post avevo osato titolare "Peggio dell'11 Settembre".
Il Professore ha ragione. Ho sbagliato valutazione. Rispetto a ciò che è già successo e che succederà nei prossimi mesi, l'11 Settembre sarà ricordato come un piccolo tamponamento a bassa velocità ad un semaforo, con rottura di un fanalino di coda. Il Professore (deferente maiuscola) ha ragione. Ho sbagliato l'ordine di grandezza delle mie valutazioni. Infatti, una settimana dopo, Nicholas A. Robinson, co-direttore del Centro per gli Studi Giuridici Ambientali della Pace Law School di New York, intervenendo alla Conferenza internazionale Icef sulla governance globale per l'ambiente, ha definito la marea nera "...un disastro ambientale peggiore di quello causato dall'esplosione di un reattore nucleare a Chernobyl nel 1986. La chiazza si sta propagando al largo degli Stati Uniti. E' un vero assalto alla vita sottomarina che nè la Bp, nè nessun altro sa come fermare. Finora è stato catturato solo il 10% del flusso del petrolio con misure palliative, e la corrente sta portando la chiazza sulla costa atlantica degli Stati Uniti''. (ANSA, 20/05/2010)
Infine ieri Repubblica ha dedicato un blocco di pagine interne ad un "Dossier" sulla catastrofe in corso, contenente anche due articoli, da non perdere - almeno nei passi fondamentali - di due firme di punta di Repubblica (Vittorio Zucconi e Federico Rampini), a cui il Professore, per coerenza, dovrà inviare una chiamata di correo per "catastrofismo". Di fatto, Zucconi non parla di 11 Settembre, ma di "Ground Zero" (Professore, ricorda cosa sia Ground Zero?); Rampini si sofferma molto sull'aspetto politico, e parla di "Katrina di Obama". Bene, Professore, lei non è obbligato a prendere per oro colato le opinioni di Zucconi e Rampini, esattamente come noi non siamo obbligati a prendere in considerazione le sue, specie ove si consideri che le nasconde sotto un nome nuovo di zecca.
Ma ecco l'estratto di quanto hanno scritto ieri Zucconi e Rampini su un dossier di Repubblica da conservare, a futura memoria: Catastrofe: una nuova "Ground Zero" nel mare della Louisiana - I silenzi, le menzogne, infine l'allarme. In 33 giorni la marea nera è arrivata a spaventare il mondo intero. Ecco il diario della crisi(di Vittorio Zucconi - Repubblica - 24/05/10)
Cominciò come una cartolina dall'abisso, una clip video per telegiornali assetati di notizie. Alle nove e 45 minuti di martedì 20 aprile, ora di New Orleans, una delle 717 piattaforme che succhiano come zanzare mutanti con il loro pungiglioni di mille metri il petrolio dal fondo del Golfo del Messico scomparve in una fiammata rossa e gialla alta 300 metri e larga 200, presto sovrastata da una nube di fumo untuoso e nero. La guerra fra l'acqua e l'olio, fra il nero e il blu era partita.
Le prime sequenze ci mostrarono l'isola galleggiante circondata da rimorchiatori anti-incendo e mezzi di soccorso che lanciavano i loro patetici archi d'acqua e ci dissero che undici, dei centoventisei addetti, erano stati consumati nell'esplosione, morti o dispersi. Un'altra tragedia sul lavoro, fra le tante. Per chi di noi aveva attraversato di persona la immensa muraglia di fuoco e fiamme innalzata da Saddam Hussein incendiando il Kuwait nel 1991, o aveva toccato in Alaska le piume del gabbiani e della folaghe morti soffocati dal greggio nel fiordo del Principe William invaso dal petrolio della "Exxon Valdez", il disastro del Golfo del Messico poteva ancora sembrare un piccolo prezzo pagato alla nostra sete inestinguibile di carburanti fossili.
Non c'era ragione di temere altrimenti. A bordo della piattaforma battente bandiera delle Isole Marshall, varata nel 2001 nei cantieri navali della Hyundai coreana e battezzata con il bellissimo nome di "Deepwater Horizon", l'Orizzonte delle Acque Profonde, c'erano addirittura, al momento dell'esplosione, dirigenti della BP, la British Petroleum, per celebrare il suo perfetto funzionamento.
E la BP, la stessa signora del greggio che gestisce l'oleodotto dell'Alaska e ne garantisce la sicurezza, si era affrettata a informare il mondo, insieme con i funzionari della agenzie ambientali della Lousiana, celebre per essere uno degli Stati più corrotti dell'Unione, che "il danno sarebbe stato minimo". Ma qualcuno, a New Orleans, la grande città più vicina alla piattaforma in fiamme, cento chilometri a nord, al quartiere generale della BP, a Washington, doveva avere avvertito la puzza di bruciato, perché fra il 21 e il 23 aprile, mentre "L'Orizzonte" galleggiante affondava, un'armada aereonavale di mezzi privati e militari aveva cominciato a dirigersi verso la fossa di Macodo, il tratto di mare dove la piattaforma succhiava.
È il venerdì 23 aprile, ora zero più 72 ore, quando l'immensità della catastrofe comincia a sfuggire alle rete di menzogne e di rassicurazioni. Un robot sottomarino che esplora il fondo scopre che una seconda arteria si è aperta a 1.524 metri di profondità. La fuoriuscita dai due crateri era il doppio dell'annunciato, mille barili al giorno. 160 mila litri. Non molti, rispetto ai 41 milioni di litri vomitati dalla "Exxon Valdez" squarciata in Alaska 21 anni or sono e il Golfo del Messico non è un fiordo stretto come il Prince Williams. Ma, un momento. Già dopo il week end, lunedì 26, Ora Zero più 150 ore, la quantità di greggio fuoriuscito sale a 200 mila litri al giorno, poi a oltre un milione e mezzo di litri dallo scoppio. E la chiazza fetida, spinta dai venti stagionali che soffiano dal sudest verso terra, che all'inizio era stata paragonata al minuscolo stato del Rhode Island, il più piccolo dei 50, risale la classifica, ha già raggiunto le dimensioni della West Virginia, il 41°, poi della Virginia, il 37°. E le arterie non cauterizzate continuano a pompare.
Scatta il panico. Si muove la politica che da Obama, colto in contropiede, pochi giorni dopo avere ceduto alle pressioni dei petrolieri, e avere riautorizzato le ricerca di giacimenti sulle coste, deve sospendere e ritirare l'imprimatur in attesa di studi. Il Parlamento fa quello che fanno tutti i Parlamenti quando non sanno che fare, apre un'inchiesta e trascina i dirigenti della BP, della società Transoceanic che gestiva la piattaforma, delle altre aziende coinvolte, tra le quali
la onnipresente piovra Halliburton già carissima al cuore dell'ex suo presidente Dick Cheney, poi vice di Bush, sono fustigati pubblicamente. La BP dovrà pagare tutto e tutti, i danni ai privati, all'ambiente, ai pescatori, agli allevatori, ai sindaci, alle contee litoranee che la "marea nera", non più nera, lambisce, tocca, sporca, sfiora. Dal Pentagono parte una flotta aerea di C130 Hercules, aerei anti-som con sonar e radar per seguire l'ombra, in tutto 45 velivoli, più dell'intero stormo di bombardieri che la Germania inviò a colpire Rotterdam nel 1940. Ma non esiste flotta aerea o navale che possa bombardare la pellicola di greggio, le molecole di detersivo, la porcheria assortita che si allarga, sempre alimentata dal profondo.
Duecento mila litri di detersivi sono lanciati da imbarcazioni e aerei, mentre il governatore della Lousiana invoca il fuoco per bruciare il petrolio in superficie. Ma 240 ore dopo lo scoppio, siamo arrivati al 30 aprile, la certezza che nessuna misura d'emergenza possa funzionare davvero si fa strada, e i titoli della BP crollano. Il 30 aprile, le foto dai satelliti Nasa mostrano che il dito della marea ha raggiunto il Delta del Mississippi, uno degli ecosistemi più fragili del continente. Si mobilitano i pescherecci, i comandanti di quei mietitori di crostacei e molluschi che la grande favola di "Forrest Gump" rese celebri, nel personaggio del soldato nero che sogna i gamberetti rossi.
Una solenne cerimonia per consegnare gli Oscar della sicurezza nell'industria petrolifera viene cancellata. La BP era la finalista. (...sic!...)
Ormai non si contano più le ore, ma le settimane dell'invasione del mare, dall'Ora Zero. I 200 mila litri al giorno delle prime stime, diventano, il 7 maggio, 500 mila al giorno e la terra continua a vomitare greggio. La disperazione produce il cupolone del miracolo, una campana da 130 tonnellate di cemento e acciaio fabbricato in fretta e furia e posizionato dai robot sulla prima ferita. Niente del genere è mai stato tentato e il cupolone miracoloso non è mai stato collaudato, ma qualcosa la BP, che nel frattempo fa arrestare ecologisti e ficcanaso che si aggirano negli acquitrini costieri, deve fare. L'8 maggio il tentativo fallisce. Cristalli di gas metano formati sul fondo dal petrolio in uscita bloccano le tubature che avrebbero dovuto incanalare il fiotto del greggio.
L'11 maggio, sempre brancolando nel buio, un secondo "tappo" viene calato, soprannominato il "cappello a cilindro", Più piccolo, dovrebbe non tamponare, ma risucchiare il petrolio dalle ferita e pomparlo verso un tanker in superficie. Una tecnica già usata, ma mai a quelle profondità e
dall'11 non si anno più notizie neppure del "cappello a cilindro". Pare funzioni meglio. Pare.
La terra sembra dire: non volevate tanto il petrolio? Eccovelo. All'Ora Zero più 30 giorni, quando, secondo l'Università della Florida il totale vomitato dai due fori ha già raggiunto il record della Exxon Valdez, l'ultimo piano disperato parla di fare altre perforazioni nello stesso giacimento di Macondo, per ridurre la pressione con la tecnica medioevale del salasso applicato alla crosta terrestre. La perforazione di "sollievo" costerà almeno 100 milioni e richiederà tre mesi. E intanto il petrolio esce, la perdita continua, galleggia sul pelo della coscienza nazionale, diventa uno spot commerciale. Il 16 maggio, il detersivo "Dawn" scopre che il proprio detersivo è il migliore, il più innocuo, usato dai volontari che stanno pulendo a una a una le creature degli acquitrini della costa dalla patina nera e offre un dollaro di donazione alla pulizia ambientale per ogni flacone venduto.
Il 20 maggio, compimento del primo mese dal "Ground Zero" sottomarino, le autorità tentano una manovra disperata. Si affidano al grande padre, non a quello nei cieli, ma sulla terra al vecchio fiume Mississippi. Spalancano le dighe, le chiuse, abbattono gli argini che da un secolo strizzano il grande fiume e ne costringono il corso, sperando che l'acqua dolce spinga lontano l'acqua di mare portatrice di morte, acqua per spegnare l'acqua. Ma anche su funzionasse, sarebbe un palliativo, se l'emorragia di greggio non fosse fermata. Su una cosa soltanto sono tutti d'accordo: questa potrebbe essere, e forse già è, il più grande disastro che si sia abbattuto sugli Stati Uniti, qualcosa i cui effetti sulla biosfera, esseri umani inclusi, nessuno, a 33 giorni dall'Ora Zero, può calcolare. E una marea, uno tsunami di querele e di cause per danni aleggia sopra il Golfo, pronta ad abbattersi come quei cicloni tropicali che ormai la stagione estiva avvicina, tanto per aggiungere tempeste naturali a quelle artificiali. La vendetta della Terra e del petrolio è sempre lunga e terribile. Poco prima dell'esplosione del 20 aprile, gli studiosi dell'agenzia oceanografica nazionale, la NOAA, avevano riesaminato le sabbie e i ciottoli del golfo del principe Williams in Alaska.
Il petrolio, 21 anni dopo, c'e ancora. "Se una nazione straniera stesse facendo quello che la perdita di petrolio sta provocando alla nostra frontiera del Sud - dice il disperato governatore Jindal - le avremmo già dichiarato guerra". La guerra c'è, e la sta vincendo il mare nero.
Vittorio Zucconi
Ora Obama rischia: "Sarà la sua Katrina" - Il presidente americano criticato per i ritardi nell'affrontare la situazione. Dall'amministrazione di Washington ultimatum alla Bp(di Federico Rampini - Repubblica - 24/95/10)
L'ultima umiliazione è dura da ingoiare: l'Iran offre all'America "aiuti e assistenza tecnica per arrestare la marea nera nel Golfo del Messico". Da Teheran assicurano: "Noi lo sappiamo fare". Quello che all'inizio era solo un auspicio inconfessabile della destra - che il disastro petrolifero diventi la Katrina di Barack Obama - sta diventando un pericolo vero. Una Katrina al rallentatore, perché il bilancio delle vittime umane è l'un per cento della strage di New Orleans (1.500 morti per l'inondazione del 2005). Ma l'attuale disastro ambientale prolungherà i suoi effetti per decenni. E il presidente avverte che rischia lui stesso di pagare un prezzo politico fatale.
Ora è da sinistra che gli piovono addosso le critiche più pesanti. Un allarme angosciato per l'assenza del governo viene dall'Huffington Post, la voce più autorevole nella blogosfera progressista: "
E' passato più di un mese dall'esplosione della piattaforma, il petrolio continua a fuoriuscire in mare come fosse il primo giorno. Perché Obama lascia che sia ancora la Bp a occuparsene?".
In questo mese è successo di tutto: annunci trionfalistici e poi rinvii a ripetizione per le operazioni d'intervento sottomarino alle origini della falla. Feroci polemiche da tutto il mondo della scienza contro il tentativo dei petrolieri di occultare le vere dimensioni della chiazza. Fino all'ultimo scandalo, la scoperta agghiacciante fatta dall'Environmental Protection Agency (Epa): "
i 650.000 galloni di detergente liquido sparsi in mare dalla Bp per dissolvere la chiazza sono "un prodotto inquinante, pericoloso, altamente tossico". Scatta il divieto immediato di utilizzarlo. Intanto si è scoperto che la vera funzione di quel detergente non era di eliminare il greggio, bensì ridurlo in particelle così piccole da impedire la rilevazione delle vere dimensioni della marea nera. Perché da quella misura può dipendere il conto finale che i tribunali imporranno alla Bp. Sono in gioco miliardi, l'unica cosa che sembra contare per il business del Big Oil.
Di fronte al più grave disastro ambientale nella storia americana, è indignato dalla debolezza di Obama uno dei più celebri strateghi elettorali del partito democratico: James Carville, vicino ai Clinton, opinionista della Cnn, lui stesso originario della Louisiana. Carville denuncia: "
È un'imperdonabile ingenuità affidare le operazioni di contenimento e di pulizia della marea nera alla stessa Bp che è colpevole del disastro. Credono davvero che la Bp sia animata dalle migliori intenzioni? Qualcuno deve scuotere il nostro presidente dal torpore e dirgli la verità: la Bp può rovinarlo".
Obama in realtà avverte questo pericolo. Lo ammette il suo portavoce Robert Gibbs: "
Certo che ci sta creando dei problemi la mancanza di trasparenza della Bp. Il presidente degli Stati Uniti ordina di rendere pubbliche le immagini video in diretta del petrolio che fuoriesce dalla falla, e quelli aspettano dieci giorni prima di farlo". Gibbs aggiunge che "
il presidente sta dicendo a tutti i suoi collaboratori di non risparmiare nessuno sforzo, proprio nessuno, per venirne fuori". Scosso dalle critiche, ieri Obama ha mandato sul posto tre membri del suo governo guidati dal ministro dell'Interno Ken Salazar. Ma il risultato ancora una volta è stato una cacofonìa di messaggi contraddittori. Salazar ha accusato la Bp "
di non avere fatto il suo dovere fin dal primo giorno". Ha minacciato: "
Se pensiamo che non siano all'altezza li toglieremo di mezzo e ci sostituiremo a loro". Per poi concludere però con una sorta di assoluzione: "
Stanno facendo il possibile, questa è una missione mai tentata prima nella storia, siamo di fronte all'equivalente del disastro spaziale dell'Apollo 13".
Posizioni ancora più controverse vengono dall'uomo in prima linea ad affrontare la catastrofe, l'ammiraglio della Coast Guard, Thad Allen. Quest'ultimo ieri ha gettato nello sconcerto le popolazioni del Golfo, dichiarando: "
Ho fiducia nel chief executive della Bp". La guardia costiera ha impedito l'accesso alla marea nera a un esercito di volontari pronti ad aiutare, compresi i biologi che lavorano nei parchi naturali delle lagune. Il sospetto è che la Bp non voglia osservatori scomodi. Perché la Coast Guard sta dalla sua parte? L'ammiraglio Allen risponde a chi vorrebbe sostituire alle squadre Bp un intervento diretto dell'Amministrazione federale:
"Non possiamo. La normativa varata dopo il naufragio della superpetroliera Exxon Valdez in Alaska, nel 1989, impone alla compagnia petrolifera di ripulire il disastro. A noi spetta un compito di supervisione".
Chris Matthews, un altro ex-stratega elettorale dei democratici, oggi anchorman della Msnbc, è di un sarcasmo feroce: "
Obama si sta comportando di fronte a questa tragedia come se fosse un osservatore del Vaticano. Capisco che c'è dietro una logica politica spietata: nel momento in cui il governo ci dice che si assume la gestione diretta di tutte le operazioni, questa marea nera gli appartiene. Ma qualcuno deve pur farlo".
I paragoni con Katrina vengono respinti con sdegno dal portavoce della Casa Bianca Gibbs: "
Sono insensati. In quel caso l'Amministrazione Bush fu assente e indifferente. Noi abbiamo reagito subito". Ma con che risultati? Fidandosi di Bp, si sono persi 30 giorni solo perché le autorità federali creassero una loro squadra di esperti indipendenti per valutare l'ampiezza della chiazza. Che intanto avanza implacabile. E continua ad essere alimentata da quella fuoriuscita sotterranea. Per chiudere l'emorragìa letale che sta uccidendo il Golfo, ci manca solo che alla fine debbano arrivare davvero i tecnici iraniani.
Federico Rampini
E per concludere, invito il nostro Fisico Sapiente a rileggere ciò che il Tafanus ha scritto in tempi non sospetti: [Marea nera: peggio dell'11 Settembre]
P.S.: mentre scriviamo queste note, apprendiamo che sul sito aperto dai responsabili della catastrofe per chiedere soluzioni e suggerimenti alle casalinghe dell'Ohio, sono arrivate ben 20.000 soluzioni. Una cosa quindi è altamente probabile: il "Festival della Cazzata" ha avuto un enorme, prevedibile successo. Sarebbe bello poter mettere in volume le idee più cretine che la fertile mente umana ha sfornato. Questo non fermerebbe la catastrofe, ma servirebbe a tenerci allegri. Non ci tiene invece allegri l'aver appreso che nel solo fragilissimo, chiuso Golfo del Messico, in questo preciso momento ci sono, al lavoro, altre 717 piattaforme, in gran parte costruite dalla stessa gente, e con le stesse "valvole di intercettazione" i mpiegate nella piattaforma che ha fatto "boom"
Tafanus
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