Indagini insabbiate. Documenti scomparsi. Depistaggi. Per anni la cricca ha goduto di importanti protezioni. Anche nella Guardia di Finanza e nella Magistratura.
La saletta del ristorante è appartata, nascosta agli sguardi dei clienti che prendono posto attorno a tavoli rotondi apparecchiati con raffinatezza. È una sera di ottobre di due anni fa, e mentre fuori piove, nella zona riservata di un locale di Roma due imprenditori stringono accordi "scellerati" con un ufficiale della Guardia di finanza. Seduti davanti ai piatti ci sono tre persone: un pezzo della "cricca" formato da Diego Anemone e Piero Murino e un finanziere. Anemone è una delle figure chiave, il fulcro delle inchieste condotte dalle Procure di Firenze e Perugia sugli appalti per i Grandi eventi: dai Mondiali di nuoto di Roma al G8 della Maddalena, fino alle opere per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Murino è uno degli imprenditori inseriti negli appalti della Maddalena. I due sono amici e condividono lo stesso linguaggio cifrato: chiamano "brochure" le buste che contengono le mazzette di banconote destinate alle tangenti. Ed entrambi per proteggere le loro attività illecite si affidano a investigatori infedeli, a cui versano grosse somme di denaro. Sembra di vederli i tre seduti a tavola che mangiano, bevono e ogni tanto sorridono alle battute che fa l'ufficiale. È proprio indagando su Anemone che i carabinieri del Ros scoprono questo convivio molto riservato, ma ignorano chi sia il terzo uomo. Solo in un secondo momento le intercettazioni svelano la qualifica del commensale: è un finanziere, uno di quelli importanti che avrebbe un ruolo di coordinamento operativo nella capitale, ma di cui non viene fatto mai il nome.
Adesso sono state avviate indagini per scoprire l'identità di questo ufficiale: gli inquirenti ritengono che sia un tassello fondamentale nell'inchiesta dei pm di Firenze e Perugia. Un'istruttoria nella quale affiorano finanzieri corrotti che spifferano notizie riservate o sono pronti a pilotare indagini, tutto con un unico obiettivo: tutelare gli affari di Anemone. Perché le coperture di questo imprenditore che fatturava 85 milioni di euro all'anno, eseguendo in gran parte lavori tutelati dal segreto di Stato, erano vastissime. Al punto da impedire che una verifica fiscale di routine, avviata il 14 ottobre 2008, creasse problemi al costruttore e agli altri componenti della "cricca". I documenti sequestrati due anni fa dai finanzieri incaricati di quel controllo tributario dimostrerebbero il coinvolgimento di politici, investigatori infedeli e funzionari dello Stato in casi di corruzione. Già all'epoca, ben prima che i cantieri della Maddalena venissero ultimati, si sarebbe potuto scoprire che la moglie di Guido Bertolaso, il capo della Protezione civile indagato a Perugia, e suo cognato, Francesco Piermarini, incassavano somme di denaro dal gruppo Anemone. E lo avevano fatto a partire dal 2004, creando una sorta di conflitto di interessi, visto che molti lavori sono stati affidati dalla Protezione Civile all'imprenditore indagato. Negli archivi sequestrati dai finanzieri in quell'ispezione fiscale sono state trovate le fatture della famiglia Bertolaso: ma questi documenti sono stati recuperati solo due anni dopo l'inizio della verifica tributaria e subito dopo il trasferimento dell'inchiesta sulla "cricca" da Firenze a Perugia.
Nelle carte sequestrate nel 2008 c'era già tutto. Le Fiamme gialle avrebbero avuto pure la possibilità di far luce sulle operazioni bancarie sospette, quelle che ora hanno permesso di scoprire gli assegni usati per acquistare la casa di Claudio Scajola, i due appartamenti di un generale della Finanza adesso al servizio segreto civile, quello del figlio dell'ex ministro Pietro Lunardi e un altro della figlia del braccio destro del ministro Altero Matteoli. E nei faldoni rimasti chiusi negli armadi ci sono le tracce di decine di conti correnti ancora da esaminare, con bonifici e pagamenti che potrebbero svelare nuovi casi di corruzione.
Insomma, una bomba che già nell'autunno 2008 avrebbe potuto mettere in crisi il neonato governo Berlusconi, coinvolgendo ministri di punta. Adesso gli inquirenti che indagano sul "terzo commensale" in uniforme hanno il sospetto che l'inchiesta possa essere stata ostacolata dall'esterno e deviata su altre strade per evitare che raggiungesse il cuore della ragnatela creata da Anemone. Un sistema di malaffare difeso da un cordone di protezione così potente da impedire anche un'istruttoria dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico, l'unità guidata dal colonnello Sergio De Caprio, meglio conosciuto come il capitano Ultimo che mise le manette ai polsi di Totò Riina.
Due anni fa i militari dell'Arma avevano avviato indagini in Sardegna su Diego Anemone, Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro Dellagiovanpaola, ma vennero bloccati - secondo i magistrati di Perugia - dall'allora procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, oggi in pensione dopo che i pm lo hanno accusato di essere stato la talpa di Balducci & c.
Il Noe chiese più volte alla Procura di poter intercettare gli imprenditori per proseguire l'indagine, ma la richiesta non ebbe alcuna risposta. Poco tempo dopo Achille Toro affidò alla Finanza l'indagine e le Fiamme gialle si limitarono ad effettuare verifiche fiscali e societarie, alcune delle quali non vennero mai chiuse e così l'inchiesta si arenò. Forse perché al servizio di Anemone c'era il finanziere Mario Pugliese che lavorava in un ufficio del Comando generale della Guardia di finanza, il maresciallo Marco Piunti, o il generale Francesco Pittorru, adesso nell'intelligence. Tutti avrebbero ottenuto qualcosa dalla banda, tutti sono stati intercettati con Anemone. Ma c'erano anche militari della Fiamme gialle disposti a condurre interrogatori amichevoli ai collaboratori di Anemone chiamati a rendere dichiarazioni sulle verifiche fiscali, "intrattenendoli" negli uffici investigativi solo "con qualche barzelletta", senza fare domande scomode. Tutti questi retroscena sono stati registrati dai carabinieri del Ros di Firenze che hanno avviato l'indagine sulla cricca.
I microfoni degli investigatori hanno intercettato anche il momento in cui il 14 ottobre 2008 i finanzieri scoprivano in un computer di Anemone la lista con i 412 casi in cui l'impresa è intervenuta per eseguire lavori nelle abitazioni di politici, investigatori (molti ufficiali della Finanza), funzionari dello Stato e giornalisti. L'elenco dei nomi è comparso solo adesso ed è stato lanciato sulle pagine di molti giornali mettendo insieme situazioni sospette con quelle regolari: nella lista ci sono ospiti di alloggi di servizio ristrutturati a carico dell'istituzione di appartenenza o personalità che hanno pagato per l'intervento dell'impresa edile. Una fuga di notizie apparsa particolarmente anomala: gli investigatori sospettano che si tratti di "un'operazione mediatica per tirare dentro un po' tutti". Un sospetto condiviso dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo. Che in un'intervista a "Libero" ha poi allargato l'analisi: "Il dato più preoccupante è che ci sono profondi contrasti tra maggioranza e maggioranza, contrasti molto forti che portano alla luce situazioni da accertare penalmente e che se fossero vere sarebbero molto preoccupanti".
Come le indagini insabbiate negli scorsi anni, anche la bufera mediatica viene letta dagli inquirenti come un metodo per depistare e proteggere il nocciolo duro del sistema di corruzione. Perché di sicuro alle squadre di investigatori che cercano di far luce sui reati si oppongono altri uomini dello Stato che hanno operato e forse operano per evitare che l'istruttoria vada avanti. Lo fanno per proteggere i propri interessi o per coprirne altri. Ma è proprio per questo che i pm ora puntano a identificare questi "complici istituzionali". Prima che riescano ancora una volta a fermare l'inchiesta o a farla affondare in un calderone di sospetti.
(di Lirio Abbate - l'Espresso)
La saletta del ristorante è appartata, nascosta agli sguardi dei clienti che prendono posto attorno a tavoli rotondi apparecchiati con raffinatezza. È una sera di ottobre di due anni fa, e mentre fuori piove, nella zona riservata di un locale di Roma due imprenditori stringono accordi "scellerati" con un ufficiale della Guardia di finanza. Seduti davanti ai piatti ci sono tre persone: un pezzo della "cricca" formato da Diego Anemone e Piero Murino e un finanziere. Anemone è una delle figure chiave, il fulcro delle inchieste condotte dalle Procure di Firenze e Perugia sugli appalti per i Grandi eventi: dai Mondiali di nuoto di Roma al G8 della Maddalena, fino alle opere per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Murino è uno degli imprenditori inseriti negli appalti della Maddalena. I due sono amici e condividono lo stesso linguaggio cifrato: chiamano "brochure" le buste che contengono le mazzette di banconote destinate alle tangenti. Ed entrambi per proteggere le loro attività illecite si affidano a investigatori infedeli, a cui versano grosse somme di denaro. Sembra di vederli i tre seduti a tavola che mangiano, bevono e ogni tanto sorridono alle battute che fa l'ufficiale. È proprio indagando su Anemone che i carabinieri del Ros scoprono questo convivio molto riservato, ma ignorano chi sia il terzo uomo. Solo in un secondo momento le intercettazioni svelano la qualifica del commensale: è un finanziere, uno di quelli importanti che avrebbe un ruolo di coordinamento operativo nella capitale, ma di cui non viene fatto mai il nome.
Adesso sono state avviate indagini per scoprire l'identità di questo ufficiale: gli inquirenti ritengono che sia un tassello fondamentale nell'inchiesta dei pm di Firenze e Perugia. Un'istruttoria nella quale affiorano finanzieri corrotti che spifferano notizie riservate o sono pronti a pilotare indagini, tutto con un unico obiettivo: tutelare gli affari di Anemone. Perché le coperture di questo imprenditore che fatturava 85 milioni di euro all'anno, eseguendo in gran parte lavori tutelati dal segreto di Stato, erano vastissime. Al punto da impedire che una verifica fiscale di routine, avviata il 14 ottobre 2008, creasse problemi al costruttore e agli altri componenti della "cricca". I documenti sequestrati due anni fa dai finanzieri incaricati di quel controllo tributario dimostrerebbero il coinvolgimento di politici, investigatori infedeli e funzionari dello Stato in casi di corruzione. Già all'epoca, ben prima che i cantieri della Maddalena venissero ultimati, si sarebbe potuto scoprire che la moglie di Guido Bertolaso, il capo della Protezione civile indagato a Perugia, e suo cognato, Francesco Piermarini, incassavano somme di denaro dal gruppo Anemone. E lo avevano fatto a partire dal 2004, creando una sorta di conflitto di interessi, visto che molti lavori sono stati affidati dalla Protezione Civile all'imprenditore indagato. Negli archivi sequestrati dai finanzieri in quell'ispezione fiscale sono state trovate le fatture della famiglia Bertolaso: ma questi documenti sono stati recuperati solo due anni dopo l'inizio della verifica tributaria e subito dopo il trasferimento dell'inchiesta sulla "cricca" da Firenze a Perugia.
Nelle carte sequestrate nel 2008 c'era già tutto. Le Fiamme gialle avrebbero avuto pure la possibilità di far luce sulle operazioni bancarie sospette, quelle che ora hanno permesso di scoprire gli assegni usati per acquistare la casa di Claudio Scajola, i due appartamenti di un generale della Finanza adesso al servizio segreto civile, quello del figlio dell'ex ministro Pietro Lunardi e un altro della figlia del braccio destro del ministro Altero Matteoli. E nei faldoni rimasti chiusi negli armadi ci sono le tracce di decine di conti correnti ancora da esaminare, con bonifici e pagamenti che potrebbero svelare nuovi casi di corruzione.
Insomma, una bomba che già nell'autunno 2008 avrebbe potuto mettere in crisi il neonato governo Berlusconi, coinvolgendo ministri di punta. Adesso gli inquirenti che indagano sul "terzo commensale" in uniforme hanno il sospetto che l'inchiesta possa essere stata ostacolata dall'esterno e deviata su altre strade per evitare che raggiungesse il cuore della ragnatela creata da Anemone. Un sistema di malaffare difeso da un cordone di protezione così potente da impedire anche un'istruttoria dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico, l'unità guidata dal colonnello Sergio De Caprio, meglio conosciuto come il capitano Ultimo che mise le manette ai polsi di Totò Riina.
Due anni fa i militari dell'Arma avevano avviato indagini in Sardegna su Diego Anemone, Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro Dellagiovanpaola, ma vennero bloccati - secondo i magistrati di Perugia - dall'allora procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, oggi in pensione dopo che i pm lo hanno accusato di essere stato la talpa di Balducci & c.
Il Noe chiese più volte alla Procura di poter intercettare gli imprenditori per proseguire l'indagine, ma la richiesta non ebbe alcuna risposta. Poco tempo dopo Achille Toro affidò alla Finanza l'indagine e le Fiamme gialle si limitarono ad effettuare verifiche fiscali e societarie, alcune delle quali non vennero mai chiuse e così l'inchiesta si arenò. Forse perché al servizio di Anemone c'era il finanziere Mario Pugliese che lavorava in un ufficio del Comando generale della Guardia di finanza, il maresciallo Marco Piunti, o il generale Francesco Pittorru, adesso nell'intelligence. Tutti avrebbero ottenuto qualcosa dalla banda, tutti sono stati intercettati con Anemone. Ma c'erano anche militari della Fiamme gialle disposti a condurre interrogatori amichevoli ai collaboratori di Anemone chiamati a rendere dichiarazioni sulle verifiche fiscali, "intrattenendoli" negli uffici investigativi solo "con qualche barzelletta", senza fare domande scomode. Tutti questi retroscena sono stati registrati dai carabinieri del Ros di Firenze che hanno avviato l'indagine sulla cricca.
I microfoni degli investigatori hanno intercettato anche il momento in cui il 14 ottobre 2008 i finanzieri scoprivano in un computer di Anemone la lista con i 412 casi in cui l'impresa è intervenuta per eseguire lavori nelle abitazioni di politici, investigatori (molti ufficiali della Finanza), funzionari dello Stato e giornalisti. L'elenco dei nomi è comparso solo adesso ed è stato lanciato sulle pagine di molti giornali mettendo insieme situazioni sospette con quelle regolari: nella lista ci sono ospiti di alloggi di servizio ristrutturati a carico dell'istituzione di appartenenza o personalità che hanno pagato per l'intervento dell'impresa edile. Una fuga di notizie apparsa particolarmente anomala: gli investigatori sospettano che si tratti di "un'operazione mediatica per tirare dentro un po' tutti". Un sospetto condiviso dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo. Che in un'intervista a "Libero" ha poi allargato l'analisi: "Il dato più preoccupante è che ci sono profondi contrasti tra maggioranza e maggioranza, contrasti molto forti che portano alla luce situazioni da accertare penalmente e che se fossero vere sarebbero molto preoccupanti".
Come le indagini insabbiate negli scorsi anni, anche la bufera mediatica viene letta dagli inquirenti come un metodo per depistare e proteggere il nocciolo duro del sistema di corruzione. Perché di sicuro alle squadre di investigatori che cercano di far luce sui reati si oppongono altri uomini dello Stato che hanno operato e forse operano per evitare che l'istruttoria vada avanti. Lo fanno per proteggere i propri interessi o per coprirne altri. Ma è proprio per questo che i pm ora puntano a identificare questi "complici istituzionali". Prima che riescano ancora una volta a fermare l'inchiesta o a farla affondare in un calderone di sospetti.
(di Lirio Abbate - l'Espresso)
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