(di Marco Damilano - l'Espresso)
Il Capo tace, le truppe scalpitano. Silvio Berlusconi si prepara all'ennesima metamorfosi. Ha fatto due scoperte importanti: la crisi economica c'è, altro che ottimismo e pubblicità in risalita, come aveva vantato appena un mese fa alla convention della Confindustria di Parma. E la questione morale esiste: ladri di polli, mele marce, meschini che hanno abusato della fiducia del Cavaliere, non sanno più come definirli i giornali fedeli, intenti a costruire la nuova immagine del premier anti-corrotti.
Ecco la nuova capriola di palazzo Grazioli, la più spericolata: appellarsi all'opinione pubblica come il presidente dell'unità nazionale, trasformare il governo Bondi-Brambilla in un gabinetto di crisi da lacrime e sangue modello Grecia e implacabile con i corrotti. Mossa utile per chiudere anche la resa dei conti nel centrodestra: mettere a tacere le richieste della Lega sempre più insistenti, riportare Gianfranco Fini e i ribelli del Pdl nei ranghi, aprire la stagione della mano tesa verso l'Udc di Pier Ferdinando Casini, il figliol prodigo in odore di ritorno a casa.
Ma questo non è il momento dell'azione, è ancora il tempo della sospensione che in politica accompagna le grandi svolte o le crisi inarrestabili. Attesa di una manovra economica pesante, molto più gravosa di ogni previsione, che aumenta di entità di giorno in giorno e che mette a rischio la tenuta del governo impossibilitato a procedere con i capisaldi del suo programma: l'abbassamento della pressione fiscale e il federalismo. Con le cifre reali e l'elenco delle misure in mano a Giulio Tremonti, sempre più premier-ombra. E attesa di colpi di scena dalle procure, le inchieste, i boatos che rimbalzano senza controllo dai palazzi romani a Firenze, a Perugia, e ritornano a Roma, nell'ex porto delle nebbie di piazzale Clodio, con la sensazione di essere tornati all'epoca degli scontri tra apparati dello Stato. Pezzi di servizi contro pezzi di servizi. E settori della maggioranza contro altri settori della maggioranza che armano la mano delle toghe, strumentalizzano le indagini, cucinano per la stampa le polpette avvelenate, come ha denunciato il pm dei casi più delicati, il magistrato Giancarlo Capaldo, in una clamorosa intervista a "Libero".
Parlamento ridotto a una macchina costosissima e senza benzina. Governo Berlusconi in picchiata nei sondaggi, di credibilità e di fiducia. È il grande vuoto della primavera 2010. Il vuoto di governo, il vuoto della politica che misura quanto sia profondo il Buco. Il rischio default dello Stato, dopo due anni spesi a negare perfino l'esistenza della crisi e le sue devastanti conseguenze sociali, con l'operazione salvataggio che avrà un prezzo salatissimo. E la voragine dell'etica pubblica di un'intera classe dirigente, politici e alti burocrati, grand commis in abito scuro o con la maglietta bordata tricolore della Protezione civile, con uno dei triumviri che dirigono il primo partito italiano, il deputato Denis Verdini, diviso a metà tra le nomine nelle giunte regionali e la presidenza di una banca di credito dedita ai suoi traffici e ai suoi affari. Simbolo del conflitto di interessi che ormai ha invaso ogni settore.
Una nube che blocca il Paese. Una marea nera che avvolge il Palazzo ormai sospeso nel nulla. Incredibile lo scenario che martedì 18 maggio si presenta a Montecitorio: il corridoio dei Passi perduti, mai così degno della sua triste fama, trasformato in una gigantesca sala d'attesa, con i deputati prigionieri dell'aeroporto come nel film "Terminal". Trolley abbandonati all'ingresso dell'aula, svacco sulle poltrone, fumatori in crisi di astinenza, inutilità, noia. Il tabellone fin dalla mattina segnala che la seduta riprenderà alle cinque del pomeriggio, all'ora del tè. Gli onorevoli tornano svogliatamente ai loro scranni in aula, infatti, ma solo per rinviare in pochi istanti in commissione il testo in esame, un disegno di legge sulla semplificazione della pubblica amministrazione. Un gioco dell'oca che condanna la Camera a un estenuante stop and go. [...]
Non è facile per il Cavaliere del sorriso e del sole in tasca travestirsi in un intransigente cacciatore di sprechi. Con la stampa filo-Cavaliere che ricorre ai salti mortali per giustificare la fine del miracolo: dall'Italia unico Paese fuori dalla crisi alla stretta su pensioni e stipendi. "Caro Tremonti, ora taglia le tasse", ordinava Maurizio Belpietro su "Libero" (22 ottobre 2009): "La crisi internazionale ha fatto rinviare ogni decisione, ma ora bisogna riprendere in mano la questione". Titolo fotocopia sul "Giornale" di Vittorio Feltri, il giorno dopo: "Giù le tasse". Con un avvertimento: "Tremonti in bilico". Colpevole di restare inflessibile sulla linea del rigore nonostante l'avvenuta uscita dal tunnel della crisi. Ora gli stessi quotidiani sono in prima fila a reclamare tagli per i dipendenti pubblici e a sbattere in prima pagina l'indigesta parola tornata di moda. Sacrifici.
Sacrifici e corruzione: il mix crisi economica e crollo morale che nel '92-93 segnò la fine traumatica della prima Repubblica. Un senso di precarietà e di incertezza che accompagna anche la più vacua delle serate: per esempio quella organizzata dal sindaco di Milano Letizia Moratti a Roma, poche decine di invitati rigorosamente a porte chiuse presso l'ambasciata italiana presso la Santa Sede per presentare l'Expo alle alte gerarchie ecclesiastiche, ospite d'onore il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. In un altro momento sarebbe stata una festa, ma tra i presenti l'argomento che tiene banco sono le ultime notizie sulla cricca Balducci-Anemone che in quegli ambienti era di casa.
Come se non bastasse, c'è il partito di maggioranza, il Pdl, senza guida e senza regia. Con i notabili locali ai ferri corti che si mettono in proprio. Rissa nella pacifica Bolzano con schiaffi e pugni tra due candidati e successiva sconfitta elettorale. Nel Lazio di Renata Polverini i pidiellini di Frosinone, esclusi dalla giunta, minacciano la secessione della Provincia dalla regione. Un'ideona, devono aver pensato i cugini del Pdl di Benevento, anche loro restati a bocca asciutta nella giunta di Stefano Caldoro, che minacciano un referendum per traslocare il Sannio dalla Campania al Molise. In Sicilia, invece di dividere la regione hanno scisso il partito: due Pdl, uno con Raffaele Lombardo, l'altro contro.
In questo caos per Berlusconi è una necessità assoluta cambiare passo. Le riforme costituzionali, sbandierate dal premier il 25 aprile a reti unificate, sono sparite dall'agenda. Ora c'è la crisi che detta tutte le scelte, anche quelle di bassa cucina politica. Per Fini il tempo dei sacrifici consente di rientrare a testa alta nel Pdl, "non lo fa per Berlusconi, lo fa per il Paese", traducono aulici i suoi, con la rilassatezza dello scampato pericolo: dovevano essere espulsi come dissidenti, rimarranno al loro posto. Per Casini è il momento della verità: a Todi ha convocato gli stati maggiori dei centristi per cambiare marchio, da Udc a Partito della Nazione. E il corteggiamento delle sirene berlusconiane è molto concreto: come dimostra il posto da ministro libero dopo le dimissioni di Claudio Scajola. Ma Pier ha bisogno di un fatto politico per non dare l'impressione di accodarsi. La presa d'atto del Cavaliere che la maggioranza e il programma del 2008 non ci sono più e che si volta pagina. Deve essere per questo che la Lega di Umberto Bossi comincia a dare segni di impazienza: il federalismo fiscale si allontana, al suo posto è in arrivo una manovra durissima che colpirà gli elettori del Nord.
All'ombra dell'unità nazionale ognuno si mette in proprio. Perché nessuno, in questa situazione, può sapere cosa ci sarà domani. Neppure Berlusconi, che spera di sopravvivere alla doppia bufera economica e etica e restare l'unico in piedi. Una piroetta riuscita più volte alla perfezione. Ma con l'incubo che, questa volta, nel Buco possa finire inghiottito lui.
Il Capo tace, le truppe scalpitano. Silvio Berlusconi si prepara all'ennesima metamorfosi. Ha fatto due scoperte importanti: la crisi economica c'è, altro che ottimismo e pubblicità in risalita, come aveva vantato appena un mese fa alla convention della Confindustria di Parma. E la questione morale esiste: ladri di polli, mele marce, meschini che hanno abusato della fiducia del Cavaliere, non sanno più come definirli i giornali fedeli, intenti a costruire la nuova immagine del premier anti-corrotti.
Ecco la nuova capriola di palazzo Grazioli, la più spericolata: appellarsi all'opinione pubblica come il presidente dell'unità nazionale, trasformare il governo Bondi-Brambilla in un gabinetto di crisi da lacrime e sangue modello Grecia e implacabile con i corrotti. Mossa utile per chiudere anche la resa dei conti nel centrodestra: mettere a tacere le richieste della Lega sempre più insistenti, riportare Gianfranco Fini e i ribelli del Pdl nei ranghi, aprire la stagione della mano tesa verso l'Udc di Pier Ferdinando Casini, il figliol prodigo in odore di ritorno a casa.
Ma questo non è il momento dell'azione, è ancora il tempo della sospensione che in politica accompagna le grandi svolte o le crisi inarrestabili. Attesa di una manovra economica pesante, molto più gravosa di ogni previsione, che aumenta di entità di giorno in giorno e che mette a rischio la tenuta del governo impossibilitato a procedere con i capisaldi del suo programma: l'abbassamento della pressione fiscale e il federalismo. Con le cifre reali e l'elenco delle misure in mano a Giulio Tremonti, sempre più premier-ombra. E attesa di colpi di scena dalle procure, le inchieste, i boatos che rimbalzano senza controllo dai palazzi romani a Firenze, a Perugia, e ritornano a Roma, nell'ex porto delle nebbie di piazzale Clodio, con la sensazione di essere tornati all'epoca degli scontri tra apparati dello Stato. Pezzi di servizi contro pezzi di servizi. E settori della maggioranza contro altri settori della maggioranza che armano la mano delle toghe, strumentalizzano le indagini, cucinano per la stampa le polpette avvelenate, come ha denunciato il pm dei casi più delicati, il magistrato Giancarlo Capaldo, in una clamorosa intervista a "Libero".
Parlamento ridotto a una macchina costosissima e senza benzina. Governo Berlusconi in picchiata nei sondaggi, di credibilità e di fiducia. È il grande vuoto della primavera 2010. Il vuoto di governo, il vuoto della politica che misura quanto sia profondo il Buco. Il rischio default dello Stato, dopo due anni spesi a negare perfino l'esistenza della crisi e le sue devastanti conseguenze sociali, con l'operazione salvataggio che avrà un prezzo salatissimo. E la voragine dell'etica pubblica di un'intera classe dirigente, politici e alti burocrati, grand commis in abito scuro o con la maglietta bordata tricolore della Protezione civile, con uno dei triumviri che dirigono il primo partito italiano, il deputato Denis Verdini, diviso a metà tra le nomine nelle giunte regionali e la presidenza di una banca di credito dedita ai suoi traffici e ai suoi affari. Simbolo del conflitto di interessi che ormai ha invaso ogni settore.
La fiducia nel premier e nel sui governo
(Sett. 09 - Mag. 10)
(Sett. 09 - Mag. 10)
Una nube che blocca il Paese. Una marea nera che avvolge il Palazzo ormai sospeso nel nulla. Incredibile lo scenario che martedì 18 maggio si presenta a Montecitorio: il corridoio dei Passi perduti, mai così degno della sua triste fama, trasformato in una gigantesca sala d'attesa, con i deputati prigionieri dell'aeroporto come nel film "Terminal". Trolley abbandonati all'ingresso dell'aula, svacco sulle poltrone, fumatori in crisi di astinenza, inutilità, noia. Il tabellone fin dalla mattina segnala che la seduta riprenderà alle cinque del pomeriggio, all'ora del tè. Gli onorevoli tornano svogliatamente ai loro scranni in aula, infatti, ma solo per rinviare in pochi istanti in commissione il testo in esame, un disegno di legge sulla semplificazione della pubblica amministrazione. Un gioco dell'oca che condanna la Camera a un estenuante stop and go. [...]
Non è facile per il Cavaliere del sorriso e del sole in tasca travestirsi in un intransigente cacciatore di sprechi. Con la stampa filo-Cavaliere che ricorre ai salti mortali per giustificare la fine del miracolo: dall'Italia unico Paese fuori dalla crisi alla stretta su pensioni e stipendi. "Caro Tremonti, ora taglia le tasse", ordinava Maurizio Belpietro su "Libero" (22 ottobre 2009): "La crisi internazionale ha fatto rinviare ogni decisione, ma ora bisogna riprendere in mano la questione". Titolo fotocopia sul "Giornale" di Vittorio Feltri, il giorno dopo: "Giù le tasse". Con un avvertimento: "Tremonti in bilico". Colpevole di restare inflessibile sulla linea del rigore nonostante l'avvenuta uscita dal tunnel della crisi. Ora gli stessi quotidiani sono in prima fila a reclamare tagli per i dipendenti pubblici e a sbattere in prima pagina l'indigesta parola tornata di moda. Sacrifici.
Sacrifici e corruzione: il mix crisi economica e crollo morale che nel '92-93 segnò la fine traumatica della prima Repubblica. Un senso di precarietà e di incertezza che accompagna anche la più vacua delle serate: per esempio quella organizzata dal sindaco di Milano Letizia Moratti a Roma, poche decine di invitati rigorosamente a porte chiuse presso l'ambasciata italiana presso la Santa Sede per presentare l'Expo alle alte gerarchie ecclesiastiche, ospite d'onore il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. In un altro momento sarebbe stata una festa, ma tra i presenti l'argomento che tiene banco sono le ultime notizie sulla cricca Balducci-Anemone che in quegli ambienti era di casa.
Come se non bastasse, c'è il partito di maggioranza, il Pdl, senza guida e senza regia. Con i notabili locali ai ferri corti che si mettono in proprio. Rissa nella pacifica Bolzano con schiaffi e pugni tra due candidati e successiva sconfitta elettorale. Nel Lazio di Renata Polverini i pidiellini di Frosinone, esclusi dalla giunta, minacciano la secessione della Provincia dalla regione. Un'ideona, devono aver pensato i cugini del Pdl di Benevento, anche loro restati a bocca asciutta nella giunta di Stefano Caldoro, che minacciano un referendum per traslocare il Sannio dalla Campania al Molise. In Sicilia, invece di dividere la regione hanno scisso il partito: due Pdl, uno con Raffaele Lombardo, l'altro contro.
In questo caos per Berlusconi è una necessità assoluta cambiare passo. Le riforme costituzionali, sbandierate dal premier il 25 aprile a reti unificate, sono sparite dall'agenda. Ora c'è la crisi che detta tutte le scelte, anche quelle di bassa cucina politica. Per Fini il tempo dei sacrifici consente di rientrare a testa alta nel Pdl, "non lo fa per Berlusconi, lo fa per il Paese", traducono aulici i suoi, con la rilassatezza dello scampato pericolo: dovevano essere espulsi come dissidenti, rimarranno al loro posto. Per Casini è il momento della verità: a Todi ha convocato gli stati maggiori dei centristi per cambiare marchio, da Udc a Partito della Nazione. E il corteggiamento delle sirene berlusconiane è molto concreto: come dimostra il posto da ministro libero dopo le dimissioni di Claudio Scajola. Ma Pier ha bisogno di un fatto politico per non dare l'impressione di accodarsi. La presa d'atto del Cavaliere che la maggioranza e il programma del 2008 non ci sono più e che si volta pagina. Deve essere per questo che la Lega di Umberto Bossi comincia a dare segni di impazienza: il federalismo fiscale si allontana, al suo posto è in arrivo una manovra durissima che colpirà gli elettori del Nord.
All'ombra dell'unità nazionale ognuno si mette in proprio. Perché nessuno, in questa situazione, può sapere cosa ci sarà domani. Neppure Berlusconi, che spera di sopravvivere alla doppia bufera economica e etica e restare l'unico in piedi. Una piroetta riuscita più volte alla perfezione. Ma con l'incubo che, questa volta, nel Buco possa finire inghiottito lui.
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