"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
La polemica sull'uso delle manette nelle "traduzioni" in tribunale dei detenuti è scoppiata, in 17 anni, solo due volte: giugno 2010 (caso De Santis), e marzo 1993 (caso dell'On. Enzo Carra). Fra i due casi sono trascorsi oltre 17 anni. Quanti detenuti sono stati "tradotti", in 17 anni? Nessuno ha dati precisi un materia, ma un'idea ce la siamo fatta pescando fortunosamente un rapporto del 1997 della [Polizia Penitenziaria], dal quale apprendiamo che fra il 1° aprile e il 31 Ottobre sono state "tradotte" 24.332 persone. Estrapolando, stimiamo 42.000 persone su base annuale, e oltre 700.000 in 17 anni. Fra queste, l'8,3% riguardavano traduzioni di fermati davanti al GIP, per la eventuale convalida di una richiesta di arresto.
Ebbene: 700.000 traduzioni; è ipotizzabìile che alcune centinaia di migliaia abbiano riguardato non già pericolosi sovversivi, rapinatori ed assassini incalliti, pazzi scatenati, ma poveracci imputati di reati lievi, o addirittura di fermati in attesa di convalida o meno dell'arresto, che mai e poi mai si sarebbero sognati di ingaggiare colluttazioni, aprire portiere di auto in corsa, tentare improbabili fughe. Quanti fra di loro sono stati "tradotti in manette"? Non lo sappiamo, ma siamo sempre nell'ordine di centinaia di migliaia.
Quante volte sono scesi in campo gli indignati speciali? DUE. Non duecentomila, non 2000. DUE. "2". Nel caso di Enzo Carra, e nel caso di De Santis. Con tanti, affettuosi saluti all'articolo 3 della Costituzione, e a quella ridicola scritta che campeggia nelle aule dei tribunale:
"LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI"
La legge è uguale per tutti, ma, come si sa, per alcuni è un po' più uguale. senatori, deputati, europarlamentari, membri del governo, alte cariche dello Stato, tutti dotati di una legge un po' più uguale. "Lodi" attuati o fortemente tentati, Tribunale dei Ministri, Giunta per le Autorizzazioni, e via equalizzando.
E veniamo alla legge sulle traduzioni, così smettiamo di farci le pugnette, e cerchiamo di entrare nel merito dei fatti. Le norme relative alle "traduzioni" (ma perchè cazzo non dicono "trasferimenti"?) sono regolate dall'art. 42/bis aggiunto nel 1992 alla legge 364 del 1975. Cosa dice, il 42/bis:
1. Sono traduzioni tutte le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque in condizione di restrizione della libertà personale.
2. Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti sono eseguite, nel tempo più breve possibile, dal Corpo di Polizia Penitenziaria, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti e, se trattasi di donne, con l’assistenza di personale femminile [...]
3. Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi. L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari (...ossignur... com'è volutamente generica, questa "minaccia"...)
4. Nelle traduzioni individuali l’uso delle manette ai polsi è obbligatorio quando lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. In tutti gli altri casi l’uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato. Nel caso di traduzioni individuali di detenuti o internati la valutazione della pericolosità del soggetto o del pericolo di fuga è compiuta, all’atto di disporre la traduzione, dall’autorità giudiziaria o dalla direzione penitenziaria competente, le quali dettano le conseguenti prescrizioni.
5. Nelle traduzioni collettive è sempre obbligatorio l’uso di manette modulari multiple dei tipi definiti con decreto ministeriale. È vietato l’uso di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica.
6. Nelle traduzioni individuali e collettive è consentito, nei casi indicati dal regolamento, l’uso di abiti civili. Le traduzioni dei soggetti di cui al comma 3 sono eseguite, di regola, in abiti civili.
Questo articolo è un bellissimo riassunto dell'ambiguità di uno Stato che non vuole assumersi responsabilità, e che vuole lasciarsi sempre aperta la possibilità di scaricare le colpe di comportamenti censurabili sull'ultimo anello della catena, o sul più debole di essi. Le leggi fatte e scritte bene sono quelle che si possono APPLICARE, e basta. Le leggi scritte o fatte male sono le altre. Quelle che necessitano di "regolamenti", di circolari interpretative, o che delegano ai poveracci scelte dolorose, finali. Se non succede niente, ha vinto lo Stato; se qualcosa va storta, c'è sempre un usciere, un bidello, un agente di custodia sul quale scaricare la colpa.
Prendete l'art. 3, dove si parla di "opportune cautele": è così dificile definire quali debbano essere? Per esempio, far arrivare il cellulare, con vetri oscurati, fino ad un cortile interno del tribunale, nel quale è vietato l'accesso ai fotografi ed ai giornalisti? Oppure è "opportuna cautela" il consentire al "tradotto" di mettersi gli atti giudiziari davanti alla faccia - atto che lo costringe a sollevare "in favore di telecamera" i polsi ammanettati?
Prendete l'art. 4: la valutazione del soggetto è demandata all'autorità giudiziaria "o" alla direzione penitenziaria. Questo fantastico articolo non spiega cosa succede in caso di opinioni contrastanti delle due "autorità". Si annulla la "traduzione"? Si tira a sorte? Ci si gioca il potere decisionale in una partita a briscola? Si fa a cazzotti? Non è dato sapere. Ma ancora: una volta "demandato" a qualcuno un certo potere decisionale, o lo si inquadra entro criteri di riferimento oggettivi e non equivoci, o ci si astiene, a posteriori, dal criticare una decisione affidata PER LEGGE a queste figure.
L'art. 6 poi tratta dell'inutile. Come dovrebbe essere "tradotto", il soggetto, se non in abiti civili? Gli mettiamo il pigiama a strisce con numero di matricola sul petto, catena e sfera di biombo alla caviglia, come nei fumetti della Banda Bassotti?
Ma torniamo alle cose serie. L'uso (o il divieto) delle manette sono di fatto delegati al giudizio di persone. I criteri oggettivi per determinare la pericolosità dei "tradotti" non sono indicati. Da cosa si misura? Dalla massa corporea? dalla nazionalità? dall'aspetto più o meno pacioso? dalla quantità di peli sugli avambracci? da un curriculum giudiziario pregresso, che nella maggioranza dei casi non esiste? Dal confronto con le foto del Lombroso? Non scherziamo. Se la legge fa schifo, la si cambi. Se i criteri di pericolosità non sono definiti, li si definisca. Ma un principio irrinunciabile di civiltà giuridica dice che le leggi, anche se fanno schifo, finchè restano in vigore, vanno applicate.Che si tratti di un borsaiolo, di un onorevole, o di un mazzettaro d'alto lignaggio.
E veniamo alla privacy. Il 2 luglio 1997 il Garante della privacy ha espresso [le seguenti valutazioni]:
"Nella riunione del 2 luglio 1997, il Garante ha espresso le seguenti valutazioni relative alla salvaguardia della dignità e della riservatezza degli indagati e degli imputati:
La prima riguarda il richiamo al rispetto della legge n. 492 del 1992 che vieta, salvo nei casi di pericolosità del soggetto o di pericolo di fuga o di circostanze che rendono difficile la traduzione, l'uso delle manette ai polsi.
Roma, 2 luglio 1997 - Il Garante
Ben detto. Ma il Garante, vista la tendenza italiana a suddividere i cittadini in serie A e serie B, bene avrebbe fatto, anche se la cosa potrebbe apparire superflua, a ricordare, contestualmente, il magnifico art. 3 della Costituzione Italiana. Insomma, non ricordiamo che il Garante abbia espresso analoghe valutazioni quando ad essere riproposte ossessivamente sui media furono le immagini di un presunto stupratore romeno, poi risultato assolutamente estraneo ai fatti.
Anche adesso, come ci informa [lìUnità],
"...il Garante invita «tutti i media al più rigoroso rispetto delle norme, e alla salvaguardia della dignità personale, anche per evitare all'Autorità di dover adottare i conseguenti provvedimenti in caso di mancato adempimento».
E i tg Rai sembrano per primi allinearsi all'invito facendo dire a Enzo Carra, esponente Udc che ai tempi di Tangentopoli fu al centro del caso che aprì la discussione sulle «manette-spettacolo»: «Salutiamo con favore la correttezza dei telegiornali del servizio pubblico radiotelevisivo che, facendo tesoro della dolorosa e vergognosa esperienza del passato, hanno assunto, seppur con modalità diverse, una forte presa di posizione contro le orride sequenze di un cittadino ammanettato».
E qui, siamo spiacenti, ma il Garante si produce in una pisciatina fuori dal vaso, perchè compito dei TG del servizio pubblico non è quello di "assumere forti prese di posizione" pro o contra, ma di dare le notizie. Con completezza. Con obiettività. Non spettano ai TG le valutazioni valoriali sulle decisioni assunte dall'autorità giudiziaria, o dalla polizia penitenziaria, sulle modalità di "traduzione" di un detenuto. Leggiamo sempre sul citato articolo dell'Unità:
"...ma dal Tg2, a parziale smentita, arriva la dichiarazione pubblica del direttore Mario Orfeo, che invece nell'edizione delle 13 quelle immagini le ha mandate in onda come «un atto di denuncia». «Abbiamo deciso di farlo nell'edizione delle 13, la nostra più seguita, perchè ci sembrava il modo più forte per denunciare un abuso e una mortificazione della dignità umana», sottolinea Orfeo. «E una volta tanto - spiega ancora il direttore - non lo abbiamo raccontato solo come un fatto di cronaca. Il titolo di copertina era: 'Inchiesta grandi appalti e la gogna della manette».
Anche Orfeo, direttore del TgDux, piscia fuori dal vaso, e lo fa per ben tre volte:
-1) una prima volta, quando si arroga il diritto di denunciare "un abuso", poichè non tocca assolutamente a lui valutare se si tratti o meno di "abuso";
-2) la seconda volta, quando per "denunciare un abuso", ne commette uno di sua scelta, violando scientemente la legge sulla privacy;
-3) la terza volta, quando mostra di non riuscire proprio a capire che questo "abuso" (se di "abuso" si tratta) avviene alcune decine di volte al giorno. Avviene sulla pelle di poveri cristi senza volto, senza nome, senza pedegree. Ma Orfeo, da buon post-democristiano, "denuncia" solo adesso che la cosa tocca De Santis, esattamente come altri, 17 anni fa, hanno "denunciato" solo quando è successo ad Enzo Carra.
Mario Orfeo: un uomo, un giornalista, un "indignato speciale".
Tafanus.
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