Fini non aveva messo in conto le auto blu, le poltrone, gli strapuntini. I colonnelli se ne vanno, e Fini scopre all'improvviso di essere solo. Fini è tornato comodo ai "colonnelli" finchè questi sono rimasti nella convinzione che solo lui, sdoganato personalmente da Berlusconi, potesse associare il partito (e le loro esimie chiappe), al distributore di poltrone, strapuntini ed auto blu. Poi, appena Fini ha preteso di avere delle opinioni all'interno del Partito del Predellino, Berlusconi ha "sciolto i cani": sono partiti gli attacchi dei suoi media, e i colonnelli hanno capito da che parte si deve stare, e come ci si deve comportare, per mantenere auto blu, scorta e poltrona.
Ora Berlusconi deve solo decidere quale sia il momento e il modo migliore di cacciare Fini e i suoi quattro caporali a calci in culo. Il monolitico Partito delle Libertà, ormai è ridotto ad una coalizione di tre partiti: il PdP (Partito del Padrone), che raccoglie gli italoforzuti storici, ex FI; il PdC (Partito dei Colonnelli), che raccoglie la crème della destra italiana (o Gasparri, i Matteoli, i La Rutta...); infine, i quattro spaesati gatti rimasti (ancora per quanto?) col perdente Fini.
Fini pensava di essere uno bravo, condizionante. Non aveva mai capito che nel Monòpoli della politica italiana "...tu nella vita comandi fino a quando, c'hai stretto in mano il tuo telecomando..."
Ora la penna velenosa di [Alessandra Longo] descrive, su Repubblica, la "Notte dei Lunghi Colonnelli", e la fine della Gianfranco Story. Fine di tante erezioni di parte della sinistra, prematuramente arrapata all'idea che il maestro elementare Fini Gianfranco da Bologna, ex ragazzo-prodigio della politica italiana, davvero volesse e potesse risolvere i problemi della sinistra. I colonnelli hanno scelto il telecomando, l'auto blu e la poltrona, e Fini è rimasto con la sua "Fondazione", "Fare Finta di Fare Futuro", una innocua pistola ad acqua che hanno lasciato nella disponibilità di Gianfranco e di Flavia Perina, affinchè possano continuare a fingere di essere ancora in vita, e di contare ancora qualcosa. Tafanus
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"Guardateci: io, Altero, Maurizio, Gianni. An ci ha messo insieme ma non siamo mai stati tanto uniti come oggi!". Mai tanto uniti, esulta Ignazio La Russa. Mai tanto uniti come oggi che non c'è, guarda caso, Gianfranco Fini, né ci sono i suoi uomini e donne, Urso, Bocchino, Briguglio, Granata, la Bongiorno. Questo non lo dice, ovviamente, il ministro della Difesa. Ma l'aula magna del fascistissimo Palazzo dei Congressi di Roma strabocca di ex aennini finalmente "liberati" per sempre (o per parecchio) del loro già Capo, quello che li ha portati sin qui, incarichi di governo, fasce da sindaco, auto blu. Quello che adesso, con le sue idee spariglie, è vissuto come un ostacolo. Titolo della convention: "Più unito il Pdl, più forte l'Italia". In platea leggono tutti Libero, sostituisce il Secolo diretto dalla finiana Flavia Perina.
Qui, alla convention delle fondazioni dei già colonnelli, c'è l'immagine plastica della "contaminazione" berlusconiana. La miglior sintesi è del senatore Domenico Gramazio, un tempo detto "Er Pinguino": "La vera destra è con Berlusconi". Lassù, sul palco, al posto del presidente della Camera, ormai rimosso dai cuori, siede Fabrizio Cicchitto. Lo applaudono il doppio degli altri quando, a mezzogiorno, attacca Montezemolo, "le cricche e le caste" industriali ("Chi viene dalla Fiat non può farci lezioni sullo sfruttamento delle risorse pubbliche").
"Fabrizio" è uno di loro, molto più di "Gianfranco". E che dire di Sandro Bondi. Pessimi rapporti con il presidente della Camera, il che è quasi una medaglia. "Salutiamo Sandro con particolare affetto", scandisce La Russa, nelle consuete vesti di presentatore. E Sandro, voce flautata: "Non ci sono due destre nel partito, una greve, l'altra legalitaria. Ce n'è una sola". Quella di Berlusconi, della sua "grande leadership", sviolina Matteoli, in giornata no, causa verbali sugli appalti.
Applausi dunque a Sandro, giusto un po' tiepidi quando loda "i meriti di Denis" (Verdini), assente e pieno di grane giudiziarie. Convention degli anti-finiani? Ma quando mai. Qui sono tutti buonissimi, hanno messo Angiola Tatarella, vedova di Pinuccio, ministro dell'Armonia, al tavolo di presidenza. La Russa: "Nessuna prova di forza, nessun astio e rancore. La conta c'è già stata e i numeri sono davanti a tutti" (come dire: le truppe ce le abbiamo noi). E Alemanno: "A Gianfranco voglio bene". Gli vuole bene ma il sindaco di Roma, diventato improvvisamente nemico delle correnti, lui che ne aveva, dentro An, una potentissima, assesta il colpo lo stesso, indirettamente: "Siamo contrari ad ogni proposta di cittadinanza breve, è estranea alla nostra cultura, i popoli non si fanno con i pezzi di carta". Guarda caso è Fini ad insistere sulla cittadinanza breve. Ed è sempre Fini, pare, ad "aver cambiato idea sul '68", cosa che rattrista La Russa.
Mai tanto uniti, i colonnelli, nel parlar male di chi "insegue i dirimpettai della barricata", di chi, dice Gasparri, "prende troppe lodi dagli avversari e allora vuol dire che c'è qualcosa che non va". Ecco: anche Gasparri è conciliante: "Non siamo qui contro qualcuno o qualcosa, non vogliamo scorrimenti di sangue". Ironizzano in sala: "Visto il miracolo di Fini? Gasparri e Alemanno, gli arcinemici, si sorridono come due boyscout!".
Il fantasma dell'ex presidente di An aleggia al punto che Cicchitto si confonde, chiama Alemanno Gianfranco. La gente ride. Il lutto è ben che metabolizzato, avanti con il Pdl in salsa berlusconiana: "E' Fini che si è allontanato da noi, è lui che ha distrutto le nostre emozioni", certifica freddo Benito Paolone, tre legislature alle spalle. Lui, Fini, il fuori linea, come tutti quelli che "si preoccupano di piacere alla sinistra", sibila Daniela Santanché. "Esiste un problema - dice Quagliariello (Gaetano per gli amici del Palaeur) - inutile far finta di non vederlo. La vita delle istituzioni non deve essere sottoposta alle esigenze delle correnti". Insomma, guai a Fini se usasse la Camera per la sua battaglia. Quagliariello si congeda con un anatema contro Saviano, reo di occuparsi di intercettazioni. Parterre ormai distratto, è l'ora del buffet e dei tonnarelli.
Alla fine, trovano l'happening riuscito. E c'è chi vuole fare un rap dell'intervento di Giorgia Meloni, costruito parafrasando "Qualcuno era comunista" di Giorgio Gaber. "Qualcuno era di destra - recita la ministra - perché non sopportava la corruzione dei politici. Io dico: nessuna indulgenza per chi si arricchisce. Questa gente non ha nulla a che fare con noi". Pensando alla cronaca, giusto un filo di residuo imbarazzo missino, nella platea.A.L.
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