(di Salvo Palazzolo - Repubblica)
Nel caso Dell'Utri è considerato l'uomo chiave, Gaetano
Cinà: il "tramite" - come lo definisce la sentenza che l'ha condannato
in primo grado assieme al senatore di Forza Italia - "l'intermediario di
alto livello fra l'organizzazione mafiosa e gli ambienti
imprenditoriali del Nord". Ma lui non portava il doppiopetto. Per
trent'anni, il signor Gaetano Cinà (che è deceduto nel 2006, prima
dell'inizio del processo d'appello) ha lavorato nella piccola lavanderia
di famiglia, a pochi passi da dove fu assassinato il generale Carlo
Alberto dalla Chiesa, nel salotto buono di Palermo.
Solo quando
era ormai in pensione, tredici anni fa, venne arrestato con l'accusa di
essere l'influente padrino della famiglia di Malaspina che all'inizio
degli anni Settanta aveva fatto da tramite per l'arrivo del fattore-boss
Vittorio Mangano nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Racconta
il pentito Francesco Di Carlo che Cinà avrebbe anche accompagnato i
capimafia Stefano Bontade e Mimmo Teresi negli uffici milanesi della
Edilnord a un incontro con Dell'Utri e il costruttore Silvio Berlusconi,
all'epoca in cerca di "garanzie di tranquillità" per tirare su Milano
2. Di Carlo ricorda ancora Dell'Utri e Cinà insieme, nel 1980, alla
festa di matrimonio di un trafficante di droga, Girolamo Fauci, che si
tenne a Londra. A metà degli anni Ottanta, la voce di Cinà era stata
intercettata nel telefono di Dell'Utri, sotto controllo per ordine dei
magistrati di Milano che indagavano sul fallimento della Bresciano. E
anche queste intercettazioni fanno parte del processo al senatore di
Forza Italia.
Il Capodanno del 1987, alle 12,39 Cinà
telefona a Dell'Utri per fargli gli auguri (chiede anche: "Ma ne sai
niente se l'ha vista, almeno, la cassata?". In un'altra conversazione,
del dicembre 1986, Cinà aveva annunciato la spedizione di una cassata,
con il logo di canale 5, al Cavaliere)
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L'AUDIO
11 giugno 1988, Cinà ha ricevuto
una comunicazione giudiziaria ed è preoccupato. Chiama Dell'Utri, che
gli dice di venire a Milano
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L'AUDIO
8 luglio 1988, Cinà cambia tono.
Parla a Palermo con qualcuno rimasto senza nome e fissa un appuntamento
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L'AUDIO
Dell'Utri si è sempre difeso: "Cinà era
solo un caro amico, non sapevo delle sue frequentazioni con ambienti di
mafia". Cinà, dal canto suo, non ha mai partecipato a un'udienza del
processo. Non ha mai fatto alcuna dichiarazione in aula. Solo una volta
rispose, durante un interrogatorio in Procura nel corso delle indagini:
"Mio figlio giocava a calcio nella Bacigalupo, allenata da Dell'Utri. Io
stesso sono stato dirigente della squadra per dieci anni. È da allora
la mia grande amicizia con Dell'Utri, che io considero come un figlio".
Ma, paradosso dei paradossi, a mettere nei guai Dell'Utri e Cinà è arrivato nel processo di Palermo il verbale di un inaspettato testimone, Silvio Berlusconi. Nel 1987, quando ancora nessuno pensava al processo per mafia a carico di Dell'Utri, l'imprenditore diceva ai giudici di Milano a proposito dell'assunzione di un fattore: "Chiesi a Marcello di interessarsi. Lui mi presentò il signor Vittorio Mangano come persona a lui conosciuta, più precisamente conosciuta da un suo amico con cui si davano del tu, che da tempo conosceva e che aveva conosciuto sui campi di calcio della squadra Bacigalupo di Palermo, squadra di dilettanti". All'epoca, naturalmente, il nome di Cinà non aveva fatto capolino nelle carte giudiziarie. Oggi, dietro l'assunzione di Mangano ad Arcore i giudici di primo grado del processo Dell'Utri ritengono di aver trovato la prima intermediazione di Cinà.
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