Stefano Ricucci? Quasi Jean Paul Sartre. E dire che al tempo degli scandali delle scalate bancarie non pochi tormenti, ma anche molte risate certo, gli aveva procurato la metafora che oggi potremo considerare da Goncourt :"Stamo a fa' i froci con il culo degli altri". Dietro, è il caso di dirlo, c'era un che di zeitgeist, un che di filosofico. Nulla a che vedere con il lessico micidiale e scalcagnato, tra Mario Merola e Pappagone, delle intercettazioni telefoniche alla cosiddetta P3, ennesima cricca fra le varie cricche che governano l'Italia, inquietante comitato d'affari per pilotare nomine, di politici e giudici, per aggiudicarsi appalti e capitali, desolante campione del fallimento della scuola italiana dell'obbligo ("io ce lo dicette a Berlusconi" e sembra davvero una barzelletta).
Quindicimila pagine il rapporto dei carabinieri, denso di un lessico da Sud Story così caricaturale da apparire inverosimile se non comico, fatto di massime di venerati maestri ("Con la bocca si mangiano i maccheroni, diceva Totò": Però!), di soprannomi più borbonici che da Unione Europea ("Ho già chiamato a Fofò gli ho detto domani stongo da te" e Fofò non è mica uno qualunque, ma Alfonso Marra, presidente della Corte d'Appello di Milano), di un birignao molto in voga nelle bettole più trendy dell'Irpinia e del casertano ("Vuoi appiccià sto cazzo di telefono?", zufola Martino al sottosegretario Nicola Cosentino). Un salotto poco buono frequentato da sottosegretari, Giacomo Caliendo (alla Giustizia) e il suddetto Cosentino (all'Economia, costretto alle dimissioni dal governo ma non da coordinatore Pdl della Campania, salvato dal carcere grazie alla giunta della Camera dei Deputati) (...inclusi Fini e i suoi cari. .. NdR), da plenipotenziari cheeck to cheeck con il premier (Denis Verdini e Marcello Dell'Utri, presenzialista che non si perde nessuna inchiesta giudiziaria del paese) e altri galantuomini del ramo Pdl, tributaristi (Pasquale Lombardi), imprenditori (Arcangelo Martino).
Diranno in Padania, il solito meridione, la solita questione. Invece no. Anche se con un cammeo, svetta la partecipazione straordinaria di Roberto Formigoni, presidente della Lombardia, scoperto a parlare pure lui con termini "aum-aum" ("Malgrado la neve ci saranno passeggiate?", si informa dell'arrivo degli ispettori per sbloccare la lista collegata a lui durante le ultime regionali). E la presenza, da protagonista, invece, di un rappresentante di una regione a statuto speciale, la Sardegna, con il faccendiere Flavio Carboni, socio di lunga data della star di tutte le logge, la P2, l'unico a dare un tocco esistenziale al tono delle conversazioni straripanti di citazioni urologiche ("A volte provo dardi di noia" e chissà che avranno capito i suoi sodali, rustici, se si vuol esser buoni). Alla fine, è il sipario alzato su una politica arcaica che si sperava sepolta, sulla rappresentazione di una sclerosi amministrativa locale e nazionale a dir poco border line e da terzo mondo, su un modello culturale quasi tribale. Con figure inedite, perfino. "Non sono un fesso", rivela Martino a Cosentino commentando il ritardo dell'arrivo del dossier commissionato per colpire Stefano Caldoro e i suoi presunti amori gay: "sono pure un poco laureato". Un poco laureato? Dopo il laureato intero, anche quello a fette? Dev'essere un progetto sperimentale per la Campania ideato dal ministro Gelmini.
Cesare in primis. Il nome in codice del grande capo da accontentare e a cui obbedire, presumibilmente Berlusconi, in seconda ipotesi Dell'Utri. E poi giù per li rami, tutto il sistema, i membri dell'associazione segreta, i piani per controllare la macchina della giustizia, le importantissime elezioni del governatore della Campania. Roba seria gestita con un linguaggio a dir poco imbarazzante, una realtà del tutto surreale. "Dobbiamo capire andò sta o' buono e andò sta o' malamente" (cioè su quali giudici della Consulta si può contare). "Amn' fa nu poc' na conta a vedè quanto sonn' i nostri e quanti songo i loro", spiega Lombardi a Caliendo. Pasqualino Lombardi è l'uomo che ha il compito di tenere i rapporti con i magistrati. Un ruolo fondamentale, decisivo per la P3 e per il governo. Roba da far accapponare la pelle. Ma la telefonata con il giudice Francesco Castellano che gli deve comunicare il nome del rivale di Marra per la nomina della Corte d'Appello sembra il replay di una scena da Totò e Peppino, da lettera dei "fratelli Caponi che siamo noi". In effetti, povero Lombardi, il cognome è piuttosto complicato: Rordorf. "Come, come?", chiede lui sconvolto, che si aspettava Cutolo, Esposito, Caiazzo. "Scandisci un poco le parole, incomincia dal primo, come inizia?". Castellano si sgola. E glielo dovrà ripetere ben dodici volte, sillaba per sillaba ("O come Otranto") per riuscire finalmente a fargli comporre il nome in modo corretto.
Visto l'andazzo, bisogna ammettere che, da un punto di vista linguistico, il commento del presidente del Consiglio è stato all'altezza della situazione: "Si tratta di quattro sfigati pensionati", ha decretato Silvio Berlusconi in purissimo stile istituzionale. E avrà detto sfigati, sicuramente perché, pasticcioni, si sono fatti beccare dalla giustizia comunista. Sfigata o non sfigata, la cricca comunque lavora sodo e gioca duro. Sul lodo Alfano e il parere della Consulta. Sugli ispettori del ministero di Grazia e Giustizia. Sulla scacchiera delle procure da inzeppare di magistrati amici.
Il metro che va per la maggiore da quelle parti è quello dell'idraulica. Nicola Mancino, vice presidente Csm? "Chillu cess'e Nicola". Stefano Caldoro, odiato candidato alla regione Campania poi eletto, usurpatore, secondo il club, della poltrona che spettava a Cosentino? "Quell'altro cesso". Domanda mellifluo Cosentino: "Come stai?". "Una chiavica", risponde quel principe di Galles di Arcangelo Martino, bel pelo sullo stomaco ma naso che si arriccia di fronte a chi come Lombardi si inzacchera come un poppante: "Tengo davanti a me quello là che si butta il sugo sopra la cravatta", racconta disgustato al cellulare, lasciando immaginare gli untuosi schizzi di pummarola in fase di lancio. Emergono perfino considerazioni moralistiche sulla casta e ci vuole proprio una bella faccia tosta: "Questi se ne fottono", è Martino in persona a deprecare il malcostume politico a proposito del fatto che nel Partito delle Libertà si insiste sulla candidatura Caldoro. "Io questa la chiamo arroganza".
Cosentino, dicasi Cosentino, condanna esacerbato l'insopportabile atteggiamento, quoque lui! E figuriamoci se i metodi dell'organizzazione non sono proprio concilianti verso chi prova a resistere alle decisioni della cricca. "A quello gli devo dare un cazzotto in bocca", parola di Fofò a proposito del giudice Giuseppe Maria Berruti che non condivide e non appoggia la sua candidatura alla Corte d'appello "e far saltare tutti i denti". Come minimo, convincente. D'altra parte, le posizioni della cricca sono molto chiare su vari fronti. Non solo politici. Anche culturali. Per esempio, l'omofobia? All'avanguardia, in un certo senso. Nel mondo dei Cosentino e dei Lombardi non esistono gay, né omosessuali. Girano invece e a piede libero "ricchioni, femminielli e frocetti". O "culattoni", altra variante ammessa. Arriva un sms: "Che fine abbiamo fatto. Siamo finiti in un mondo di froci, povero Berlusconi". Martino si raccomanda a Cosentino che ha abbracciato Caldoro "Fai attenzione all'Aids". Naturalmente, in questa metafisica di volgarità non potevano mancare apprezzabili e simpatiche divagazioni sul cognome di Italo Bocchino, acerrimo nemico anti Cosentino.
In un tripudio di diminutivi, "Pascualì" (Lombardi), "Padre Pio" (Martino) "Giacomì" (Caliendo), "Nicò" (Cosentino), e quando si trattava di personaggi a cui mostrare rispetto, di soprannomi come Sua Eccellenza, il Segretario Generale, l'uomo verde (il potente Denis Verdini), la cricca ha davvero pensato di poter organizzare e mandare avanti una struttura clandestina e parallela al di là dello Stato e della legalità. Un progetto ambizioso e ancora una volta sventato. E certo, dopo tutto quel daffare, la cricca non si meritava di essere liquidata da Silvio Berlusconi come una banda di sfigati pensionati. Ma è anche vero che non è riuscita a dare a Cesare quel che Cesare voleva. D.P
...quello che colpisce, al di la della profonda propensione a delinquere dei personaggi, è la assoluta povertà culturale, il linguaggio raffazzonato, i concetti cretini ed elementari. Non stiamo parlando di pescatori tunisini clandestini a Mazara, o di muratori albanesi clandestini i Calabria, ma di sottosegretari e di plenipotenziari di Berlusconi, che non possono essere certamente essere liquidati come "quattro pensionati sfigati", senza che ci si chieda quale mai sia il livello etico e culturale di chi questi quattro pensionati sfigati ha scelto per occupare comode e redditizie poltrone di comando, con quali criteri di selezione, e soprattutto perchè... E qui ci soccorre il sempiterno Andreotti, ed il suo celeberrimo aforisma: "Chi pensa male, fa peccato, ma spesso indovina".Tafanus
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