Come mai ogni volta che Berlusconi minaccia Fini di sfaceli e sfracelli seguono scelte del tutto opposte: come, ieri, le dimissioni di Brancher pilotate dal premier, proprio come aveva chiesto l’ex leader di An? E qual è il segreto della calma olimpica che il presidente della Camera ostenta proprio mentre il premier lo minaccia (a mezzo stampa) di espulsione o tenta di sottrargli, con una campagna meticolosa di “convincimento”, alcuni dei suoi seguaci?
Da quel che si dice a Montecitorio il carattere algido della terza carica dello Stato non è una spiegazione sufficiente. La spiegazione del mistero va piuttosto cercata nelle regole che stanno alla base della nascita del Pdl, cioè in quelli che potrebbero essere definiti gli “accordi prematrimoniali” tra Silvio e Gianfranco. Sono intese contenute nell’atto costitutivo del Pdl, depositato il 27 febbraio 2008 presso il notaio di Civitavecchia Paolo Becchetti. Un testo che i finiani considerano una sorta di assicurazione sulla vita. Per diversi motivi. Perché è il documento nel quale si evince che Berlusconi e Fini sono “fondatore” e “cofondatore”, anche se nel testo sono indicati come “presidente” e “vicepresidente” (quest’ultima carica poi è scomparsa nello statuto, ma gli uomini del presidente della Camera la considerano comunque valida ai fini dell’articolato depositato dal notaio).
E perché, come richiamato anche
nella sesta norma transitoria dello statuto vigente del partito, fino
allo svolgimento del secondo congresso resta valido (per le candidature e
per la presenza all’interno degli organi statutari) il principio di
ripartizione del 70% a Forza Italia e del 30% ad An. Inoltre l’”accordo
prematrimoniale” individua i rappresentanti legali del Pdl nelle persone
di Rita Marino, la fedelissima e principale collaboratrice politica di
Fini, e Sestino Giacomoni. E stabilisce che l’associazione potrà essere
sciolta per volontà unanime degli associati. E che, in caso di
scioglimento, il simbolo non potrà essere oggetto di uso da parte di
nessuno degli associati (nemmeno se si chiama Silvio Berlusconi) a meno
che tutti non si dicano d’accordo per iscritto.
In definitiva, la
minacciata espulsione dal Pdl non solo pare improbabile politicamente
(come il caso Brancher dimostra) ma, soprattutto, è priva di fondamento
dal punto di vista giuridico. Ed ecco la calma olimpica di Fini. [l'Unità]
...la calma olimpica di Fini, e la rabbia evidente di Berlusconi. Perchè per una volta costui sa che non impugna il coltello dalla parte del manico: e che Fini se ne andrà se lo vorrà, quando vorrà, ed alle sue condizioni. E l'impotenza, si sa, in ometti come questo produce rabbia. Rabbia impotente. Tafanus
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