Formidabile quell'anno. Millenario, milionario e miliardario. Tutte cifre da ricordare, intorno al Giubileo del 2000: oltre mille cantieri, 30 milioni di pellegrini, 70 mila volontari. E soldi. Più di 3.600 miliardi di lire messi a disposizione dallo Stato italiano per l'ingresso della Chiesa nel Terzo millennio. La sfida è stata colossale e ha richiesto una sintesi complessa. Da una parte, c'erano gli uomini di papa Wojtyla, il distruttore del socialismo reale. Dall'altra, gli amministratori della Repubblica. Tutti di una sola parte politica. Il governo, la Regione Lazio, il Comune di Roma e i municipi interessati in modo indiretto come Napoli o Firenze, erano tutti in mano agli uomini del centrosinistra. Molti di loro venivano dalla Dc. Ma alcuni erano ex comunisti o ex radicali con un passato in compagnia di mangiapreti e filosovietici. Come assemblare una macchina organizzativa con elementi così eterogenei? Con funzionari statali capaci. Capaci in senso professionale ma capaci anche di cambiare abito e di vestire, all'occorrenza, la casacca biancogialla degli interessi vaticani.
I documenti di dieci anni fa stanno tornando attuali con le indagini della magistratura su questi funzionari. Sono i componenti della futura cricca che nasce e si rafforza attorno agli appalti per l'Anno Santo. I tnomi principali sono sui giornali da mesi. Guido Bertolaso, al tempo vicecommissario straordinario al Giubileo. Era lui il braccio destro del sindaco di Roma e commissario Francesco Rutelli. Angelo Balducci, provveditore alle opere pubbliche del Lazio e gentiluomo di Sua Santità. segretario della commissione centrale per il Giubileo e della commissione mista italo-vaticana. Monsignor Crescenzio Sepe,
I loro rapporti incominciano a ridosso delle celebrazioni giubilari e proseguono per oltre un decennio, accompagnati da promozioni e successi fino agli arresti e agli avvisi di garanzia di quest'anno. La loro solidarietà nasce dalla comune vocazione all'efficienza, alla rapidità, al fare. Nulla di male in questo, finché le regole sono rispettate. "Non mi piace parlare della mia esperienza al Campidoglio", dice il vicesindaco e oggi deputato Pd Walter Tocci, "ma devo sottolineare che il Comune si battè per evitare la legislazione straordinaria. Eravamo della generazione che aveva combattuto lo sfascio dei Mondiali di Italia '90, basati su procedure di emergenza. Nulla a che vedere con quanto accaduto in seguito con il sistema emergenziale gestito dalla Protezione Civile".
Sulla stessa linea è Luigi Zanda, che guidava l'Agenzia del Giubileo e oggi è senatore Pd. "Bertolaso è un collaboratore perfetto. Funziona bene con Rutelli e male con Berlusconi che gli ha messo a disposizione la legge sui Grandi eventi del 2001. È come chi guida a 100 l'ora finché c'è la pattuglia e, senza, va a 200". Il punto è che alcuni appalti giubilari dovevano andare a 200.Qualche elemento di cronistoria è necessario. Il comitato per il Giubileo nasce nel novembre del 1994 e la celebrazione è proclamata da Giovanni Paolo II a Natale dello stesso anno. Il 1995 passa in chiacchiere, presentazioni, adunate al Teatro Argentina con il presidente Oscar Luigi Scalfaro e il premier Lamberto Dini. I programmi sono ambiziosi. Si parla della metro C, dei tram in centro storico, delle ferrovie suburbane. All'alba del 1996 ci si sveglia con il governo in crisi e il traguardo del 2000 già a rischio. Il Comune non ha soldi per appaltare le opere e le riunioni del Comitato misto si trascinano. Nel 1996 Romano Prodi vince le elezioni e stanzia i soldi. Eppure si perde ancora un anno e mezzo, fra leggi di spesa e altri ritardi. Fino all'autunno del 1997 non si vede una lira.
"A quel punto", ricorda Zanda, "prevalse la scelta anche mia di investire soprattutto sull'organizzazione. Incominciare grandi opere all'inizio del 1998 per chiuderle a fine 1999 sarebbe stato da incoscienti. Avrebbe significato inaugurare il Giubileo con tutti i cantieri aperti".Rutelli è sempre più nervoso. Si sta giocando il futuro politico sul Giubileo e la pazienza non è la sua principale virtù. Uno dei bersagli preferiti delle sue sfuriate, che più di una volta porteranno anche Zanda sull'orlo delle dimissioni, è Adriano La Regina. Il Soprintendente ai beni archeologici di Roma, in carica da vent'anni, si oppone in particolare al grande sottopasso di Castel Sant'Angelo. "In realtà", precisa lui, "mi sono limitato a chiedere la documentazione tecnica a tutela delle fondamenta. Il Comune non me l'ha fornita e Walter Veltroni, vicepresidente del Consiglio, ha finito per dare ragione a me".
Mentre si profila un'altra grana, quella relativa al parcheggio del Gianicolo, gli uomini del Giubileo decidono di dare una sterzata. Tutto accade nel giro di pochi mesi. A novembre del 1997 monsignor Sergio Sebastiani, l'uomo ai comandi per il Vaticano, viene promosso alla guida della Prefettura Affari economici e rimosso. Lo rimpiazza Crescenzio Sepe. Chi ha lavorato con lui concorda: simpatico, battutista, manageriale. Sembra tutto tranne che un sacerdote. A gennaio del 1998 arriva dalla Protezione civile Guido Bertolaso che diventa l'amministratore delegato di Rutelli. Il suo incarico principale è la Giornata mondiale della Gioventù, fissata tra il 15 e il 20 agosto 2000 a Tor Vergata. Il sistema viario della zona va completamente rifatto in collaborazione con il Provveditorato ai lavori pubblici del Lazio. Il provveditore, che partecipa a tutte le riunioni del comitato giubilare, è Tullio Russo, chiamato a Roma dall'Abruzzo appunto per il sottopasso. Salta anche lui nel maggio 1998. "Sono stato sostituito con un funzionario più giovane e più brillante", dice Russo con una vaga punta di acrimonia. Quel funzionario è il gentiluomo di Sua Santità Angelo Balducci che, vera e propria nemesi, nel 2008 farà pressione sulla quinta sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, presieduta da Russo, per la vicenda dei tutor autostradali che interessava a Paolo Berlusconi.
È uno dei passaggi che gli investigatori stanno tenendo d'occhio. Russo fa parte del sistema della revolving door italo-vaticana quanto Balducci. Prova ne è il suo incarico, a novembre del 1999, come consulente per il parcheggio e la rampa del Gianicolo per conto di Propaganda Fide, al tempo retta dal cardinale slovacco Jozef Tomko e dal 2001 in mano a Sepe. Anche in seguito la carriera di Russo, che rivendica il merito del cosiddetto sottopassino di Castel Sant'Angelo e della galleria principe Amedeo, è proseguita con incarichi di prestigio, a cominciare dai 100 cantieri del G8 di Genova. Il suo ruolo attuale alla guida di Area 24, che gestisce alcune stazioni ferroviarie dismesse in provincia di Imperia, è frutto dei suoi buoni rapporti con l'ex ministro Claudio Scajola, ottimo amico della cricca. Eppure Balducci ha sempre una carta in più. È Sepe a imporlo. E come Sepe non sembra un prelato, così Balducci non sembra un ingegnere. "Piuttosto un diplomatico", dice Zanda. Infatti, il suo ruolo è quello di mediare. E di rappresentare il Vaticano quando il Vaticano non può partecipare. Accade con il parcheggio e la rampa del Gianicolo.L'appalto vale 85 miliardi di lire. È uno dei pochi con partecipazione di fondi vaticani, metà e metà. Il motivo? La zona del parcheggio sarebbe in territorio pontificio. Questo assunto è stato recentemente smentito dalle rivelazioni di La Regina riportate da "Repubblica". È invece incontestabile che la rampa d'accesso al megaparcheggio ideato per accogliere i pullman dei pellegrini sorga in territorio italiano, all'interno una proprietà dei principi Torlonia. Durante gli scavi della rampa, appaltati dal Provveditorato ad Impregilo e Dioguardi, si scopre una villa facente parte del complesso degli Horti di Agrippina con pitture e un deposito di marmi di eccezionale qualità. I saggi preliminari eseguiti con il controllo della Soprintendenza non avevano rilevato l'edificio, sito a 8 metri di profondità. Nella città deserta per il Ferragosto 1999, La Regina mette il vincolo. Rutelli si vede arrivare addosso i compagni di partito verdi e ambientalisti, a partire da Italia Nostra.
Il problema va risolto e in fretta. Già il Vaticano ha gradito poco l'imposizione dei parcheggi di scambio sul Raccordo anulare e le limitazioni al traffico dei torpedoni in città. Senza metro C e senza possibilità di utilizzare il parcheggio del Gianicolo, il Giubileo corre rischi gravi. Anche rischi economici, evidentemente. La macchina dell'Opera Romana Pellegrinaggi, uno dei maggior tour operator del mondo guidato da don Liberio Andreatta, punta a un minimo di 24 milioni di visitatori.Formalmente, nessun uomo del Vaticano partecipa alla controversia sulla rampa. Non ce n'è bisogno. Bertolaso e, soprattutto, Balducci si incaricano di fare da sherpa. Il 7 ottobre c'è una riunione da Bertolaso che delibera di smantellare la villa. Gli affreschi vengono staccati e portati via, come i marmi. Le mura vengono segate e accantonate in un deposito.
Qualche giorno dopo Balducci firma un parere che è un piccolo manuale su come si piegano le conclusioni tecniche al risultato politico. Nel documento consultato da "l''Espresso" si legge che "dal punto di vista plano-altimetrico il tracciato della rampa non può essere spostato e che il parcheggio e il Gianicolo sono comunque raggiungibili anche in assenza della rampa in questione, infatti l'attuale rampa Sangallo serve a raggiungere dette località e potrebbe essere utilizzata nel futuro". Quindi, la rampa Torlonia non serve? Un momento. "In tal modo però", si affretta ad aggiungere il provveditore, "verrebbe vanificato il principale scopo dell'intervento e cioè l'eliminazione dell'interferenza dei flussi provenienti dall'Aurelia, principalmente pullman, e diretti al Gianicolo con il traffico cittadino del Lungotevere. Pertanto non esiste alcuna alternativa alla rampa Torlonia".A cose quasi fatte, lo scontro arriva fino alla presidenza del Consiglio dei ministri, dove Romano Prodi è stato sostituito da Massimo D'Alema. Il premier e il sottosegretario Marco Minniti intervengono a togliere il vincolo della soprintendenza con un decreto del 13 dicembre 1999. La rampa è salva e il parcheggio pure. I risultati si vedranno nel bilancio della Santa Sede del 2000 dove il cardinale Sebastiani presenta un utile in euro di oltre 24 milioni. Nel 2001 saranno 14 milioni. Gli autori del Romanzo Giubilare, a quel punto, possono vantare solidi meriti entro le mura vaticane e fuori.
Oltre ai meriti e alla ricompensa che ne consegue sotto forma di favori vari, i bravi funzionari pubblici vengono liberati dal sistema dei controlli. L'anno successivo al Giubileo va al governo il partito del fare e cambia il quadro normativo. Con la legge 401 sui Grandi Eventi, l'Italia incomincia ad essere gestita a colpi di ordinanze della Protezione Civile. Le cifre? 13 miliardi di euro di investimenti contro 1,8 miliardi del Giubileo.Sepe, nominato cardinale nel concistoro del 21 febbraio 2001, diventa la nuova star delle finanze cattoliche grazie alla gestione del patrimonio miliardario di Propaganda Fide. Ma non dimentica gli amici. Anzi, ne aggiunge qualcuno per migliorare il sistema con il quale lo Stato italiano finanzia la Chiesa. Gli anni della sua gestione non sono stati i più brillanti per il bilancio vaticano. Ad alcuni il caso del cardinale Sepe ricorda quello di Paul Marcinkus, il numero uno dello Ior inquisito per la bancarotta del Banco Ambrosiano e poi uscito dal processo per il principio dell'extraterritorialità. Il cardinale di Napoli non ha molte probabilità in più del monsignore di Cicero, Illinois, di affrontare un tribunale dello Stato italiano. Il Vaticano preferisce lavare i panni sporchi dentro i confini. Se la storia può insegnare qualcosa, Marcinkus fu messo in disparte dalle gerarchie ecclesiastiche. Sepe sembra avviato sulla stessa strada.
(ha collaborato Gianluca Schinaia, l'Espresso)Due auto della Finanza parcheggiate in via della Conciliazione, davanti ai palazzi dei Propilei. La testimonianza dell'ultima inchiesta su un fiume di denaro che entra in Vaticano e da lì va in paradiso, ma bancario e fiscale. I conti dello Ior - l'istituto della Santa Sede - scoperti presso quella filiale romana di Unicredit e presso altri sportelli capitolini di Intesa San Paolo, Bnl, Banca del Fucino, Credito Artigiano sono la metamorfosi moderna di un sistema antico che continua ad alimentare traffici misteriosi. Nel conto Ior presso Unicredit nel 2007 ci sono stati saldi mensili da 80 milioni di euro, extraterritoriali come se fossero gestiti da una banca off shore. E il primo censimento completo delle finanze, dei beni e degli scandali del regno dei papi viene pubblicato da Claudio Rendina ne "L'oro del Vaticano" che uscirà per Newton Compton la prossima settimana.
C'è l'attualità, quella esplicita delle indagini sulla cricca e quella dei movimenti azionari che poi si trasformano in assetti di potere. Come l'investimento dello Ior nel bond convertibile emesso dalla Banca Carige, istituto genovese da sempre nel cuore del Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. E l'elenco di tutti gli immobili di Propaganda Fide, patrimonio destinato a sovvenzionare le missioni, ma utilizzato per distribuire case e favori.
Solo lo Ior vanta un patrimonio, scrive Rendina, "stimato in cinque miliardi di euro, a cui vanno aggiunti i lingotti d'oro, dei quali è stata indicata l'esistenza nei caveux sottostanti al torrione di Nicolò V, in ragione di 2 tonnellate d'oro, accanto ai titoli di Stato per 3 milioni". Ufficialmente non ha succursali ma conta sul legame con la struttura missionaria delle isole Cayman. "È stata distaccata dall'arcidiocesi di Kingston in Giamaica per fare capo direttamente alla Santa Sede ed è retta dal cardinale Adam Jospeh Maida, membro dello Ior con la qualifica di superiore: come tale ha la funzione di autentico deposito delle finanze pontificie: un centro finanziario off shore".
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