Dalle radio della Guerra Fredda alla "Memoria del Futuro", dal Concordato alla biosicurezza: ecco i 90 comitati della presidenza del Consiglio. Uffici spesso inutili ma con migliaia di poltrone e consulenze
Palazzo Chigi: c'è un ufficio a Roma che teme ancora la Jugoslavia comunista. Un comitato, inventato nel 1956, con il compito di regolare le trasmissioni della neonata Rai nel territorio di Trieste. Divisa in zone dopo la seconda guerra mondiale. Bene, quell'ufficio esiste ancora. Poco importa se il muro di Berlino è crollato, i confini non ci sono più, la Slovenia fa parte dell'Unione europea e la Rai si vede bene pure da Lubiana. Ad aprile il governo Berlusconi l'ha rinnovato per l'ennesima volta con precisione svizzera. Un presidente e un drappello di consulenti scelti fra esperti ministeriali, direttori in pensione ed ex politicanti a caccia di un posto al sole. A Trieste nemmeno si ricordavano di doverli indicare: «Non lo dica a noi, stiamo aspettando i nomi dal Comune e dalla Provincia. In più c'è un membro del ministero delle Poste e un esperto nominato dal governo», ribattono alla presidenza del Consiglio. Pure se lo domandi ai triestini del Corecom, il comitato regionale di controllo sulle trasmissione radiotelevisive, cascano dalle nuvole: «Il comitato statale? Era stato abolito. Abbiamo assunto noi quelle competenze ».
Dopo un paio di giorni, però, qualcuno ci ripensa: «Forse ci siamo sbagliati, abbiamo le competenze di un altro comitato che adesso non c'è più. Quello potrebbe esistere ancora». Una svista? Macché. Ne sopravvivono a decine di uffici fantasma alla presidenza del Consiglio. Su Internet ne compaiono una trentina al massimo, quelli più attivi.Ma un elenco completo esiste. "L'espresso" l'ha trovato: novanta strutture spesso doppioni di altre, passate incolumi lungo le due Repubbliche. Nulla ha potuto il rogo delle leggi obsolete appiccato dal ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli [...]
Così, mentre gli ospedali tagliano letti per far quadrare i conti e la polizia prende il taxi perché non ha i soldi per la benzina, a Palazzo Chigi uno stipendio non si nega a nessuno. Alla faccia della devolution, è a Roma che si studia da decenni la toponomastica di Bolzano. Nomi di strade in tedesco ma conti all'italiana. C'è poi un comitato per la difesa non violenta, uno per l'infanzia e un altro con l'arduo compito di «rafforzare la classe dirigente del Paese». Ci sono gli esperti di sicurezza dei trasporti, quelli del credito agevolato. E c'è un commissario per ogni alluvione, smottamento o temporale si abbatta sull'Italia. Individuarli nel mare dei denari pubblici che annaffiano la Presidenza del consiglio non è impresa facile [...]
«Sono organismi a durata temporanea che si occupano di questioni urgenti», ribattono a Palazzo Chigi. Già. Come quello che ha il compito di attuare gli accordi fra Stato e Chiesa dopo il Concordato del 1929, rivisto nel 1984. Gli uffici sono addirittura due: uno studia l'accordo, l'altro si occupa di interpretare eventuali incomprensioni. Perché, come si dice, due teste sono meglio di una. Soprattutto se a rimborso spese. Quando va bene si riuniscono tre volte l'anno, rivelano alla segreteria, e scavano negli accordi fra Italia e Santa Sede. Se si prova a chiamare Palazzo Chigi per chiedere a che punto siano i lavori e se ci sia qualche nodo irrisolto che ancora sfugge al Paese, la risposta è sempre la stessa: «Le inviamo la pubblicazione prodotta dal comitato. Lì potrete trovare tutte le risposte che vi interessano». Eccola: si intitola "Dall'accordo del 1984 al disegno di legge sulla libertà religiosa". Niente data. In copertina l'immagine di Giovanni Paolo II in preghiera ad Assisi coi capi delle altre religioni. Era il 27 ottobre 1986. L'introduzione è di Giuliano Amato, quand'era presidente del Consiglio. La prima volta era nel 1992.
Se c'è in ballo un'emergenza, non si bada a spese. L'esempio della Protezione Civile fa scuola. La struttura di missione messa in piedi per organizzare gli aiuti a L'Aquila ha fatto schizzare i conti di Palazzo Chigi da 4,2 miliardi a più di 5 miliardi. Un aumento forse indispensabile. Solo che lo stesso meccanismo va avanti da anni anche per la Torino-Lione, che emergenza non è. Nel 2002 fu nominato un comitato per supportare la delegazione italiana per la Tav, nominata già nel 1996 per velocizzare l'opera. A distanza di 14 anni, non soltanto la Torino-Lione ancora non c'è, ma gli organismi pubblici nel frattempo si sono moltiplicati: "Ora stiamo pagando una commissione che fa consulenza a un commissario".
Eppure quel commissario ha già alle sue dipendenze un'altra struttura identica, istituita anche stavolta dalla presidenza del Consiglio, che fa la stessa consulenza», riassumono i giudici contabili. Non bastasse, dal 2005 gli esperti sono cresciuti in numero e costi. Prima ce n'era uno soltanto, poi due, poi tre, fino ai sei attuali. Lo stesso trend della commissione per il recepimento delle direttive europee. Nel 2002, quando l'Italia era appena entrata nell'euro ed era tutto da fare, bastavano 12 esperti per sbrigare le pratiche. Oggi invece ne servono 29. Spesso incompetenti. Secondo la Corte dei conti, infatti, queste figure tecniche «non sempre presentano i requisiti peculiari dell'Istituto, e appaiono sovrapponibili a quelli dell'amministrazione». Dubbi anche sui tempi del mandato: «La durata si protrae a tal punto da non poter essere più definita temporanea» [...]
Per tagliare enti e leggi, infatti, era nata la cosiddetta "Unità per la Semplificazione". Tanto ha semplificato da essere passata da 12 a 16 componenti nel giugno 2008. Una squadra di tre dirigenti, pagati per coordinare quattro funzionari, con la possibilità di assumere altri 12 esperti (...caspita... ogni "dirigente coordina non meno di 1,25 funzionari... NdR)[...]Per ogni commissione ogni premier sceglie un suo presidente. E così Silvio Berlusconi ha nominato Massimo Romagnoli, un ex deputato di Forza Italia, al posto del prodiano Luigi Olivieri. Nella Finanziaria dei tagli, poi, Tremonti ha lasciato 407 mila euro diretti all'Agenzia nazionale per i Giovani. Una missione sponsorizzata da Bruxelles, spiegano al dipartimento di Palazzo Chigi. Ma sorvolano sulla composizione: 34 membri. Il presidente è un ex dirigente dei giovani di Alleanza nazionale, Paolo Giuseppe Di Caro, rimasto fuori dal Parlamento e ripescato su indicazione governativa all'ANG, che gli passa uno stipendio da 101 mila euro [...]
L'esercito di esperti è quasi sempre fatto di «ex qualcosa»: professore o burocrate, generale in pensione o politico trombato, dirigente o assessore ripescato dal sottobosco dei partiti. Sono loro che mandano avanti la baracca dei comitati. Ce n'è uno per il turismo, che costerà circa un milione. Un altro si occupa di politiche comunitarie e spende 424 mila euro. C'è il comitato per la minoranza slovena, quello per l'accesso ai documenti amministrativi... Una commissione assegna invece i vitalizi agli sportivi, un'altra i premi alla cultura, un'altra ancora aggiorna il protocollo dei ViP. Secondo la Corte dei conti, questi cosiddetti esperti, tanto esperti non sono. Spesso anzi il curriculum è la fotocopia di profili già presenti (e stipendiati) nella pubblica amministrazione. Quei fannulloni, per dirla con Brunetta, che nemmeno volendo potrebbero fare gli straordinari a piazza Colonna, visto che a sbrigare il lavoro ci pensano i sosia a gettone. E se l'etica nella scelta dei consulenti qualche dubbio lo solleva, in fatto di bioetica l'Italia sta in una botte di ferro. Di commissioni temporanee, diventate permanenti, ce ne sono addirittura due. E quella che si occupa di biosicurezza, tecnologie e scienza della vita conta un numero di dirigenti, esperti e consulenti che da soli fanno un consiglio regionale. Dal presidente Leonardo Santi dell'università di Genova, alla pattuglia ministeriale da 14 delegati fino all'immancabile corazzata di esperti: quindici professori in viaggio verso la capitale da Milano, Napoli o Pavia.
L'ultimo nato di Palazzo Chigi ha un nome piuttosto evocativo: "Comitato per la Memoria del Futuro" (...sic...). Dura in carica cinque anni, naturalmente rinnovabili. È datato 2009, dopo la conferenza di Barcellona che si propose di trasformare il Mediterraneo in una spazio comune. Nella pratica gli esperti dovranno «promuovere relazioni internazionali», magari svolazzando nei paesi interessati.
Che sia roba grossa si capisce al volo. Il presidente è Gianni Letta. Per il resto è un elenco di ambasciatori, professori, archeologi e superdirigenti, da Joaquin Navarro Vals, ex portavoce di Giovanni Paolo II, al presidente dell'Ice Umberto Vattani fino a Irene Pivetti. E se mai ce ne fosse bisogno, l'articolo 2 apre le porte ad altro personale.
Stavolta, però, a piazza Colonna mettono le mani avanti: «Non derivano oneri a carico di Palazzo Chigi», spiegano dalla segreteria. E chi paga le missioni? «Le amministrazioni di appartenenza del personale ». Cioè sempre lo Stato. L'obiettivo finale è nobile. Una rete di musei «in cui figurino, l'uno accanto all'altro, elementi costruttivi capaci di testimoniare visivamente l'unitarietà di fondo della cultura mediterranea». E forse prima o poi nascerà l'ennesimo comitato. Stavolta certamente utile, almeno a spiegare a un italiano medio che cosa significhi quella frase.
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