Si scrive Arner, si legge Berlusconi - La ragnatela "off shore" di Silvio e dei suoi cari
(di Paolo Biondani e Luca Piana - l'Espresso)
L'inchiesta dei pm per riciclaggio. Il tesoro di Ciancimino. Il Grand Hotel di Acampora. E un paradosso: nella banca rinnovata soci e manager legati al Cavaliere
I misteri attorno alla Berlusconi Bank non svaniscono. Tutt'altro. Anzi, si infittiscono e la magistratura avrà ancora da lavorare parecchio per capire cosa ci sia dietro la ragnatela delle off shore. L'istruttoria, nata da una denuncia-choc della Banca d'Italia, ha portato le procure di Milano e Palermo ad accusare di riciclaggio la filiale italiana della Banca Arner. E ha condotto alla ribalta le cucine e saloni vista mare delle case di Antigua, comprate dalla Flat Point, la scatola esotica in cui Silvio Berlusconi ha versato 22 milioni di euro per acquistare terreni e ville sull'isola.
Il piccolo istituto di Lugano aveva fatto fortuna nei primi anni novanta, come spiegano le sentenze dei processi Mills e All Iberian, gestendo fondi neri del premier. E la sua controllata milanese, con uffici in corso di Porta Venezia, era nata sette anni fa raccogliendo capitali e intrattenendo rapporti proprio con molti fedelissimi del Cavaliere, dalla famiglia dell'avvocato Cesare Previti a Ennio Doris, l'uomo che, con il sostegno finanziario della Fininvest, ha costruito e lanciato il gruppo bancario e assicurativo Mediolanum.
Ma un aspetto che forse non tutti conoscono è che oggi, ottobre 2010, la Banca Arner (sotto inchiesta) viene pilotata da uomini del mondo berlusconiano. Soci e presidente della filiale milanese, tuttora guardata a vista dalla Banca d'Italia, vestono la maglia del Cavaliere e giocano nelle sue diverse squadre. Dalla Fininvest alla Publitalia e alla stessa Mediolanum. Un paradosso dal quale vale la pena iniziare se si vuole raccontare gli intrighi della Arner. Partiamo quindi dall'epilogo della vicenda, da cosa sta succedendo oggi.
Per riprendere l'attività a Milano e uscire dal commissariamento, la Arner Italia ha dovuto dare alle autorità di vigilanza una dimostrazione di aver cambiato registro, accogliendo nuovi azionisti e dando spazio al vertice a manager arrivati dall'esterno. Proprio in questi passaggi, però, si è confermata la vicinanza alla galassia Berlusconi. Presidente della "nuova" Arner Italia è infatti diventato Ferdinanzo Superti Furga, un commercialista che ricopre numerose cariche nelle società del premier e, in particolare, presiede il collegio sindacale di Fininvest, Mondadori e Mediolanum. Tra i soci della filiale di corso di Porta Venezia, poi, ha fatto il suo ingresso la CPartners, che ha rilevato una quota del 9,5 per cento e si è garantita un'opzione per salire fino al 30 per cento. Il nome dice poco: la CPartners è una minuscola società di consulenza nata appena nel luglio 2008. Tra i suoi azionisti, però, spicca Maurizio Carfagna, 63 anni, un manager vicinissimo a Doris. Tra le altre cariche nel suo gruppo, infatti, è anche il numero uno di H-Invest, la società che cura la diversificazione e gli investimenti della famiglia del patron di Mediolanum.
LE INCHIESTE. La Arner, dunque, è al centro di numerose inchieste sul mondo off shore di persone del giro berlusconiano. In particolare i magistrati ipotizzano che alcuni clienti della banca abbiano usato una cortina di società estere per nascondere, da una parte, soldi sporchi di Cosa nostra (in particolare una fetta del tesoro di Vito Ciancimino, il sindaco mafioso del sacco edilizio di Palermo) e, dall'altra, il bottino di gigantesche corruzioni.
Uno dei protagonisti è Giovanni Acampora, ex militare della Guardia di finanza, poi avvocato d'affari e amministratore fiduciario del comparto estero Fininvest, quindi condannato con sentenze definitive per aver corrotto il giudice civile di Roma che, tra il '90 e il '91, costrinse la banca statale Imi a versare 670 miliardi di lire netti agli eredi Rovelli. E che negli stessi mesi, con un'altra sentenza comprata (questa volta con fondi off shore targati Fininvest), regalò a Berlusconi la casa editrice Mondadori.
I MISTERI DI VIA VENETO. Nel 2001, tra un rinvio a giudizio e l'altro, l'avvocato-imputato Acampora compra due palazzi storici a Roma. L'acquisto nasce male: un suo cliente, Simone Chiarella, genero di Gaetano Caltagirone, lo accusa di avergli rubato l'affare e lo denuncia per truffa contrattuale. Acampora viene assolto. Poi si ritrova inquisito per presunti abusi edilizi, ma alla fine ottiene i permessi per ristrutturare e unire i due immobili, creando un albergo di lusso, inaugurato nel 2009. "l'Espresso" ha verificato che, all'inizio, la proprietà del Grand Hotel di via Veneto 155 era intestata a un primo nucleo di società lussemburghesi, che Acampora ha italianizzato. Il suo primo alleato era Amedeo Ottaviani, noto albergatore romano imparentato con Gianni Letta, ma l'intesa si è rotta dopo alcuni mesi. A quel punto l'intera struttura proprietaria cambia. I palazzi di via Veneto finiscono a due società lussemburghesi (Karsira e Centocinquantacinque) intestate a un fiduciario canadese di origine italiana, Charles Bisante, notaio a Beaconsfield, Montreal. Chi è il "fiduciante", il vero proprietario? Un mistero ancora irrisolto: la Corte d'Appello ha infatti bloccato la richiesta di sequestrare l'albergo. Proprio perché il vero proprietario è ancora coperto dall'off shore.
Quando nel 2006 la Cassazione lo ha proclamato colpevole, Acampora si è dichiarato nullatenente, evitando di risarcire le vittime. In compenso il castello societario che controlla il Grand Hotel in quegli anni è diventato sempre più ricco: nel 2005 un anonimo finanziatore versa 23,4 milioni, nel 2008 altri 8,5. A gestire il patrimonio, ancora intestato al fiduciario canadese, è la Arner, che attraverso l'Italia può spostare soldi senza problemi nei paradisi fiscali. Un sistema che entra in crisi nel 2008, quando negli uffici di corso Venezia irrompono Bankitalia e l'antimafia.
IL TESORO DI DON VITO. Francesco Zummo è un costruttore siciliano condannato per "favoreggiamento reale" di Ciancimino: l'istruttoria di Giovanni Falcone lo identificò come il "prestanome" che nascondeva 36 dei 43 miliardi di lire che furono sequestrati al sindaco mafioso negli anni Ottanta. Due anni fa un pm di Como, indagando su un giro di spalloni, intercetta Nicola Bravetti, presidente e cofondatore della Arner: il banchiere sta spostando soldi per un signore che gli telefona dalla Sicilia, sempre e solo da cabine pubbliche, presentandosi come "Moro". L'inchiesta passa a Palermo, dove i pm smascherano il chiamante: è Zummo, che vuole portare alle Bahamas 13 milioni di euro, depositati su un conto off shore intestato a sua moglie e gestito da Bravetti. L'incontro decisivo si tiene nello studio di un avvocato-manager milanese, Paolo Sciumè. E per questo il processo ora viene trasferito a Milano. Dove i pm stanno cercando di verificare se ci siano soldi sporchi dietro le "sistematiche violazioni delle norme antiriciclaggio" che, dopo l'arresto di Bravetti, avevano portato al commissariamento di Arner Italia e al clamoroso rapporto di Bankitalia che ha fatto scoppiare tutto l'affaire.
L'impero delle 97 off shore
Sono almeno 97 le società off shore attribuite a Silvio Berlusconi nei processi milanesi. Le prime sentenze definitive, che hanno dichiarato la prescrizione del reato di falso in bilancio (modificato nel 2002 dalla sua maggioranza), riguardano un sistema di 64 off shore, scoperte a partire dal '94 e finanziate da una società-cassaforte chiamata All Iberian. Attraverso quei conti "occulti" le aziende di Berlusconi avrebbero mosso circa 1.550 miliardi di lire, secondo l'accusa, usati per scalate occulte (Standa), per aggirare le leggi anti-monopolio (Telepiù, Telecinco), per finanziare Craxi e per versare tangenti ai giudici di Roma corrotti dagli avvocati Previti, Acampora e Pacifico. La Bridgestone Properties avrebbe scaricato sull'azienda pure le spese della villa alle Bermuda.
I processi ancora aperti riguardano altre 33 società off shore (ma l'elenco è incompleto) che secondo i pm De Pasquale e Robledo avrebbero custodito fondi neri "personali" di Berlusconi: oltre 360 milioni di dollari che, secondo l'accusa, sarebbero usciti dalle casse aziendali comprando a prezzi gonfiati i diritti televisivi per i film americani, grazie a un accordo ventennale con il mediatore Frank Agrama. Da qui è emersa anche la corruzione del testimone David Mills: condannato in primo e secondo grado, ha ottenuto la prescrizione in Cassazione grazie alla legge ex Cirielli.
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