La scelta dei candidati - In una intercettazione, l'interesse per le liste della Lega alle provinciali
(di Lirio Abbate - l'Espresso)
La domanda è semplice: "A Milano ci sono le elezioni provinciali. Abbiamo la possibilità di candidare qualcuno noi?" E la risposta intercettata dai carabinieri del Ros è altrettanto elementare: "Io posso sentire qualche amico, là a Milano, qualche calabrese...". Sono brani da uno dei rapporti antimafia più inquietanti degli ultimi anni, acquisito adesso dai pm di Milano, in cui si alternano manovre per entrare nei cantieri dell'Expo 2015 a progetti per inserire "gli amici" nei municipi dell'hinterland meneghino. E quelle di cui parlano nel marzo 2009 sono proprio le liste della Lega. Nulla di penalmente rilevante, perché finora i giudici non vi hanno riscontrato ipotesi di reato. Ma il documento è sorprendente, anche per i soggetti a cui si fa riferimento. A parlare è un imprenditore, considerato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro un prestanome al servizio del clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Che discute con un maresciallo delle Fiamme Gialle, collaboratore del procuratore aggiunto Nicola Gratteri, ossia di uno dei magistrati più attivi nella lotta alle cosche. È proprio il maresciallo che propone: "Ieri sera mi sono visto con Pino Galati... rimangono dei candidati in alcuni paesi... abbiamo la possibilità di candidare qualcuno noi?".
Pino Galati è un parlamentare calabrese del Pdl. Ma l'operazione gravita "sulla moglie del Galati", che come scrivono gli investigatori, "si identifica nell'onorevole Carolina Lussana, nata a Bergamo, eletta nelle liste della Lega Nord". La bionda leghista che si impose alle cronache proprio per la storia d'amore sbocciata a Montecitorio con il deputato del profondo Sud. Attraverso loro, i due soggetti intercettati studiavano il modo di inserire persone di fiducia nei municipi della provincia di Milano, paesi dove vive una folta comunità calabrese.
Incredibile? Il sottufficiale legge "un elenco di collegi", comuni dove si dovevano rinnovare le giunte: Magenta, Cerro Maggiore, Cassano d'Adda, Pioltello, Sesto San Giovanni, Calabiago, Cassano Primo. Il presunto uomo della 'ndrangheta si mostra entusiasta: "Belli... belli... Bei collegi...". E il dialogo prosegue: "Non hai qualcuno l là che...". "Che si interessa di politica sì... qualcuno che ha fatto il consigliere comunale pure a Cologno... Provo a sentirli...". "Vedi un po' se riusciamo... noi... questa gente ci serve". Serve a cosa? Per ottenere appalti. L'imprenditore agisce nel movimento terra, il grande business della 'ndrangheta lombarda. Si lamenta di avere "le macchine ferme". E commenta: "Adesso cominciano i lavori di Expo, sai quanta merda porterà là sopra... Si torna come l'alta velocità... Se la mangiano subito... chi tiene cinque camion, chi resiste, chi arriva all'Expo". Lui ritiene di avere trovato l'aggancio giusto: "Devo incontrare un costruttore grosso a Milano... Questo ha fatto la fiera di Milano... una parte dell'Expo ce l'ha lui... Devo andare a parlarci ma deve venire uno dalla Calabria apposta, un pezzo grosso...".
Oggi i clan potrebbero diventare padroni dell'economia - Sistema elettorale, potere criminale e fondi pubblici: da anni le cosche hanno puntato sul federalismo. L'analisi del numero due della Superprocura antimafia
(colloquio con Alberto Cisterna di Lirio Abbate)
"Con il federalismo e i centri di spesa a livello locale le cosche hanno a portata di mano non solo la politica ma anche l'amministrazione". Alberto Cisterna è il procuratore aggiunto della Direzione Nazionale Antimafia, l'organismo voluto da Giovanni Falcone non solo per coordinare le indagini, ma anche per analizzare l'evoluzione della minaccia mafiosa. Oggi sta seguendo gli sviluppi delle inchieste di Milano e Reggio Calabria sulla penetrazione della 'ndrangheta in Lombardia, ma allarga lo sguardo alla strategia che sembra unire la criminalità organizzata: "Il disegno federalista risale per Cosa nostra al periodo anteriore alle stragi del 1992. Anche in Calabria alcuni clan vennero accoppiati a movimenti autonomisti locali. Il loro obiettivo è elementare: se a decidere non è più il ministro della Sanità ma l'assessore è chiaro che questo li avvantaggia. Riduce il braccio: li possono raggiungere e minacciare sul loro territorio e non hanno più bisogno del referente nel governo di Roma".
E questo, stando alle indagini, è colpa anche del sistema elettorale: "Il meccanismo previsto per la Camera e per il Senato ha frustrato le mafie che preferivano collegi uninominali più piccoli dove c'era una rendita di voti fra il 3 e il 5 per cento pilotati dai mafiosi che diventava determinante per l'elezione di un candidato. Ma questo sistema che delega le liste alle segreterie dei partiti ha tolto ai mafiosi questa capacità di incidere sul voto. Paradossalmente la peggiore legge elettorale che il Paese abbia mai avuto è la migliore per quanto riguarda il contrasto alle infiltrazioni nelle politiche nazionali: candidare alle Camere soggetti vicini alla criminalità organizzata è diventato più difficile". Secondo Cisterna i risultati delle urne nei feudi criminali confermano questa situazione: "C'è un crollo di affluenza al voto nelle politiche dove la mafia sembra non partecipare perché non ha interessi. Cosa che invece non avviene per le elezioni amministrative, dove la presenza dei candidati appoggiati dalle famiglie fa calare l'astensionismo". Una situazione che ha spinto Cosa nostra, camorra e 'ndrangheta a concentrarsi sulle elezioni locali: "Tutta la tensione applicativa delle cosche si è scaricata sul sistema federale, che sta diventando un sistema finanziario federale in cui le risorse verranno sempre più gestire a livello locale: ad esempio per il federalismo demaniale c'è il rischio che molti beni messi in vendita vengano acquistati sul territorio con il concorso degli enti locali collusi dai mafiosi".
Federalismo e business rischiano di intrecciarsi, in un meccanismo perverso che - senza forti controlli - potrebbe autoalimentarsi: "I mafiosi hanno talmente tanto denaro che il loro problema è investirlo direttamente, evitando i costi alti del riciclaggio: vogliono fare gli imprenditori, con le carte in regola. Comprendo che dopo aver regolarizzato all'estero 100 miliardi di euro grazie allo scudo fiscale, questo è un Paese che potrebbe diventare mafioso senza accorgersene: rischia di finire in mano a una fortissima partecipazione economica mafiosa, che non mostrerebbe la sua origine. Sarebbe il peggio del peggio: combatteremmo contro un nemico invisibile perché assolutamente integrato nel sistema".
Destra e meritocrazia: MaryStar Gelmini da Brescia abilitata a Reggio Calabria, Carolina Lussana da Bergamo abilitata a Napoli... (intervista de "LaStampa del 2009)
Carolina Lussana ha sostenuto nel capoluogo campano gli scritti dell'esame per l'esercizio della professione. Carolina Lussana è un’onorevole della Lega Nord, 38 anni bergamasca, bionda, molto ma molto in alto nelle classifiche di bellezza parlamentari.
Laureata in Giurisprudenza, è vicepresidente della commissione Giustizia della Camera. L'anno scorso, dopo diversi anni dalla laurea, ha deciso di tentare anche l’esame di abilitazione alla professione. Come sede, invece dei luoghi dove abitualmente vive, Roma e Bergamo, ha scelto Napoli.
Nel capoluogo partenopeo quest’anno la percentuale di promossi alle prove scritte, in base alle prime indiscrezioni, dovrebbe aggirarsi intorno al 30%, gli esami sono stati corretti da una commissione che ha sede a Roma. Agli orali la commissione invece è napoletana e da anni la percentuale di promossi si aggira intorno all’80-90%.
Onorevole, avrà seguito le polemiche nate quando si è saputo che il ministro Gelmini, da Brescia, si era trasferita a Reggio Calabria per sostenere l’esame.
«Sì, ma nel mio caso non c’è da fare polemiche. Quando ministro della Giusizia era Roberto Castelli abbiamo cambiato le regole. Abbiamo introdotto il sorteggio della sede che correggerà i compiti e quindi non importa dove si sostiene l’esame. Non è più possibile andare alla ricerca di esami facili».
Durante la preparazione della legge lei ha sempre dichiarato di essere contro gli esami facili.
«E coerentemente con quanto ho sempre sostenuto, anche se potevo darlo prima, ho preferito aspettare».
Così come è strutturato l’esame non da’ adito a trucchi.
«Penso che si debba fare un’ulteriore passo avanti e capire se è adeguato a selezionare chi dovrà svolgere la professione. Si parla anche di adottare sistemi diversi».
Da vicepresidente della commmissione Giustizia e praticante avrà modo di constatare che cosa non va.
«Non ho bisogno di fare l’esame per capire che cosa non va. Comunque se ne discuterà».
Onorevole, mi perdoni, ma lei dove abita?
«A Roma e a Bergamo»
E perché ha scelto di dare l’esame a Napoli, allora?
«Non avrei potuto frequentare a Bergamo perché vivo tra Roma e Bergamo e allora faccio pratica da un avvocato che ha lo studio a Roma e a Napoli. Ma gliel’ho detto: con me non c’è da fare polemiche».
E la pratica lei la fa a Roma o a Napoli?
«A Napoli».
E perché se abita a Roma e a Bergamo?
«Perché mi è stata data la possibilità di frequentare uno studio a Napoli. Mi era venuto comodo così».
L’onorevole chiude con fare brusco la telefonata. C’era ancora una domanda da farle: se ha cambiato residenza come prevede la legge...
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