Prima il federalismo a rilento, poi festini di Arcore, infine l'alluvione. E l'ira della base leghista contro il premier tracima. Mentre Bossi impone fedeltà al Pdl, sindaci e leader veneti chiedono di farla finita
L'ordine è arrivato dal capo: "Zitti e avanti con Silvio Berlusconi". E loro, quando parla il capo, obbediscono. Eppure nelle viscere della Lega Nord il conto alla rovescia è cominciato. Basta spostarsi da Montecitorio al Veneto sepolto dal fango per capire come stia davvero la pancia del partito. Dalla roccaforte padana per eccellenza comincia a salire, assieme all'acqua dei fiumi, il malcontento per un'alleanza che ha venduto promesse ma nessun fatto concreto. Per i vecchi saggi padani, come l'ex deputato Giuseppe Covre, che da queste parti è una specie di guru, il premier stavolta ha passato il segno e la linea di Umberto Bossi è sì ascoltata, ma pure maldigerita. Certo ci sono la realpolitik e il federalismo da portare a casa con il voto del Parlamento. E ci sono i quattrini che Cavaliere e Senatùr hanno promesso ai veneti stremati dalla pioggia. Ma mentre la Lega dà linfa al governo e si assume il compito di mediare con Gianfranco Fini per distinguersi da Berlusconi, comunque vada a finire, il popolo riemerso dalle acque dell'Adige e del Bacchiglione è sul punto di sbottare.
Il govenatore Luca Zaia deve tenersi alla linea ufficiale e si guarda bene dal commentare le notti a luci rosse del premier. Al sindaco di Verona Flavio Tosi qualcosa è scappato: "Quella telefonata non l'avrei mai fatta", dice. Eppure il caso Ruby per questa gente non è solo un problema etico o di doppia morale. È lo specchio di un Paese bizantino, di un impero che crolla lasciandoli lontani della terra promessa del federalismo. È per questo che Covre ha preso carta e penna e ha rivolto un appello pubblico a Berlusconi chiedendogli le dimissioni. Proprio come Fini. Ha gridato tutto ciò che la flotta parlamentare di Bossi pensa, ma ha il divieto anche solo di sussurrare: "Se sapessi che mia figlia minorenne frequenta feste con i vecchietti che potrebbero avere l'età dei genitori, se non dei nonni, mi sentirei un genitore fallito". Altro che dietro il cespuglio, lui prenderebbe un paio di provvedimenti alla leghista e l'affronterebbe in strada. Primo: due solenni sganassoni alla figliola. Secondo: farebbe visita al vegliardo munito di opportuna mazza da baseball. È così che la pensano da queste parti, alle prese con i danni milionari dell'alluvione di Ognissanti, le fabbriche chiuse, le case devastate dai detriti.
Da Caldogno, alla strada per Cresole fino a Rettorgolo Lobbia, la gente con gli stivaloni di plastica addosso per 20 ore al giorno non ragiona certo con la flemma dei capoccia milanesi. Anzi sono sindaci, assessori, giovani militanti, donne e imprenditori arricchiti del Carroccio quelli che respirano la vera aria che tira nel partito. E che la raccontano ai deputati leghisti quando sono lontani da Montecitorio, dove si ragiona di equilibri, poltrone e rimpastini: "Ci stiamo giocando tutto, il tempo passa e non si vedono grandi risultati", dice Firmino Vettori, sindaco leghista di Gorgo al Monticano. E con lui il senatore Giampaolo Vallardi, primo cittadino di Chiarano: "Siamo alla canna del gas e non abbiamo più un soldo". E ancora Massimo Tondi, a Fonte: "Con il Pdl sarà anche un'alleanza nazionale, ma di risultati ne ho visti pochini".
Un'ammissione gli onorevoli la fanno: se a Roma si fa quadrato, recitando la parte del partito di governo, fuori dal Palazzo la sensazione è che non durerà a lungo. All'inizio, quando Ruby è comparsa sui giornali, un po' di paura se l'erano messa pure loro: "C'era frenesia. Temevamo che stavolta i sondaggi dessero Berlusconi in crollo, la nostra base era scontenta e sarebbe stato un problema non spaccare. Poi, però, a Milano hanno verificato che il premier tiene. E noi abbiamo smesso di preoccuparci", racconta un senatore con la pochette verde. Convinti, anzi, che il logoramento di Berlusconi alla lunga favorirà il travaso di voti, trasformando molte poltrone azzurre che contano in "cadreghe" verde padano. La pensa così pure il senatore trevigiano Piergiorgio Stiffoni, preso in mezzo fra lo scontento dei suoi e il diktat del partito.
Per esorcizzare il tutto si scaglia contro la Rai. Anzi, prima nomina Gloria Tessarolo, una sconosciuta trentenne consigliere comunale di Oderzo, nel Cda di Rai Cinema, poi sui giornali chiede ai veneti di non pagare il canone alla tv di Stato, colpevole di occuparsi di Ruby e della sua festa di compleanno. Eppure il popolo leghista qui se ne fa un vanto delle sagre con la porchetta, il vino buono e il salame di casa. Altro che champagne, sesso e cocaina: "Quando organizziamo Miss Padania sfilano delle ragazze stupende, molto più belle di quelle di Berlusconi. Ma sono donne padane, ruspanti, gente del popolo. Nelle nostre feste non ci sono scandali, né succedono Bunga Bunga o cose strane. È chiaro che se invece vedi che quelle che vanno con Berlusconi poi finiscono nelle liste elettorali del Pdl, qualcosa non funziona. E ti chiedi se questi abbiano il cervello per portare avanti certe cose", tuona il consigliere comunale friulano Luca Dordolo. Riccioluto e paffuto, è il prototipo del leghista della prima ora. Uno che con il sindaco precedente si vantava di avere la delega a sgomberare i campi rom e adesso nutre seri dubbi sulla tenuta del governo che lui stesso ha votato: "La nostra gente è incazzata, è vero. Vediamo che si perde tempo attorno a cose che non c'entrano niente con il Nord e con i mali del Paese. Io in giro non vedo escort, vedo aziende chiuse, giovani senza lavoro e banche che stringono i cordoni del credito ammazzando le nostre imprese".
Lo ammette perfino un piemontese come Mario Borghezio, convinto com'è che a lungo andare la fiumana di voti leghisti rischi di straripare come il Piave. Elenca i milioni per Pompei, i salvataggi delle Regioni del Sud con i bilanci in rosso, il federalismo che non arriva, la cassa integrazione che sta per esaurirsi mentre l'economia non riparte: "È vero che c'è scontento fra i padani. Una parte del Paese è impermeabile alla retta via e l'emergenza veneta dimostra che ancora un volta è il Nord che rischia di essere risucchiato nel vortice Italia", spiega. È il segnale che, se qualcosa non cambierà presto, si riprenderà a parlare di secessione. Piaccia o no a Bossi: "Nemmeno il nostro capitano Nemo, per quanto bravo sia a navigare fra gli iceberg della politica italiana, può condurre da solo la nave al porto", aggiunge Borghezio.
Chi non tace sono i giovani padani soprattutto. Così diversi dai colleghi pidiellini da avere inondato il forum del partito di insulti a Berlusconi. Una protesta diventata incontenibile, tanto da costringere i dirigenti di via Bellerio a chiudere la chat. La scusa ufficiale è che il sistema di identificazione degli utenti non garantiva che a parlare fossero iscritti della Lega. Ma la verità è che il Senatùr, impegnato nelle trattative con il centro-destra, teme di perdere il controllo della rivolta. I segnali ci sono tutti: dopo la chiusura del forum, la rabbia leghista s'è scagliata contro il partito. Con messaggi come "siete dei censuratori". E ancora: "La Padania non può tacere di fronte a tutto questo". Non per molto ancora.
(di Tommaso Cerno e Giorgio Sbrissa- l'Espresso)
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