Se è vero ciò che scrivono questi amici dal Brasile, l'Italia sarebbe un paese da mettere a ferro e fuoco. Se è vero ciò che scrivono questi amici, tutti giornalisti della carta stampata, della radio, delle televisioni e dei giornali on-line, gli italiani sarebbero una massa di delinquenti da deferire alla corte internazionale. Se è vero ciò che si riporta qui sotto, tutti i politici, di destra e di sinistra, a partire naturalmente dalle iene ridens del governo, sarebbero degli sgorbi antropoidizzati da eleminare con ogni mezzo.
Ricevo dal Brasile questo messaggio che parzialmente cito:
"Pare che, alla base di tali argomenti (la decisione del governo brasiliano di non concedere l'estradizione di Cesare Battisti; ndr), vi sia quanto previsto dall’art.3.1.f del Trattato di Estradizione sottoscritto da Italia e Brasie nel 1989, e cioè che l’estradizione debba essere negata quando “la parte richiesta (in questo caso, il governo brasiliano) abbia ragioni ponderate per supporre che la persona ricercata sarà sottomessa ad atti di persecuzione e discriminazione [...] o che la sua situazione possa risultare aggravata”. In gioco ci potrebbero essere, dunque, da una parte, la [non] affidabilità del sistema carcerario italiano, e dall’altra, più sostanzialmente, l’istituto dell’ergastolo, una pena che la Costituzione Federale del Brasile esclude espressamente (Art. 5, XLVII, II), e a cui il Battisti è stato condannato nel vostro Paese. Ora, quando l’anno scorso il Supremo Tribunale Federale aveva negato l'asilo politico al Battisti, ne aveva nel contempo sollecitato l’estradizione “alla condizione formale di commutazione della pena dell'ergastolo con una pena di privazione della libertà di una durata non superiore a trenta anni, con detrazione del periodo in cui egli è stato detenuto in questo paese”.
Può darsi che l'Italia, in assenza di una legge che permetta la commutazione di una pena (dall’ergastolo ad una pena temporanea) per una condanna passata in giudicato, non abbia potuto ottemperare questa clausola. Pare comunque che il Supremo Tribunale Federale tornerà a riunirsi al termine delle ferie estive, in febbraio, per esprimere un suo parere".
Resto di sasso! Capite? Dunque l'unico che in questa faccenda starebbe in regola sarebbe il governo brasiliano che invece il nostro governo vorrebbe deferire alla Corte dell'Aja! Gli unici fuorilegge in tutta questa storia sarebbero i nostri governanti che reclamano, da forbiti delinquenti, giustizia e diritto!
E la stampa che ci sta a fare? E il popolo bue, lordo pecorume, che continua a belare, belare, belare? Io non sto più dentro me stesso. Venitemi in aiuto.
don Aldo Antonelli
Le condanne per omicidio di Cesare Battisti
In Italia Cesare Battisti è stato condannato come responsabile di quattro omicidi - tre come concorrente nell'esecuzione, uno co-ideatore, ed eseguito da altri:
- 6 giugno 1978 a Udine, Antonio Santoro, maresciallo della Polizia penitenziaria; A sparare, secondo gli inquirenti, furono Battisti e una complice.[8][9] Santoro era accusato dai PAC di maltrattamenti ai danni di detenuti.
- 16 febbraio 1979 a Santa Maria di Sala, Lino Sabbadin, macellaio di Mestre; Battisti fu complice facendo da "copertura armata" all'esecutore materiale Diego Giacomin. Sabbadin si era opposto con le armi al tentativo di rapina del suo esercizio commerciale.
- 16 febbraio 1979 a Milano, Pierluigi Torregiani, gioielliere; Battisti fu condannato come co-ideatore e co-organizzatore. Nel corso dell'assassinio di Pierluigi Torregiani venne coinvolto anche suo figlio Alberto, che da quel giorno vive paralizzato su una sedia a rotelle per un colpo sparato dal padre durante il conflitto a fuoco con gli attentatori. Torregiani, il 22 gennaio precedente, aveva ucciso un rapinatore durante una tentata rapina in una pizzeria in cui si trovava con i gioielli che aveva mostrato ad una vendita televisiva.
- 19 aprile 1979 a Milano, Andrea Campagna, agente della DIGOS; omicidio, eseguito con diversi colpi d'arma da fuoco al volto, di cui fu riconosciuto come l'esecutore materiale. Campagna aveva partecipato ai primi arresti legati al caso Torregiani.
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