A Fukushima c'è la grandezza del sacrificio consapevole di cinquecento volontari, che sanno benissimo quale sia il loro destino. A Lampedusa la tristissima farsa di un piccolo Nino Taranto post-litteram, Ciccio Formaggio dei tempi passati, Cetto Laqualunque dei nostri tempi. Dov'è la tragedia vera? Tafanus
Silvio Laqualunque a Lampedusa
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Il samurai di Fukushima: "Così combatto il mostro" - Radioattività, turni massacranti, letti di piombo. Parla Kazuma Yakota, uno dei 500 uomini impegnati a spegnere la centrale nucleare danneggiata dal sisma e dallo tsunami dell'11 marzo
(Intervista di Pietro Del Re - Repubblica)
Infagottato nella sua ingombrante tuta di protezione bianca, l'omino Michelin con gli occhi ad asola ha la voce stanca. "No, la radioattività non mi spaventa", dice. "Ma ciò di cui avrei più bisogno è una buona notte di sonno". Kazuma Yakota, 39 anni, tossisce spesso, con tosse stizzosa, forse per via della polvere venefica che respira da un paio di settimane, da quando assieme a qualche centinaio di uomini è al lavoro nella centrale di Fukushima nel tentativo di impedire che la catastrofe nucleare in corso assuma proporzioni bibliche. "Vorrei anche che ci fornissero dei cibi caldi: non ne possiamo più delle barrette energetiche e dello scatolame". Come ogni vero eroe, Yakota non si lamenta dell'essenziale, ossia del pericolo che corre esponendosi a forti dosi di sostanze contaminanti. Chiede soltanto piccole cose, accessorie all'attività che svolge, come una cena decente e un materasso per riposarsi dopo la fatica. "Spero che le mie richieste siano ascoltate e che siano presi provvedimenti il prima possibile".
Signor Yakota, lei dirige le squadre di sicurezza dell'impianto danneggiato dal doppio cataclisma dell'11 marzo. Ma dove vi rifugiate una volta finito il turno di lavoro?
"Dormiamo in un edificio di due piani all'interno della centrale stessa, che è stato appositamente costruito lo scorso luglio per resistere alle radiazioni. È qui che abbiamo stabilito il nostro quartier generale".
E i muri di questo edificio vi proteggono per davvero?
"No, purtroppo. Anche in questo spazio corazzato misuriamo spesso livelli di radioattività preoccupanti. Dormiamo in condizioni molto precarie, al posto del materasso abbiamo una stuoia di piombo che dovrebbe proteggerci dalle radiazioni nucleari riducendo così i rischi per la salute. I tecnici l'adagiano nelle sale riunioni, nei corridoi o vicino ai bagni. Appena rientrano, crollano addormentati senza neanche spogliarsi. Tutti per terra, gli uni accanto agli altri".
Voi volontari vi sacrificate per il bene altrui, come già accadde dopo l'incidente di Cernobyl, dove decine di "liquidatori" morirono per esser intervenuti nella fase dell'emergenza, o per aver lavorato alla decontaminazione o alla realizzazione del sarcofago. In che cosa consiste il vostro lavoro da super-pompieri?
"Gli uomini devono anzitutto sbarazzare la centrale dai detriti provocati dalle esplosioni. Devono poi posare dei nuovi cavi elettrici per ripristinare l'energia necessaria al raffreddamento e, nel frattempo, irrorare d'acqua i reattori per evitare il surriscalmento delle barre di combustibile nucleare. Ma si tratta di una corsa contro il tempo. E ogni giorno emergono nuove difficoltà".
Non ultima quella di lavorare in condizioni di rischio proibitive. Siete protetti adeguatamente?
"Abbiamo una tuta, un paio di guanti doppiamente schermati e una maschera protettiva per il viso. Gli uomini sono inoltre dotati di una torcia, perché sono spesso costretti a lavorare nell'oscurità".
Quali sono i vostri turni di lavoro?
"Le squadre restano nella centrale quarantotto ore circa. Poi, hanno diritto a un breve riposo fuori di lì. Cerchiamo di non fermarci in modo stabile nell'impianto, poiché siamo permanentemente esposti a enormi dosi radioattive. Ogni mattina ci riuniamo per fare il punto sullo stato dei reattori, poi viene assegnato a ognuno un compito da svolgere. Di solito lavoriamo ininterrottamente dalle 10 alle 5 del pomeriggio. Alcuni di noi fanno il turno di notte, per controllare l'evolvere della situazione fino al mattino successivo".
Ma da chi sono composte queste squadre di volontari?
"Per lo più residenti, che sono stati anche vittime del terremoto. Molti di loro non hanno più la casa, spazzata via dallo tsunami. È gente che ha perso tutto: il lavoro, la famiglia, gli amici. Adesso ce la stanno mettendo tutta. Il ripristino della centrale o, quanto meno, la sua messa in sicurezza è diventata la loro nuova ragione di vita".
Come vi organizzate per i pasti?
"Mangiamo due volte al giorno. La mattina facciamo colazione con biscotti vitaminizzati e succhi di frutta, la sera invece ceniamo con riso istantaneo e tonno o pollo in scatola. Durante i primi giorni della crisi, perfino l'acqua ci era razionata e a ogni soccorritore ne veniva data soltanto un litro e mezzo al giorno. Ora, tutti sanno che alcune sostanze radioattive si possono facilmente eliminare con le urine. Con così poca acqua a disposizione, siamo costretti a lavarci le mani con l'alcol. E nessuno di noi può fare una doccia o cambiarsi gli abiti. C'è poi un altro problema all'interno del quartier generale: non possiamo attivare il sistema di ventilazione per via del livello di radioattività esterno e dobbiamo indossare la maschera anche al di fuori delle ore di lavoro".
Ma perché è così difficile fornirvi più acqua, cibo migliore di quello che avete e vestiti puliti?
"Gli elicotteri non possono sorvolare la centrale a causa della forte radioattività che si sprigiona verso l'alto. Al momento, la Tepco se l'è cavata con pochi, sporadici autobus che fa arrivare fin dentro l'impianto. Ma sono sicuro che sta cercando altri sistemi per approvvigionarci del necessario. Dai primi giorni, in cui avevamo per cena solo pane secco e in cui il sogno di tutti noi era una tazza di tè caldo, l'azienda ha già compiuto miracoli".
In tutto quanti siete?
"Prima che l'esplosione danneggiasse il reattore 2, la Tepco impiegava circa 800 persone, compresi i fisici nucleari. La cinquantina di tecnici che si occupava del raffreddamento del reattore fu allora evacuata dall'impianto, che rimase senza controllo per diversi giorni. Oggi, compresi i volontari locali e i 170 lavoratori inviati dell'azienda Hitachi, si contano circa 500 addetti, che ovviamente non bastano a svolgere l'enorme lavoro che rimane da fare. Ma è molto difficile assumere tecnici che abbiano le competenze adatte e che siano capaci di intervenire in uno scenario del genere. Sono pochi infatti quelli in grado di ripristinare il sistema di raffreddamento dei reattori".
La settimana scorsa due operai sono stati ricoverati d'urgenza dopo essere rimasti gravemente contaminati dall'acqua fuoriuscita da un reattore perché non avevano stivali abbastanza alti. Non crede che questo episodio abbia scoraggiato nuovi candidati?
"È vero, le condizioni di lavoro all'interno della centrale si fanno sempre più pericolose. Perciò sarà sempre più difficile trovare altri tecnici che accettino di mettere in pericolo la loro vita".
Dopo l'incidente di Fukushima il limite delle radiazioni consentite agli addetti alle emergenze è salito da 100 a 250 millisievert l'anno. Ora, già esporsi a poco più di 100 millisievert in un anno aumenta considerevolmente i rischi di contrarre un cancro nel corso della vita, tanto più che la radioattività è assorbita nelle cellule una volta per tutte. Perché allora questa nuova norma?
"Non deve chiederlo a me, ma a chi ha deciso di legiferare in tal senso. Io so soltanto che farò del mio meglio per impedire che i miei collaboratori si espongano più del dovuto alle radiazioni nucleari. Anche perché non posso permettermi che si ammalino, visto che prima di risolvere i problemi nella centrale passeranno senz'altro altri mesi, se non altri anni".
Il Cavalier Laqualunque
Nell'Isola dei Disperati il più disperato è lui. Con la camicia scura aperta sul collo e il doppiopetto nero che è diventato enorme, Berlusconi a Lampedusa è più Cetto Laqualunque dello stesso Albanese. È venuto a svuotare l'isola così come andò a svuotare Napoli. Lì i rifiuti e le lordure furono caricati sui Tir, dispersi via terra con destinazione ignota, e qui sulle navi, onda su onda il mare li porterà al largo dell'Italia degli egoismi regionali e del ricatto secessionista.
"Sono lampedusano" dice, e sembra la caricatura di Kennedy a Berlino, "stamattina ho comprato una villa su Internet, si chiama "Le due palme"" [...] Il solito vento che, in qualsiasi stagione, qui fa perdere la voce, agita le piante basse e dunque anche Berlusconi, che è gonfio come una mongolfiera, per un momento perde l'equilibro e sembra migrare, lui che vorrebbe migrare lontano da tutte le regole, anche quella di gravità.
Noi italiani sappiamo che Berlusconi si butta sulle disgrazie quando sente di essere in disgrazia. Ma Lampedusa gli serve anche a dissimulare, a tenere occupata l'Italia nel giorno in cui la maggioranza parlamentare, ridotta in servitù, lo sta spudoratamente liberando dei suoi processi. Le promesse ai terremotati furono le sue campagne del grano. Ma questa volta la scenografia lo tradisce. Lampedusa infatti è due volte palcoscenico, due volte finzione: è il solenne e forse fatale teatro espiatorio per attirare e distrarre la più vasta delle platee ma è anche il remake dell'autarchia del "ghe pensi mì" come estrema risorsa per illudersi ancora. Berlusconi fa il palo a Lampedusa, mentre a Roma i suoi scassinano il Parlamento e rubano i pesi della Bilancia.
E però tra il governatore Lombardo e il sindaco De Rubeis, circondato da assessori, imprenditori locali e guardie del corpo che qui non si distinguono dai corpi che hanno in guardia, nel mezzo di una nomenklatura scaltra, truce e goffa, Berlusconi esibisce una fisicità terminale che va ben oltre Cetto Laqualunque. È quella dei dittatori africani e degli oligarchi russi. Ha portato a Lampedusa più Africa lui che gli immigrati. [...]
Berlusconi garantisce che porterà "il colore, come a Portofino". Promette pure il premio Nobel per la Pace, il campo da golf e il casinò che è un vecchio sogno non solo dei lampedusani più eccentrici, vale a dire la risorsa di chi non ha risorse, ma è soprattutto l'aspirazione della malavita intossicata di danaro che ha impiantato in tutti gli angoli della Sicilia le sue bische clandestine, i luoghi sordidi dove si sfogano il bisogno sociale e la pulsione individuale [...]
E mentre Berlusconi si mette in gioco nella più triste di tutte le sue demagogie, giura di cacciare per sempre gli immigrati che ci sono e quelli che verranno, promette aiuti europei e corrimano, vasi di fiori, niente tasse per tutti, una scuola, investimenti turistici, trasmissioni promozionali della Rai e di Mediaset ..., mentre, insomma, Berlusconi delira, la nave da crociera sembra una carboniera del diciassettesimo secolo, con la broda sciaguattante di acqua di mare, le zaffate, un equipaggio militare efficiente a bordo e riservato a terra, e quel carico di neri che non sono più profughi, non sono più clandestini, non sono più rifugiati, non sono più immigrati, ma sono solo deportati.
Se si mettono a confronto queste immagini che, comunque la si pensi, sono angoscianti e dolorose, con quelle della piccola folla festante attorno allo Sciamano, si capisce che non c'è solo lo stridore tra la violenza della realtà e la pappa fradicia della demagogia. Qui c'è anche il sottosviluppo di piazza, il sud di Baaria, - "santo Silvio pensaci tu" - la bocca aperta e lo schiamazzo delle feste patronali, il bisogno del voto, del miracolo, del divo: "Silvio!, Silvio!, Silvio!". C'è la tristezza infinita di un Meridione che è ancora e sempre lo scenario naturale degli imbonitori, dello zio d'America come quel Thomas DiBenedetto che ha appena comprato la Roma, del messia e del conquistador, il mito antico dell'uomo che viene da fuori, dell'uomo del cargo che può essere un capopartito, un cantante, un calciatore e non importa chi, purché venga appunto da fuori, perché è all'interno che questo Sud non trova pace. Ed è probabile che questa visita diventi un mito rituale, la chimera di una Lampedusa protagonista, porto franco, una specie di Las Vegas del Mediterraneo, il sogno come variante del sonno. Dev'essere per questo che i miei sciagurati paesani lo hanno applaudito invece di mandarlo. .. alla deriva nel suo cargo.
(di Francesco Merlo - Repubblica)
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