Non è mia abitudine incensare il mio editore (Il tafanus) ed i miei scritti. Però, siccome la memoria storica ormai è esclusivamente sulla rete, vi invito a rileggervi [un pezzo apparso sul Tafanus] ormai più di 9 mesi fa, in cui si facevano interessanti previsioni economiche sull’andamento dei mercati.
Gli elementi che fanno riflettere sono principalmente due: la previsione del tasso di cambio euro-dollaro, e quello dell’andamento della bilancia commerciale italiana, perfettamente previsti anche numericamente (dal 22 settembre, come volevasi dimostrare, il tasso è stato superiore a 1,35, come evidente in [yahoo.finance]
Ora, Confindustria nel giugno 2010 invece prevedeva esattamente l’opposto, scrivendo “…appare evidente che, nell’ipotesi di un miglior rapporto di cambio fra euro e dollaro ed al netto dell’effetto depressivo della manovra economica così come è stata presentata, l’obiettivo di un incremento di produzione italiana all’1,6% appare ragionevole”.
...ma guarda un po’...
Il tasso di cambio non solo non è migliorato, ma è sceso fino a 1,4129 dollari per euro (valore di ieri 28/03/2011), deprimendo le potenzialità di esportazione dei beni e facendo crollare la famigerata bilancia dei pagamenti su estero dal valore di -6.425 milioni di euro nel gennaio 2010 a quello ben più corposo di -8.129 del gennaio 2011 (incremento del 19% circa del plusvalore).
Su base annuale però le cose stanno anche peggio: il differenziale va dai 31.074 milioni di disavanzo annuale al 31.01.2010 ai 56.606 di gennaio 2011 con un incremento drammatico del 46% (dati Bankitalia)
Per chiarire meglio il concetto, spendiamo all’estero poco meno di cinque miliardi di euro al mese più di quanto non spendiamo in Italia, e questo dopo molti anni in cui succedeva esattamente il contrario: però da Minzolini nessun segnale.
Orpo… in altri termini, al posto di incrementare le esportazioni, le aziende italiane incrementano le importazioni: passano cioè dalla funzione di produttori a quella di commercianti (tipica funzione Italiana che si dovrebbe aggiungere ai santi, agli eroi ed ai navigatori) (...e ai pizzaioli, aggiungo io... ndr)
Ovviamente questo fatto deve preoccuparci molto, perché dover acquistare dall’estero significa di fatto o che i prodotti italiani sono poco interessanti dal punto di vista economico oppure che non esiste un plusvalore che permetta agli stessi di essere competitivi sul mercato.
Diciamocelo: Io acquisto un bene se questo risulta più economico di un altro oppure se ha una qualità percepita superiore (sia questa relativa al valore tecnologico o a quello emozionale), per cui un prodotto che non ha nessuna di queste caratteristiche non ha quello che in marketing si chiama “appeal” o capacità di penetrazione del mercato.
Quindi se non si spende in tecnologia di produzione o nel prodotto stesso, ciccia: allora si pensa di risolvere il problema acquistando all’estero, risparmiando così sugli investimenti industriali o sui nuovi prodotti, soluzione caldeggiata dal gruppo di esperti di marketing che, aimè, al momento stanno al governo, ammesso che i nostri ministri possano in qualunque modo chiamarsi esperti di qualcosa che non sia la tecnica del turacciolo.
C’è un piccolissimo problema: giocare una partita esclusivamente alla rivendita significa, a medio termine, perdere competitività complessiva sui mercati, perché le disponibilità economiche in un paese di commercianti diminuiscono costantemente fino a rendere impossibile continuare a vendere.
Storicamente, infatti, le grandi nazioni di commercianti si sono sviluppate fino a che hanno potuto disporre di ricchezze esterne da sfruttare, che una volta esaurite o non più disponibili hanno comportato crisi sistemiche drammatiche.
Esempi ? La Spagna fino a Trafalgar, sostituita dall’Inghilterra fino al crollo sistemico del commonwhealth a cui si sono sostituiti gli USA grazie allo sfruttamento delle risorse petrolifere.
Il risultato è abbastanza evidente: in luogo di un incremento di PIL dell’1,6% su base annua, nel 2010 l’incremento ipotizzato è stato dell’1,1% contro un caduta verticale del 5,5% dell’anno 2009: in altri termini, dopo tre anni di governo Berlusconi siamo ad un valore di prodotto interno lordo identico a quello del 2006.
Purtroppo le pessime notizie non si esauriscono qui: il terzo trimestre 2010, al posto di portare ottimismo, ha portato una stagnazione (+0% da ottobre a dicembre 2010) che, collegata alle incertezze relative al Nord Africa, non promette nulla di buono per il 2011.
Avete per caso letto qualcosa del genere sui media oppure sui serissimi telegiornali italici ?
Ma quando mai, tutto va ben, Madama la Marchesa…
Alex Cariani
SOCIAL
Follow @Tafanus