...mentre inizia, a Wimbledon, la storia vera della giovane Camila Giorgi, voglio ripescare un vecchio post, che raccontava una bella storia di tennis, si, ma principalmente di umanità... Sperando che possa essere replicata da Camila, ma con un finale diverso...
Le settimane centrali di agosto, in casa nostra, sono riservate ai lavori inutili: alleggerire la cantina, ripulire il ripostiglio dalle cose inutili… quest’anno mi sto dedicando alla trascrizione dei miei VHS su DVD, prima che i nastri marciscano o si incollino, come mi è già capitato. Dunque, facendo questo lavoro, mi sono ritrovato fra le mani la cassetta dedicata ad una ragazzina che ho amato (in senso figurato) per due anni, e che poi, così com’era apparsa nella mia vita, è sparita in un anno.
Una premessa: a Milano si disputa, da oltre 40 anni, uno dei più importanti tornei mondiali di tennis under 16. Tanto importante, che da questo torneo hanno spiccato il volo personcine come Barazzutti, Borg, Lendl, Cash, Edberg, Ivanisevic, Martinez, Capriati, Hingis, Fernandez (e scusate se è poco). Io cercavo di frequentarlo, perché si vedeva del tennis sorprendente e pulito.
Un giorno arrivo al Club durante la pausa pranzo (luglio 1992, 32 gradi), e in un campo secondario gioca, contro una specie di armadio vikingo, un fuscello di ragazzina che sarà stata sui 35 chili. In campo c’erano le due giocatrici, un arbitro raccattato, niente giudici di linea, niente raccattapalle, e gli spettatori: UNO, io. Il fuscello era Francesca Bentivoglio, di anni 15, mai sentita nominare.
Eppure qualcosa di buono aveva già fatto. Due anni prima, a 13 anni, aveva vinto negli Stati Uniti il campionato mondiale under 14, noto come “Orange Bowl”. L’anno prima, a 14 anni, si era ripetuta in doppio, ed aveva vinto in singolare la Continental Cup, battendo in finale un’altra ragazzina italiana, figlia d’arte: la Canepi.
Francesca, nei rari passaggi a vuoto, in mancanza di meglio mi guardava, quasi implorando un sostegno psicologico. Io non ho potuto vedere la partita fino alla fine, e non so come sia finita, perché la mia ricreazione era giunta al termine, e i giornali parlavano solo di calcio; qualche volta mettevano due righe sul tennis adulto nelle “brevi” di sport, quindi di questa ragazzina non ho più sentito parlare.
Fino all’anno successivo, maggio 1993, quando mi sono concesso la mia scappatella romana per vedere gli internazionali al foro italico. Con grande sorpresa, trovo che nel tabellone principale c’era la mia Francesca. Ma come cacchio c’era arrivata? Non solo non aveva la classifica per entrare nel tabellone principale, ma neanche quella per entrare nel torneo di qualificazione. Aveva avuto una wild-card per il torneo di qualificazione, che aveva superato, battendo, una dopo l’altra, due giocatrici che erano ben più avanti di lei in classifica (lei era solo n° 329 al mondo!): la Habsudova e la Krizan.
Nel tabellone principale, come spetta a quelle che vengono dalle qualificazioni, si era trovata davanti un corridoio irto di insidie e di… teste di serie. Praticamente una linea Maginot. Ma Francesca non viene da un posto qualsiasi d’Italia: viene da quella Faenza che ha già dato al tennis italiano una caterva di campioni testardi (Andrea Gaudenzi, Raffaella Reggi, Sandra Cecchini), tutti specialisti nel considerare una palla “finita” solo quando la vedono terminare in tribuna.
Al primo turno incontra e batte con irridente facilità un “cardensun” olandese di nome Bollegraf. Al secondo turno, sembra che sia arrivata a fine corsa: sulla sua strada c’è Jana Novotna, numero 9 al mondo, finalista di Wimbledon, e quant’altro. La batte, in due set: 7/5 7/6.
Al terzo turno, ancora un incontro proibitivo: la bielorussa Natasha Zvereva, numero 22, ma che qualche anno prima era stata anche la n° 5 del mondo, e che è un grandissima doppista e giocatrice di volo, tanto da aver vinto, in coppia con Gigi Fernandez, sia il Roland Garros che Wimbledon. La batte, in una partita di quasi tre ore, che termina a mezzanotte.
Il giorno dopo le tocca la Gabriela Sabatini, e qui arriva veramente al capolinea, ma con grande onore. La bella Gabriela è n° 5 al mondo, ha un grande feeling col torneo romano, che ha già dominato 4 volte, ed anche col pubblico, che la adora, e che non è più compattamente schierato con la piccola Francesca. Anche Gabriela ha tanti fans. E poi, la minuscola Francesca ha fatto 6 partite in 6 giorni. Sei maratone. L’ultima, di tre ore, è finita a mezzanotte del giorno prima. Gabriela non ha giocato ovviamente le qualificazioni, non ha giocato il primo turno (c’è un “bye” per le prime otto), e non gioca da due giorni. Francesca esce con grande onore dal torneo: ha raggiunto i quarti, ha battuto due top-ten, farà un salto in classifica dal n° 329 al n° 73. Ed ha solo 16 anni. Ci sono le premesse per una grande carriera.
Invece, sparisce. Di lei si perdono le tracce. Invano su Internet si tenterebbe di trovare una sua foto. La cosa è talmente clamorosa, che persino sul sito ufficiale della WTA (Women’s Tennis Association) si scatena un forum sul perché sia sparita. Lascia il tennis. Si avanzano le idee più strampalate. Le più gettonate:
-a) una eccessiva pressione da parte dei genitori. Balle. Al Torneo dell’Avvenire, era l’unica che giocava senza la presenza di un folto stuolo di mamme, padri, coaches, tifosi. Era sola. Era sola anche a Roma.
-b) Aveva “paura di volare”: balle. Aveva“ volato, in tutti i sensi, negli USA dai 13 ai 16 anni.
La verità è molto più semplice, e molto più bella: Francesca voleva una vita normale, e voleva privilegiare lo studio rispetto al tennis; l’anno dopo avrebbe avuto la Maturità Scientifica, che voleva preparare bene, e poi voleva fare (ed ha fatto) medicina, specializzazione in Ginecologia, come suo padre. Sapeva che lo studio serio e lo sport serio erano inconciliabili. Ha scelto lo studio, lasciandoci orfani del suo talento e della sua grazia semplice...
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