Panarari ha scritto un libro per dare il benvenuto alla crisi del generalismo televisivo, Dipollina fa lo stesso nella sua rubrica quotidiana e infine Maltese, in un penetrante articolo, abbina quella crisi al tramonto del berlusconismo che proprio adottando il linguaggio della tv (ovvero del marketing) si trovò parecchio avvantaggiato rispetto agli eruditi delle scholae di partito.
Riguardo al berlusconismo siamo d’accordo: è al tramonto anche se a guarire da quella malattia c’è voluto più tempo di quel che prevedesse Montanelli (e resta da vedere se abbiamo acquisito anticorpi di lunga durata). Non riteniamo invece che l’acqua sporca del berlusconismo si porti via anche il bambino della programmazione “generalista”, intendendo come tali i programmi un po’ per tutti, che declinano più o meno abilmente il patrimonio comunitario di luoghi comuni e che, punto essenziale, ci arrivano in casa appena entriamo e compiamo il gesto automatico di accendere la luce e un televisore. In altri termini ci riferiamo ai programmi di flusso che non scegliamo (al massimo facciamo zapping) perché sono loro che ci passano davanti.
Se restiamo al lato industriale dei mass media questa tv, spalmata sulla dimensione del quotidiano, continuerà ad essere, insieme con la produzione cinematografica (luogo del romanzo e generatrice dello star system, ovvero delle moderne figure mitologiche), il centro di gravità attorno al quale ruota l’intero mondo della comunicazione di massa. Basti guardare alla organizzazione dei grandi gruppi americani che dominano il mercato mondiale e che immancabilmente pongono al centro dei loro corpaccioni le reti tv e una major cinematografica, fin dall’origine (ad es. Warner o Disney), ovvero conquistata con le buone o con le cattive (ad es. la Fox del gruppo Murdoch).
Considerazioni diverse, abbandonando il lato più strettamente industriale, si potrebbero formulare per quanto riguarda lo scottantissimo terreno della formazione delle opinioni. Pisapia a Milano e le rivolte arabe hanno dimostrato a parere dei più che è sulla rete e sui social network, e non più per effetto della tv manipolata dal Grande Fratello di turno, che si formano le opinioni e si originano le azioni, compresi i comportamenti elettorali. A noi pare che il fenomeno della socialità di rete sia in effetti più formidabile che nuovo giacché lo apparentiamo a quel brusio costante di chiacchiere tra affini che da sempre è la matrice del senso comune e che usa le esperienze condivise, dal lavoro, al calcio, alla tv e via vivendo, come materiale di costruzione dei discorsi “correnti fra la gente”. Tanto per dire: che ne sarebbe dei tormentoni sul ladro Pisapia se la Moratti se ne fosse uscita sul blog anziché “sotto gli occhi di tutti”?
Quindi la tv lancia gli oggetti e il corpo sociale li metabolizza grazie alle relazioni “corte” che da sempre fanno da efficacissimo contrappeso alle velleità di “manipolazione delle coscienze” da parte dei mass media. Ammesso che davvero i mass media ci abbiano mai provato, perché per accumulare ricavi e prestigio basta loro lisciare le opinioni correnti dal verso del pelo e intestarsene, per così dire, il copyright. Ed è qui, appunto, che sta l’essenza del berlusconismo – misto di Mike Bongiorno, inteso alla Eco come il personaggio, e Licio Gelli - riguardo alla comunicazione. Ma, come vediamo, se un nuovo vento cambia di verso al pelo, il supposto manipolatore si trova preso in contropiede e con una programmazione improvvisamente invecchiata, come osserva Maltese, mentre altre tv, ad esempio La7 e Sky, se ne avvantaggiano perché più svelte nella manovra delle vele.
Volendo concludere con una metafora, come vogliono questi tempi di Bersani, suggeriamo di immaginare il sistema dei media come un sistema planetario. Tv generalista e cinema compongono il Sole attorno al quale gira un numero crescente di pianeti (la stampa, i libri di narrativa, i parchi a tema, una infinità di applicazioni web e chissà cos’altro in futuro). Ogni volta che un pianeta si aggiunge in un’orbita nuova e dunque esterna chi lo frequenta vede un Sole rimpicciolito. E invece è solo più lontano e gli si continua a girare attorno.
Stefano Balassone
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