Mentana, allontanato da Mediaset, ha acceso la luce su La7 trainandola al 12% sul suo TG e in vista del 5% nell’insieme. C’è riuscito mobilitando gli strati socioculturali superiori, in fuga dalla Rai-Set di Minzolini e Mimun. Santoro, se davvero arrivasse, come è augurabile, a La7, completerebbe l’opera portando in dote la sua capacità di presa sui più diversi segmenti di pubblico, dai quartieri alti alle periferie. Tutti presi dai “vaffa” a Masi rischiamo infatti di dimenticare che l’audience di Santoro oltre che ampia, è anche tra le più equilibrate fra tutti i programmi della tv italiana, come era quella di TG1 e TG5 dei bei tempi loro.
Per questo Berlusconi, indifferente agli sfottò dei salotti che anzi gli servono a passar per vittima, gli ha dato del “micidiale”: non perché parla a molti, ma perché esce dai confini del pubblico “di sinistra”, tant’è che a volte maneggia afrori che disturbano i nasini delicati dei progressisti frazione Narciso. Sotto questo aspetto il terzo atto della epopea del “telesogno “ (il primo, quello degli sfigati ex Terza Rete negli anni ’90, mai nato; il secondo, quello di Pelliccioli, affidato a mani improprie e subito abortito) sembra meglio impostato dei precedenti. Il telesogno altro non è infatti che l’idea di una tv dotata di una vera identità editoriale: non solo una residualità come Rai1 o un congegno di marketing come Canale 5 o Italia1.
Ovviamente l’ambiente è ostile, Mediaset, forte di tre reti e protetta dalla RAI, può fidelizzare i pubblicitari con migliaia di spot in regalo tanto da rendere a priori la vita impossibile a chiunque miri a sottrarle dalla ciotola la pappa del fatturato. Però…, però… i tempi passano, i Berlusconi invecchiano e il marchingegno del Duopolio, assediato dal mercato mondiale (sotto specie di Sky), è già un po’ alle strette. In più, l’azienda diretta da Pier Silvio, sembra prigioniera di se stessa e cioè della linea editoriale del Silvio anni ’80 che ne ha fatto la fortuna, ma che oggi (si vedano i dati dell’ultimo anno di GF e Striscia) sa di vecchio. Dunque il quadro strategico è migliore e Mentana lo ha già dimostrato.
Aggiungiamo, a conferma, il recente rovescio elettorale di PDL-Mediaset, diverso dagli smacchi subiti in passato, perché frutto di un esaurimento identitario e di una vera perdita di spinta propulsiva. Il che vuol dire che nel nuovo Parlamento Mediaset avrà meno presa che in qualsiasi momento del passato, e che potrebbe trovarsi nell’impossibilità di avere le leggi e i ministri “ad aziendam” che ne hanno lastricato fin qui il cammino verso il monopolio della pubblicità generalista. Dunque La7 può provare a tele sognare senza strafare, in attesa di raccogliere i frutti, al primo precipitare della situazione d’insieme.
Per capire le ambizioni della tv di Telecom suggeriamo di tenere d’occhio innanzitutto le alleanze e integrazioni internazionali, indispensabili per assicurarsi il prodotto seriale (si sussurra di Bertelsmann, l’unica grande corporation dei media in Europa, che da tempo si è sbarazzata dei Berlusconi di casa propria. Ricordate il disastro di Kirk che pareva dovesse spopolare a colpi di finanza e politica senza produrre un’ora che fosse una, ma che non essendo in Italia è finito scoppiato?). Se il mercato internazionale rivelerà l'audacia delle ambizioni di La7, la politica dei programmi mostrerà se essa è un aggregato saltuario di talenti o possiede invece il passo di una vera direzione editoriale.
Scivoloni come il Barbareschi shock o il programma sui mestieri denunciano una qualche naiveté, perché altrimenti non si sarebbe ceduto a un bravissimo attore che pretendeva di mostrarsi filosofo, né si sarebbe pensato di fare intrattenimento con una argomento angosciante come la mancanza di lavoro (tentativo fallito già da altri, compresa la mitica Rai Tre di venti anni fa). Ma appunto, sbagliando si impara, specie se si ha la fortuna di potersi sbarazzare degli errori anziché dei talenti, che pare invece una specialità degli altri.
Stefano Balassone
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