Se gli occhi del mondo non fossero puntati su Fukushima, in questi giorni sarebbe in risalto nelle news il pasticcio brutto da cui sta tentanto di tirarsi fuori un altro reattore nucleare giapponese, quello di Monju.
Un prototipo sperimentale. Doveva essere un gioiellino. Invece la legge di Murphy ha colpito appieno: inaugurato nel 1991, ha subito vari incidenti ed è stato fermato nel 1995 per un incidente particolarmente grave. Quando l’anno scorso l’hanno fatto ripartire, un macchinario di tre tonnellate è caduto dentro il reattore – ebbene sì, proprio dentro – e ci è rimasto incastrato.
Fra pochi giorni cercheranno per la seconda volta di tirarlo fuori. E l’operazione è rischiosa.
Il reattore nucleare sperimentale di Monju si trova a Tsuruga, nella prefettura di Fukui, a circa 300 miglia da Fukushima. Utilizza il famigerato Mox, ovvero plutonio e uranio riprocessato e dovrebbe generare più plutonio di quanto ne consuma.
Date queste caratteristiche, il reattore non è raffreddato ad acqua ma a sodio liquido. Il sodio ha il difetto di essere infiammabile e caustico: infatti lo si usa per sturare i lavandini, e pensate a tutte le precauzioni che sono necessarie anche per quel modesto e casalingo impiego.
Nel 1995, causa rottura di un tubo, centinaia di chili di sodio si sono sparsi sul pavimento, riempiendo l’edificio di fumi caustici. Incendio, temperature così elevate che diverse strutture di acciaio si sono sciolte. Niente fuoriuscita di radiazioni, per fortuna, ma l’impianto è stato devastato.
I lavori per rimetterlo in sesto sono durati fino al maggio 2010. Poi è ripartito. E tre mesi dopo l’arnese di tre tonnellate si è incastrato fra il bunker di cemento che alloggia il reattore e il reattore stesso, che da allora è spento.
Spento: sarebbe meglio dire in precario “arresto freddo”, col combustibile nucleare ancora inserito (è impossibile accedere alle barre del combustibile senza prima tirar fuori il gigantesco corpo estraneo) e dunque con la necessità assoluta di continuo, seppur ridotto, raffreddamento.
Nell’ottobre scorso hanno provato ad effettuare l’estrazione con una gru. Ma dopo 24 tentativi – l’apparecchiatura è incastrata, appunto – hanno desistito per il timore di danneggiare il reattore. La prossima settimana proveranno con un altro sistema: smontare parzialmente il coperchio del reattore e poi tirare su pian piano, lentissimamente. Tempo previsto: due settimane.
L’operazione è rischiosa per vari motivi. Oltre al sodio (caustico, caldo e infiammabile), il reattore contiene anche argon, un gas inerte che allontana il pericolo d’incendio ma che, se inalato, può essere mortale.
Inoltre il reattore può essere già stato danneggiato (niente fuoriuscita di radiazioni, ma è impossibile controllare a fondo le sue condizioni se prima non si tira fuori il corpo estraneo) o subire danni durante la pur cauta estrazione.
Sul New York Times il Giappone cerca di mettere in sicurezza un reattore danneggiato prima del terremoto
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