Diserta il Consiglio ma non manca un talk show. E poi le tensioni con gli alleati, le inchieste, gli scontri sulla sanità. Cota un anno dopo
(di Roberto Di Caro - l'Espresso)
Intanto non c'è mai. L'opposizione gli ha fatto le pulci, pubblicando a mo' di partita doppia le presenze di Roberto Cota alle sedute del Consiglio regionale e in televisione: non s'è perso un talk show. Vespa, Floris, Gruber, mattine 1 e 5, Telecamere notturne e Vite in diretta, sui destini del governo e l'emendamento "grappino" al codice della strada, il processo breve e il posticipo d'inizio anno scolastico, le riforme costituzionali e il futuro di Lega e Pdl. Sempre e solo temi politici nazionali, come fosse ancora il capogruppo della Lega Nord a Montecitorio e non il presidente della Regione Piemonte; eccezion fatta giusto se poliziotti e no Tav si prendono a bastonate in val di Susa. Sconsolanti, in parallelo, i numeri sulle sue presenze in Consiglio: dall'insediamento un anno e due mesi fa a fine aprile di quest'anno, appena 16 su 106, quando la sua predecessora Mercedes Bresso, Pd, stava lì tre volte su quattro, e prima di lei Enzo Ghigo, Forza Italia, una su due.
Ora, le sedute saranno pure una noia mortale, "ma purtroppo per lui il ruolo di presidente è essenzialmente amministrativo, lo si valuta sulle leggi che promuove in Consiglio e sulle 300 delibere che mediamente una giunta approva ogni settimana", lo sfiletta Angelo Burzi, ex assessore con Ghigo e ora consigliere che ha riunito sette suoi colleghi Pdl per dar vita alla componente "Progett'azione, Popolari europei" (così, con l'apostrofo in mezzo come s'usava negli anni Settanta): per rifondare il partito o, non bastasse, inventare un nuovo soggetto politico del centrodestra. Chiesto un rimpasto in giunta, Burzi s'aspettava che Cota un'offerta ai progett'azionisti la facesse: invano.
Fosse in subbuglio solo l'alleato Pdl, magari riuscirebbe a tenerlo ai margini: finora gli è riuscito benissimo, anche grazie al fatto che Silvio Berlusconi se lo coccola il giovane Cota, lo riceve spesso ad Arcore, nell'ultima intervista a "Repubblica" cita lui e Marco Reguzzoni come i due promettenti pupilli della Lega. Ma ora è anche dai suoi stessi compagni di partito che Cota deve guardarsi. A Novara, quando si è trattato di scegliere il candidato sindaco alle amministrative 2011, si è scontrato con quel Massimo Giordano che dopo la vittoria alle regionali 2010 aveva lasciato la poltrona di primo cittadino per diventare assessore all'Industria, attività produttive, innovazione, università e uomo forte della giunta regionale.
I due hanno poi fatto patta su un nome, che ha però rovinosamente perso la roccaforte del Carroccio, città natale, residenza e bacino elettorale di Cota e di molti dei promossi a ruoli chiave sotto la sua gestione.Altri dispiaceri, dolorosi per uno come lui, che da bravo leghista venera il territorio e non si perde una festa padana in qualsivoglia città, paese o frazione del Piemonte, gli stanno arrivando da Acqui Terme nell'alessandrino piuttosto che da Borgosesia nel vercellese o Carmagnola nel basso torinese. Succede che il piano di tagli alla Sanità, buco nero di tutte le Regioni d'Italia e bubbone delle giunte di ogni colore eccetto forse Emilia e Toscana dove il sistema l'hanno riorganizzato per tempo, sta scontentando tutti e provocando sommosse di cittadini e sindaci, leghisti compresi: vuoi perché i tagli non piacciono a nessuno anche se necessari, vuoi ancor più, vedremo, per il modo in cui la giunta Cota li sta facendo. Tutto ciò in una sanità piemontese messa sulla graticola dall'inchiesta che a maggio ha portato in galera sette persone dell'entourage dell'assessora regionale Caterina Ferrero, Pdl, e lei stessa agli arresti domiciliari.
Ma com'è arrivato il bellicoso (almeno in tv) governatore piemontese a mangiarsi in poco più di un anno di governo una bella fetta del credito che, dopo un lustro di gestione Bresso nient'affatto entusiasmante, gli avevano concesso i ceti produttivi, le associazioni imprenditoriali, la Fiat e per un po' anche l'allora sindaco di Torino Sergio Chiamparino?
L'ingresso nel palazzo della Regione in piazza Castello, ricordano i protagonisti, fu quello di un baldo condottiero dalle fresche truppe bardate di verde che, un po' stupito lui stesso, espugna e occupa manu militari una vecchia fortezza. Dal piano del comando, il secondo, quello della presidenza, caccia il vicepresidente Roberto Rosso, che (fatto un rapido giro in Fli e subito tornato a casa) ora racconta: "Noi del Pdl in giunta ci eravamo dimessi da consiglieri, i leghisti no: così dipendevamo totalmente dalle scelte di Cota. Ho lasciato dopo due mesi e mezzo, tenendomi il mio seggio alla Camera". In quell'ufficio va il novarese Giordano con delega all'Industria e quant'altro, in quelli accanto l'altro novarese Beppe Cortese capo della segreteria di Cota, e le assessore Giovanna Quaglia al Bilancio ed Elena Maccanti (per ora) agli Enti locali.
Le pretoriane, le chiamano a palazzo con una lieve vena di timore nella voce; le "cheerladies", "brave ragazze, per carità, tutte e due ex addette stampa nella Lega, ma ti aspetti facciano la ola ogni volta che Cota parla", le sberleffa Bruno Babando nel suo perfido e informatissimo lospiffero.com (non lo si chiami il Dagospia torinese, "noi le notizie e i retroscena ce li cerchiamo da soli, mica li prendiamo da altri"). Occupato il fortino, però, "non sanno bene come muoversi", fotografa Babando; "non conoscono la macchina amministrativa, cacciano i migliori, si tengono stretti assumendolo come consulente proprio l'uomo che sotto la Bresso accusavano di aver aperto voragini nel bilancio. E alla piattaforma unica per gli acquisti di tutto l'Ente Regione nominano, su indicazione Pdl, Piero Gambarino". Alter-ego dell'assessora alla Sanità Ferrero, Gambarino, detto "mister 15 per cento" scrive il gip, verrà prima intercettato e poi arrestato per una sfilza di appalti manovrati, il principale per 64 milioni di euro di pannoloni per incontinenti.
Cota, però, dalla vicenda esce pulito e con una mezza aureola. "C'è in Piemonte una sanità buona e una cattiva", dichiarerà il procuratore aggiunto Giancarlo Caselli. E quella buona, nemica della banda dei pannoloni, sarebbe proprio l'ex manager Iveco Paolo Monferino che Cota ha nominato direttore generale della Sanità piemontese nell'ottobre 2010, subito dopo la visita di Sergio Marchionne nel suo ufficio in Regione, inattesa apertura di credito della Fiat alla nuova giunta. Con lui Claudio Zanon, oncologo alle Molinette, nominato da Cota direttore generale dell'Aress, l'agenzia regionale per la programmazione sanitaria. A febbraio, a dire il vero, i giornali registrano uno sbandamento di Cota che, per risparmiarsi rogne, tira le redini ai due manager e le allenta all'assessora trafficona; ma poi le manette ai cattivi cavano tutti d'impiccio. Per sovrammercato, dieci giorni dopo anche il suocero della Ferrero, un potente del Pdl a Leinì dov'era sindaco, viene arrestato per collusioni con le 'ndrine. Cota si tiene la delega alla Sanità, il Pdl neanche la vuole ("Cosa ce la prendiamo a fare, se tanto comandano loro?"), pare che alla fine la prenderà la "cheerlady" Elena Maccanti, cambio di figurine due a uno col debole alleato Pdl cui andrebbero un assessorato minore e uno raccogliticcio, una delega qua e una là.
Figurine a parte, come taglierà Monferino? Senti Cota e i suoi e ti raccontano un piano "all'inglese" e di "messa in rete" delle strutture minori così da salvarle. Più prosaicamente, Gianfranco Morgando e Aldo Reschigna, segretario piemontese e capogruppo in Regione del Pd, attaccano che "Cota tenta, per ragioni elettorali e di consenso, un'operazione impossibile. Proclama che lui, a differenza delle regioni rosse, non chiude ospedali, poi però taglia risorse, chiude reparti, cancella poliambulatori e pronto soccorso. Svuota, declassa, ridimensiona i servizi. Ma così facendo i punti di criticità aumenteranno, anziché diminuire. La sua, bene lo si è visto in quest'anno di governo, è la più ovvia delle politiche dell'annuncio: nella Sanità come sul lavoro e su tutto il resto". Detta da Babando di lospiffero.com: "Cota e Giordano hanno appena annunciato un rimarchevole piano straordinario per l'occupazione giovanile, con incentivi e detassazioni a chi assume giovani o ai giovani che inventano imprese. Sul sito ci sono subito piovute richieste: "Come si fa? cosa dobbiamo presentare le domande? dove?". Allora ci siamo informati. Beh, non c'è un bando, neanche una bozza di delibera, niente. La faranno? Chissà".
Più sollecita, la giunta, a solleticare fette anche non maggioritarie del suo elettorato: il Piemonte della Bresso si era costituito parte civile contro gli allevatori che avevano scientemente sforato le quote latte, quello di Cota ha subito ritirato tale atto: ma pochi giorni fa il leader dei Cobas del latte Giovanni Robusti, ex parlamentare della Lega, è stato condannato in appello a 4 anni e 6 mesi per associazione a delinquere e truffa, appunto sulle quote latte. Settimana sfortunata: qualche giorno prima, il 30 giugno, è stato condannato in primo grado a 2 anni e 8 mesi anche Michele Giovine, leader e unico eletto in Regione della lista Pensionati per Cota, appunto per le firme false della sua lista. Poiché quella lista fasulla prese 23 mila voti e Cota l'ebbe vinta sulla Bresso per soli 9 mila voti, c'è il rischio (ancorché contenuto) che la sentenza rimetta in moto il meccanismo dell'invalidazione della stessa elezione di Cota a presidente. Peccato: con la Bresso, dopo mesi di baruffe, aveva trattato e ottenuto il ritiro del ricorso elettorale. Per la cronaca, come da interpellanza del consigliere Udc Alberto Goffi, l'avvocato di Cota contro Bresso era pagato dalla Regione.
Ahi che dolore la fatal Novara!
(colloquio con Roberto Cota di Roberto Di Caro)
A Roma in tv, a Milano in Bellerio in sede Lega, ad Arcore, a Novara a casa sua, in giro in Piemonte ma ai raduni della Lega. A Torino non ci sta mai?
"Ma se sono il presidente più presente che il Piemonte abbia mai avuto! Ci sono i dati, sono pubblici!"
Appunto. Dicono che in Consiglio latita.
"Avevo chiarito subito che in Consiglio regionale il presidente ci va solo se lo ritiene necessario. In giunta sarò mancato al massimo una volta, e ne facciamo due o tre a settimana".
La sconfitta nella sua Novara le pesa?
"Una ferita, inutile nasconderlo. Ma erano solo 400 voti in meno del 2010. Uno sprone a lavorare sul territorio: dove già ho giornate massacranti, in una miriade di impegni istituzionali".
Però sembra rimpiangere il suo ruolo nazionale e aspirare a riprenderlo. Come Giulio Cesare, meglio secondo o magari ultimo a Roma che primo in Gallia?
"Aspiro a fare quello che sto facendo, e a fondo. Cose molto importanti, sulle quali ho puntualmente mantenuto gli impegni elettorali: piano lavoro, piano competitività, piano giovani, che rivoluzionano i meccanismi di incentivi".
Solo annunci, la accusa l'opposizione.
"Il piano lavoro è legge, incentivi fiscali sono già in vigore per i lavoratori sopra i 50 anni, il piano giovani è in lavorazione, predisposto nelle sue linee generali".
Paolo Monferino come direttore della Sanità gliel'ha suggerito Marchionne?
"Volevo provocare un vento nuovo, lui ha presentato domanda ed è stato scelto. Suo compito è riportare la spesa sanitaria sotto controllo: e, per la prima volta in 15 anni, a inizio 2011 è calata".
La riorganizzazione però scatena dure polemiche e proteste anche nella Lega: i piccoli ospedali vengono declassati.
"Da vent'anni nessuno ha avuto il coraggio di riformare il sistema. Noi sì. Salvando anche piccoli presìdi, come una ridotta maternità a Domodossola connessa con la più grande a Verbania".
Ai vertici, tutti uomini targati Lega.
"Monferino e Zanon sono dei tecnici".
Si terrà lei la delega alla Sanità?
"Mi sono appassionato. Ed è giusto che acquisisca competenze approfondite. Poi, a fine estate, deciderò".
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