A Giovanni Gangemi non manca, evidentemente il fattore C. Sono anni che organizza il racconto del Terzo Polo e si trova con il libro bell’è pronto (L’anello debole, Storia dell’altra tv. Da Marinho a Murdoch. Bulzoni Editore, pag 261, € 20. Finito di stampare a maggio 2011) proprio nel mezzo dell’affaire Santoro-La7, offrendo a chi lo legge la possibilità di capire davvero che cosa è successo finora e cosa, per davvero, potrebbe accadere in futuro. La storia, stringente, e le analisi, documentate, corroborate da una vibrante introduzione di Marco Mele dimostrano senza ombra di dubbio che solo la Politica, cambiando le leggi (a partire dalla governance per arrivare ai tetti pubblicitari) che rendono la RAI funzionale al dominio commerciale di Mediaset, può aprire il mercato italiano (essendo ovvio che per superare la diga duopolistica è più che sufficiente sollevarne la paratia pubblica e lasciare che il resto s’arrangi o rovini da sé).
Il punto ovviamente è se la Politica, esclusa la parte che è semplice emanazione degli affari di Mediaset, abbia la statura per perseguire, abbaiando poco e facendo molto, un obiettivo del genere. E siccome la Politica può porsi solo obiettivi maturi nella società, quel problema dipende dalla risposta che si dà al seguente interrogativo: il Duopolio, per di più collusivo, è una stortura della politica e della economia italiana o è invece il punto di equilibrio, sofferto ma stabile, dell’insieme degli interessi finanziari, editoriali e professionali che popolano la nostra industria dei media? Insomma: il Lodo Ciarrapico, maxirisarcimenti a parte, è un'armatura costrittiva, o invece protegge sia quelli - Mediaset - che hanno la parte del leone sia gli altri, a partire dai gruppi editoriali, che hanno imparato ad accontentarsi del poco, sì, ma garantito?
In sintesi: qualcuno, fra gli interessi concreti in campo, vuole davvero un sistema televisivo più aperto al mercato? Fino ad oggi la nostra risposta è sicuramente un sonoro No (e il libro di Gangemi ci ricorda i fatti che hanno generato questa convinzione); ma continuiamo testardamente a sperare di avere torto. Del resto qualche fuoco ci fu anche nel passato, anche se regolarmente estinto. Imperdibile, ad esempio, la ricostruzione dello sbarco e della successiva ritirata di Marinho, il primo e, fino ai tempi - compresi - di Tronchetti Provera, l’unico proprietario di TMC (l’attuale La7) adatto a fare televisione.
E da non perdere, naturalmente, anche la storia del bluff Cecchi Gori, quando a metà degli anni ’90, i Popolari (come si chiamavano allora gli eredi dei cattolici democratici della vecchia DC) ottennero che la Banca di Roma di Geronzi, che aveva in pegno le azioni TMC dopo il disastro della proprietà Montedison, le passasse con una pseudo vendita al Senatore fiorentino. Né seguì un fuoco d’artificio di dirigenti che venivano e andavano, fra cui chi scrive, e di iniziative kamikaze come la partecipazione all’asta sui diritti per il calcio, Nazionale compresa. Una esperienza definitiva per chi avesse dubbi che i tycoon del cinema, insieme con gli editori di giornali (non a caso spazzati via da Berlusconi) e i finanzieri (convinti che il comprare possa sostituire il creare, che è invece il cuore del successo dell’impresa televisiva, anche se da fuori può sembrare il contrario) sono i meno adatti ad occuparsi di televisione.
Riguardo al più vicino presente, si parla naturalmente di Sky che viene giustamente definito un Terzo Polo anomalo giacché non direttamente concorrenziale con Mediaset sul piano del fatturato pubblicitario (anche se val la pena di fare attenzione al recentissimo aggiustamento delle numerazioni che ha portato in evidenza le maggiori reti locali (Videolina, Telelombardia e qualche altra) lasciando annusare i termini di una possibile alleanza fra il satellite e il locale più qualificato che forse potrebbe avere risvolti pubblicitari interessanti.
Il libro termina giusto in vista delle più recenti performance di La7 che, osserva Gangemi, grazie a Mentana è riuscita a crescere di ascolti avvicinandosi alle quote di Rai3 e Rete4, le piccole di RAI e Mediaset, e a sfuggire agli share da uno virgola, proliferati nel polverone di canali del digitale terrestre. Il fatto è assai notevole sul piano editoriale e anzi inspiegabile per la sua subitaneità, considerando i fattori inerziali che presiedono allo spostamento del grande pubblico. Al di là della evidente capacità di Mentana, deve aver giocato l’annoso consolidarsi, dimostrato, cifre alla mano, da Francesco Siliato nella postfazione, della disistima di ampie parti di pubblico verso l’offerta di Rai e Mediaset . E così, a quanto pare, gli share televisivi di La7 hanno indubbiamente anticipato il “vento nuovo” delle amministrative e del referendum. Ora comincia la parte più dura, perché la sorpresa è passata e gli interessi del duopolio staranno certo pensando alle contromisure. Politica ed Editori sono per davvero chiamati a scegliere, se possono permetterselo, da che parte stare.
Stefano Balassone
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