Il partito degli onesti nega l'evidenza e attacca i magistrati. Marina Berlusconi urla contro «l'esproprio proletario» ai danni della Fininvest, si fa lei stessa giudice del padre per dichiararlo vittima innocente di una «forsennata aggressione».
Anche se questi toni in un paese normale sarebbero irricevibili (d'altronde il padre aveva parlato di «rapina a mano armata»), tuttavia le reazioni della famiglia e, di seguito, del coro di maggiorenti e peones del Pdl, replicano il copione: una realtà fittizia tenta di capovolgere, fino agli ultimi giorni di Pompei, la realtà dei fatti accertati.
Innanzitutto quelli penali, scritti nella sentenza della Cassazione (sulla corruzione dei magistrati e dell'avvocato Previti), e poi quelli, conseguenti, della giustizia civile con il dovuto risarcimento per i danni materiali (calcolati dal giudice Mesiano, oggetto del metodo-Boffo) confermati ieri dalla sentenza del processo di appello.
Parlare di accanimento contro Berlusconi fa parte della strategia mediatica che da vent'anni accompagna le ricadute giudiziarie della navigazione politica del fondatore del partito degli onesti. Negare e attaccare sentenze anche se giungono a compimento dopo aver superato, come in questo caso, sette istanze di ricusazione, la legge sulle rogatorie, il tentativo di spostamento a Brescia del processo mediante la legge Cirami (e probabilmente si tratta di un elenco per difetto). Giungendo, infine, alla condanna per Previti, Acampora, Pacifico e il giudice Metta per «la corruzione in atti giudiziari posta in essere, nell'interesse della Fininvest, in occasione della controversia giudiziaria per il controllo del gruppo Mondadori». Tra l'altro Berlusconi è prescritto con l'escamotage della concessione delle attenuanti generiche. Un trattamento di riguardo, tutt'altro che persecutorio.
Ma la reazione della famiglia arcoriana è "forsennata" non solo per una questione di stile (noblesse oblige). C'è di mezzo tutta la sostanza di un gruppo aziendal-politico colto dalla sentenza Mondadori nel pieno di una guerra per bande che lo divora. La commedia sulla misconosciuta paternità del tentativo (non riuscito, ma già riproposto nel prossimo iter parlamentare della finanziaria) di inserire la legge ad aziendam nella manovra economica, ne è la plateale rappresentazione. Non l'unica, visto che siamo anche nel bel mezzo di una bufera finanziaria, frutto di provvedimenti che si acccaniscono sulle fasce medio basse della popolazione italiana. Un pacchetto di tagli a pensioni, sanità e stipendi costruito da un ministro dell'economia, Giulio Tremonti, anch'egli sulle pagine dei giornali per ragioni poco commendevoli. La testa di ponte di un governo di transizione è chiamato in queste ore a rispondere dei rapporti con quel Marco Milanese, tra i protagonisti dello scandalo cosiddetto della P4. Un parlamentare sotto richiesta di arresto, fino a ieri uomo-ombra di un ministro che ha la presunzione di essere il riferimento italiano delle cancellerie e dei mercati. Proprio per come vanno le cose negli altri paesi, solo per aver accordato la sua fiducia a un simile personaggio, dovrebbe sentire l'obbligo di farsi da parte, dimettendosi fino al chiarimento della sua estraneità.
Da quali pulpiti giungono dunque le prediche contro i magistrati, contro gli sfascisti che criticano la legge finanziaria. A tal punto inattendibili e screditati che gli elettori hanno disertato le urne. Turarsi il naso non basta più.
(di Norma Rengeri - Il Manifesto)
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